Il rifugio dello scrittore

Prodotto del gioco creativo 'Chi vuole scrivere con me?'

Parte II

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    Alla fermata
    parte II



    [– Vedi, signor Gianni... –]

          – Rozalia, la prego: mi chiami solo Gianni – fece lui, con l'aria mogia.
    – Va bene... Vedi, Gianni, quel cappotto no è di moda, e la ragazza di prima non lo mette perché si usa. Lo mette perché io nel magazzino ho tanti cartone pieni di quello. A Ohla ho dato uno taglialunga, perché lei alta uno settantotto. Tu conosci Ucraina? –
          Rapito, Gianni farfugliò: – Sìii... anche la Crimea, anzi no... meglio non parlarne. –
    – No Crimea, quelli va con russi e... io piace ovest... Ohla è di Ucraina, venuta qui per lavoro, perché mamma malata, nonna anziana e fratello e sorellina piccoli. Suo pàpa non più; è andato in cielo. –
          Józef trangugiava come chi non mangia dall'ultima Pasqua, e Rozalia gli fece cenno di masticare piano e di darsi un contegno: il palmo due volte verso il basso e, con l'altra mano, le dita a pinza quando serrano le labbra. La telepatia madre-figlio ebbe effetto immediato.
    Riemerso dal piatto, il trentenne puntò gli occhi di Gianni e annuì a ritmo lento, quattro volte di seguito.
          – Tu scusa lui, caro Gianni. – Continuò la donna, indicando il figlio che aveva già dimenticato l'ammonimento e stava svuotando nel suo piatto tutto le patate rimaste nel vassoio.
    – Nessun problema Rozalia, io sono sazio. –
          Gianni si mosse sulla sedia, indeciso se aprirsi del tutto con quella donna e suo figlio. Li guardò a lungo, prima l'uno poi l'altra e decise che doveva buttarsi; loro erano la sua unica possibilità di trovare Ohla.
    – Mi aveva già incuriosito e attirato quando la osservavo dalla finestra tutte le mattine, ma l'ultimo giorno aveva uno sguardo triste, rassegnato. Sembrava avesse bisogno di aiuto, e dopo quel suo saluto scritto ho avuto la certezza che quell'aiuto lo stesse chiedendo proprio a me! –
          – ... E tu pensa che puoi aiutare lei? Io credo che tu non conosce lei, e nemmeno lei conosce te. Anche io non conosce te. Io credo che Ohla ha solo lasciato scivolare in mare bottiglia con messaggio, senza che sa chi raccoglie. Chi sei tu? Poliziotto? Uomo ricco e buono? O forse tu innamorato? Tu ha faccia di innamorato ma, attento Gianni, io do consiglio, tu innamorato di fantasma. Tu non sa nulla di Ohla, tu vede bella ragazza da lontano e immagina principessa ma, se pensi bene, è solo fantasma di tua mente. Forse lei è trans, forse lei è sordomuta, forse lei è crudele spia russa. Sicuro che lei diversa da come tua mente immagina. Tu sei sicuro di volere aiutare lei? Sei sicuro di volere scoprire carte coperte? –
          Il giovane cambiò espressione, arrossì e fissò il piatto vuoto.
    Józef gli offrì il suo, e Gianni fu costretto a una smorfia istintiva di diniego.
          – Rozalia, io sono un ragazzo semplice, mi sono laureato un anno fa. È stata dura arrivarci. Nell'adolescenza ho avuto una sola, vera, storia amorosa ma lei si prendeva gioco di me, diceva che ero crudo, troppo pudico, ed è così che sono rimasto, eppure ho già venticinque anni. Non sono povero, ma nemmeno ricco; me la cavo, ecco.
    – Pudico no è parolaccia, vero? –
    La frase stemperò alquanto la tensione di Gianni. Fece un sorriso divertito.
    – No, non è una parolaccia. Significa che ho vergogna a manifestare i miei sentimenti. Sono timido, tra l'altro. Ma è giunto il momento di mettermi in gioco. Sento che devo trovare questo cherubino, che ha varcato da ignoto, con un linguaggio muto, uno spazio chiuso anche a me stesso. Voglio conoscere tutto di lei. Devo rischiare. –
          – Tu vuoi sapere chi è Ohla. Io mi chiedo se tu puoi capirlo. Tu capisci chi siamo noi? Tu italiano, occidentale, tu ha posto di diritto in questo mondo, noi no. Noi vive quasi come animali. Noi veste come voi, finge come voi, ma siamo mascherati. Nostra vita occidentale è clandestina, finta. Noi non abbiamo diritti, noi non abbiamo futuro. Noi non siamo nulla. Se provi a immaginare, capisci perché quello che per voi è illegale, per noi è solo sopravvivere? Come lupo che divora agnello, è lupo, non assassino.
    – Io posso capirlo, te lo assicuro. –
          – Allora puoi capire che Ohla non è cattiva solo perché fa cose "illegali" –
    – Non la giudicherò. –
          – Lo spero, lo spero te. –
    I due si immersero all'unisono in un silenzio esteriore, ma nelle teste di entrambi emerse un trambusto di pensieri che si susseguivano come i moduli di una catena di montaggio, rumorosa e implacabile.
    Józef raccolse piano le sue stoviglie e si dileguò in cucina.
          La donna risollevò il viso e si strofinò il palmo umido e rugoso sulla guancia. Gianni fece lo stesso col dorso delle dita, come a voler testare lo stato della rasatura.
    – Sono stato a Londra, e i primi giorni mi sembrava di trovarmi su un altro pianeta. Nessuno con cui parlare, senza prima pensare ogni parola. Guardavo le persone, ma nessuno ricambiava i miei sguardi. Ogni passante mi ricordava qualcuno, per somiglianza o per l'andatura. Mi sentivo solo, e mi consolavo col pensiero della carta di credito, che mi faceva sentire normale, lecito, dignitoso e accettabile da chiunque.
    La polacca annuì e si sciolse in un sorriso rasserenato, complice. Toccò il crocifisso del suo rosario-collana.
          – Ohla, mese scorso, è stata qui, da me, a piano di sopra, a dormire per tre notti. Lei perso lavoro con padrone che fatto lei brutta proposta. Detto a signora, ma signora ha fatto risata. Io conserva soldi suoi, per emergenze, perché una volta è stata scippata da disgraziato in scooter. Da oggi, lei è con altro signore che abita in altra città lontana, per gemelli piccoli che mamma lavoratrice non vuole a nido. Io ho suo numero, ma tu non telefona. – avvertì, con l'espressione decisa.
    Gianni si illuminò.
    – Era lei, prima, al telefono, prima che andassimo all'ambulatorio? –
          – No, Gianni, quella era signora di Caritas, che dà a me roba, non solo per polacchi in città. –
    – Allora dimmi Rozalia: come posso contattarla? Puoi farlo tu per me? –
    Gianni si alzò in piedi di scatto, facendo quasi cadere la sedia sotto di lui, sul viso la luce di una speranza che non provava da tanto, tanto tempo.
    La signora non si lasciò trascinare dalla foga del giovane, mostrandogli il palmo della mano, gli fece cenno di avere pazienza, di calmarsi. - Ti ho già detto molto, anche troppo. - Sospirò, puntandogli gli occhi addosso come a volergli leggere dentro. - Io non conosco ancora te così bene, io devo fidarmi di te prima di metterti in contatto con Olha. Tu capisci, vero? -
    – Capisco perfettamente, anzi: apprezzo questa tua prudenza. Cosa devo fare per convincerti che non sono un malintenzionato? –
          Con la voce di un ambulante che invita i clienti, Józef, dalla cucina, esclamò.
    – La tua macchina è grande? –
          – Ho un suv francese, a cinque porte, però posso togliere i sedili posteriori, e diventa come un furgone piccolo! –
    – Bene, Gianni, domani alle nove di mattina porta qui coi sedili tolti. Ti va bene? –
          – Sìii, alle nove! –
    Gianni nutrì la sensazione che non provava da parecchio tempo, e immaginò Rozalia come la mamma che non aveva avuto: forte, decisa, caritatevole e saggia. A Józef pensò come al fratello che sognava da piccolo.
    Rozalia sfoderò un sorriso aperto, sincero, e guardò Gianni negli occhi con tutta la tenerezza di cui era capace.
    Per reggere la menzogna sui parenti - che non aveva - il ragazzo si congedò dai due ringraziandoli, e tornò a casa col passo di un maratoneta.
          Appena rientrato, tolse le scarpe, accese la TV e si sdraiò sul divano. Le immagini gli sarebbero servite come concilia riposo; tante erano state le emozioni e tanto lo stress della giornata.
    Era l'ora del TG locale. Le notizie si originavano e si diluivano sullo schermo. Una tra tante riuscì a infilarsi nella mente ancora eccitata di Gianni: La polizia ha sgominato una rete di prostituzione...
    Il pensiero tremulo si agganciò alle mezze parole di Rozalia: cose illegali.... E poi a Olha, ipotizzando su quella città lontana, il luogo dove la sua celestina badava ai gemelli.

          Il giorno successivo si alzò presto; quella notte aveva dormito poco e male. Ancora pochi giorni di convalescenza, prima di tornare al lavoro: li avrebbe impiegati nella ricerca di Olha e nell’aiuto al centro “Polacchi in città”, come aveva promesso.
    Come sua abitudine preparò il caffè e si spostò con la tazzina accanto alla finestra. Era così silenzioso quell’appartamento, dove viveva da solo, che preferiva guardare il mondo fuori. Riprese la vita di ogni giorno… la strada solitaria e la pensilina della fermata vuota, chissà se celestina si ricordava di lui. Un cane che abbaiava contro un foglio di carta portato dal vento gli strappò un sorriso; era meglio sbrigarsi.
          Al centro erano tutti già in attività. Rozalia, al telefono, discuteva animatamente. La ragazza del giorno prima stava mettendo in ordine la sala, e a Gianni venne spontaneo aiutarla con le sedie che riponeva rovesciate sui tavolini, ma Józef, che dalla cucina, udito il suo “Buongiorno”, raggiunse subito gli altri nel salone, lo distrasse.
    – Macchina pronta? Bene, andiamo! – disse a Gianni.
    Si avviarono alla Caritas, poi in altre associazioni, per distribuire il necessario al domicilio di ognuno dei bisognosi; Non solo polacchi... pensò il ragazzo. Alla stazione degli autobus prelevarono due nuovi arrivati, ai quali Rozalia, grazie ai suoi contatti, avrebbe trovato un lavoro; così disse Józef.
          Il giovane non aveva mai immaginato quante cose ci fossero da fare in un’organizzazione simile.
    Per la prima volta in vita sua non provava quella solitudine che da sempre lo accompagnava. Faceva parte di una squadra, una squadra insolita, formata da quella strana e dolce signora, dal suo corpulento figlio e da una signorina che aveva conosciuto come Karolina. La ragazza gli raccontò che il lunedì era il suo giorno libero e lo passava sempre ad aiutare Rozalia, dopo che la donna l'aveva aiutata a trovare il lavoro. Gianni avrebbe voluto farle qualche domanda su Olha, ma si trattenne; Rozalia non avrebbe gradito se avesse provato a scavalcarla.
          Scoprì che Karolina, nonostante i suoi pochi mesi dall’immigrazione, conosceva la lingua, molto meglio dei due gestori messi assieme. Mentre maneggiavano pacchi di vivande e bustoni di indumenti usati, parlarono di arte e di politica, di film e di registi. Il ragazzo le confidò la sua preparazione in Giurisprudenza e l’incapacità di affrontare l’aula di un tribunale a causa dell’asma. Lei comprese, e gli ricordò che aveva usato l’inalatore tre volte in una sola mattinata. Gianni arrossì.
    Tornati al centro, cenarono tutti e quattro attorno al tavolo con i manicaretti preparati in fretta da Józef.
    Con la ragazza, chiacchierò a lungo, grazie al vino rosso, che lo inebriò al secondo sorso, e che invece Karolina gustava con scioltezza, un bicchiere dopo l’altro, senza alterarsi e senza scomporsi.
    Józef, alticcio e paonazzo, subiva le occhiatacce della mamma.
          Allo spegnersi di una risata di gruppo, Gianni si offrì di accompagnare Karolina nella casa dove lavorava come badante, per la sua sicurezza, affermò, e lei annuì con un sorriso di gratitudine. La salutò davanti al portone e tornò a casa, che all'improvviso gli sembrò troppo grande e troppo vuota. Era stanco, ma così soddisfatto che un sorriso ebete gli riempiva le labbra: per una volta si era sentito utile, importante.

          Gli ultimi tre giorni di convalescenza finirono, e si recò a piedi al lavoro.
    Gianni era impiegato all’agenzia di collocamento Lavora subito, un posto che aveva accettato al volo, tramite un annuncio online, anche se l’appartamento in cui alloggiava non era nella sua città di origine.
    Tutto, nell’agenzia, gli sembrò diverso, tranne gli odori ambientali, sempre fissati nel naso e rievocativi della solita routine. Pochi convenevoli, coi colleghi, e raggiunse il suo ufficio, simile a un grande sgabuzzino. Pensò alla zia Roberta, malata di Alzheimer, e d’istinto pensò che Olha, un giorno, avrebbe potuto...
          Una giornata di lavoro poco impegnativa, e già alle 18:00 era tornato al centro.

    Chissà perché, rientrando, l'ufficio sa di stantio ancora più... l'odore del Centro è decisamente migliore! Sono aromi di famiglia... di calore... Queste pietanze, poi, alla polacca maniera mi fanno impazzire! Devo chiedere a Rozalia e a Józef quali sono i loro segreti culinari...
    Tali furono le considerazioni di Gianni nel varcare l'ingresso e nel constatare che si erano già portati avanti con la preparazione della cena. Rozalia, come se gli avesse decodificato la mente, lo accolse con un sorriso ampio e affettuoso.
          – Tu hai molto piacere di venire qua, la tua faccia si legge. Anche a noi piace tu.
    – Rozalia, io mi sento a casa, in questo posto, con voi. Con la mia famiglia non mi sono mai sentito così... – rispose mesto, ma subito si riprese. Non voleva parlare della sua famiglia, non ancora.
    – Che profumino delizioso, ma cosa ci mettete nel cibo per renderlo così? – Senza dare il tempo a Rozalia di parlare, rilevando la mancanza, nel quadretto confortante, della figura angelica entrata da quaranta giorni nel suo credo, infilò l'altra domanda. – Ma non vuoi dirmi proprio niente altro di Ohla?
          – Testa głowa tu! Come pietra! Capisci che non è fatto di volere? Capisci che non posso dire io? Fino che Ohla è di pericolo nessuno deve sapere dove trova lei. Quando Ohla è arrivata qui, tipo delinquente di est voleva mandare lei alla strada per portare a lui soldi. Con aiuto di assistenzia sociale abbiamo dato di protezione a lei. Così non è finita a fare cose sporche e trovato pure lavoro da quelli signori, ma dopo signore ha fatto proposta brutta... tu sai... e poi è rimasta senza lavoro... Carogna ha provato dacapo a portare lei su strada... ma grazie al Dio abbiamo riusciti di nuovo a salvare da mascalzone con papa di gemellini che ha portato Ohla in città lontano...


    Continua...

    Edited by Axum - 29/6/2018, 12:10
     
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