Il rifugio dello scrittore

Un uomo

sociale

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    Non so come né quando era successo ma a un certo punto mi ero convinto che tutto quello che diceva lei era giusto mentre quello che dicevo io era sbagliato.
    Dentro di me sapevo che non era una cosa normale, in una coppia, ma le sue argomentazioni erano sempre così sensate e puntuali che alla fine dovevo darle ragione. Così, dopo un po', cercai di non prendere più decisioni importanti, anche solo per non vederle smontate da mia moglie. Era molto più semplice lasciarle prendere a lei.
    Anche quella notte, al pronto soccorso, lasciai che fosse lei a spiegare quello che era successo. Stava raccontando ai dottori di come fossi stupidamente caduto dalle scale. Mentre l'infermiera mi disinfettava la ferita sullo zigomo e il medico metteva due punti sul sopracciglio, lei continuava a parlare, gesticolando, con la sua voce dolce e melodiosa che purtroppo tirava fuori solo davanti agli estranei.
    Io non aprii bocca, ero ancora stordito per il colpo alla testa e mi vergognavo troppo: l'infermiera carina mi guardava come fossi un bambino scemo, aggrottava le sopracciglia ogni volta che mia moglie aggiungeva particolari all'avventura di quella notte.
    Appoggiando le dita laccate al petto, ricordava di come si fosse svegliata sentendo il forte rumore e di come mi avesse trovato in fondo alle scale che dal soggiorno portano alla zona notte, privo di sensi e in un lago di sangue.
    Sinceramente non la ricordavo proprio in quel modo: eravamo appena rientrati da una cena con la mia famiglia e lei era molto alterata perché mia cognata aveva annunciato la seconda gravidanza. Mi stava gridando contro per questa ennesima mia mancanza, non che avesse torto, da anni cercavamo un bambino.
    Comunque: eravamo ormai sull'ultimo scalino della rampa che portava alle camere da letto quando la vidi girarsi verso di me con uno sguardo di fuoco, la guardai appoggiare la sua mano sulla mia spalla e sentii una spinta che mi fece perdere l'equilibrio. Quello che successe dopo, sinceramente, non lo ricordo ma il risultato fu un braccio ingessato, due punti di sutura sul sopracciglio destro e una leggera commozione cerebrale. Poteva andare peggio, spiegò mia moglie al telefono, parlando con mia madre, per avvisarla dell'accaduto. Ovviamente, aveva ragione lei.
    Passai la notte in ospedale, per via del colpo alla testa, lei era tornata a casa.
    La mattina dopo mia madre si affacciò sulla porta della camera e non nascose un sospiro di sollievo quando vide che ero da solo.
    Le madri: sempre ansiose e possessive. La mia non sopportava mia moglie e negli ultimi tempi non cercava nemmeno di dissimulare quei sentimenti. Dimmi la verità, mi chiese, sedendosi sul letto accanto a me, è stata lei, vero?
    Per la centesima volta dovetti farle notare che io ero un uomo grande e grosso mentre la mia cara mogliettina una fatina esile. Ma come poteva venirle in mente una cosa simile? Alzai un po' la voce, per farle capire che sapevo difendermi da solo, se ce ne fosse stato bisogno, ma non ce n'era, le giurai.
    Per niente al mondo le avrei confessato l'inferno che era diventata la mia vita. Troppo il dolore, troppa la vergogna, troppo il terrore di vedere la delusione nei suoi occhi. Aveva cresciuto un uomo, mi aveva fatto studiare, mi aveva dato tutto, compreso tanto amore e una famiglia solida e unita e se le avessi confermato i suoi dubbi sarebbe morta di dolore, non potevo accettarlo.
    Sulla strada verso casa, mia moglie era silenziosa. Sapevo che si sentiva in colpa, succedeva sempre.
    Ogni volta, dopo le sue crisi di rabbia, si scusava.
    Guidando in mezzo al traffico, mi lanciava occhiate preoccupate e la lasciai crogiolare nella sua ansia. Questa volta l'avrei fatta penare, prima di darle il mio perdono. Questa volta sarebbero rimaste delle cicatrici ben visibili sul mio volto, era andata troppo oltre e lo sapevamo tutt'e due.

    Ci eravamo conosciuti dieci anni prima, a una festa di amici comuni. Fu amore a prima vista. Lei era un bravissimo e rampante avvocato di un noto studio legale, nonostante la figura esile si capiva subito che era una donna con un carattere molto forte; si prendeva quello che voleva e con mia grande soddisfazione, aveva voluto me. Io lavoravo come cassiere in una banca, in perenne attesa di una promozione. Dopo poco più di un anno eravamo sposati, mi angosciava un po' il fatto che il suo stipendio fosse molto più alto del mio, ma lei non me lo faceva pesare, era dolce con me come era aggressiva in un'aula di tribunale. Eravamo felici e innamorati e quando sarebbe arrivata la mia promozione, i nostri stipendi si sarebbero livellati e io non avrei più avuto quel senso di inadeguatezza. Ma la promozione non arrivò. Due anni dopo il nostro matrimonio la banca fallì e io mi ritrovai disoccupato.
    Nel frattempo, invece, la sua carriera era decollata. Era diventata socia dello studio legale e riscuoteva parcelle esorbitanti. Anche le ore che passava al lavoro, però, erano lievitate. Passava molto tempo fuori casa e quando rientrava era ovviamente stanca e irascibile. Da parte mia cercavo di renderle il più possibile la vita facile, almeno a casa. Durante il giorno facevo le pulizie, mi sembrava giusto, dato che non contribuivo con uno stipendio e la sera le facevo trovare la cena in tavola, sforzandomi di farla felice con i piatti che preferiva. Continuavo a mandare curriculum in ogni posto della città dove poteva servire un contabile ma anche dopo diversi mesi, non avevo ancora trovato un lavoro. Alla fine smisi di cercare.

    In quel momento, dentro la macchina che ci riportava a casa, mi chiesi quando fosse successo. Le discussioni c'erano sempre state, ma c'era stata quella prima volta che la lite era degenerata, e io non ero riuscito a prevedere quello che sarebbe accaduto. Lei mi aveva schiaffeggiato e poi eravamo rimasti tutti e due pietrificati. Nel silenzio che era seguito, avevo visto i suoi splendidi occhi riempirsi di lacrime. Poi si era inginocchiata davanti a me, abbracciandomi le gambe e scusandosi tra i singhiozzi. Non sarebbe più successo, aveva giurato. Non mantenne la promessa.
    Perché dopo quel primo colpo, quella prima avvisaglia del suo temperamento violento, ho lasciato che succedesse di nuovo?
    Me lo stavo chiedendo e non sapevo darmi una risposta. Mi massaggiai lo stomaco sopra la giacca, per scacciare quella dolorosa stretta al petto. Ero proprio patetico e potevo prendermela solo con me stesso.
    Avevo lasciato che accadesse: dopo il primo occhio nero da giustificare ai vicini, avevo smesso di replicare, cercavo di non farla arrabbiare, di accondiscendere a ogni richiesta. Ma quello non l'aveva fermata. Alla fine smisi di farmi vedere dai vicini. Quando uscivo per le commissioni, mettevo occhiali da sole anche con la pioggia incolpando una congiuntivite allergica e avevo trovato un correttore abbastanza scuro da mettere sulle parti che non potevo coprire con i vestiti. La avvisavo con qualche giorno di anticipo se dovevamo andare dai parenti, in modo che lei sapesse che non doveva colpirmi in faccia nei giorni precedenti. Ero diventato suo complice. Vittima e connivente allo stesso tempo, le avevo tacitamente dato il permesso di usarmi come sacco da boxe per sfogare la rabbia.

    Dopo quella notte in ospedale avevo capito di non avere nessuno a cui rivolgermi, mi aveva isolato completamente. O forse mi ero allontanato da solo, per vergogna, per non dover mentire sull'origine dei segni delle sue percosse.
    La osservai parcheggiare sotto casa con millimetrica precisione il nostro SUV.
    Non aveva detto una parola, ogni tanto mi aveva lanciato sguardi indagatori. Non aveva pianto, non ancora, ma sapevo che appena la porta di casa si fosse chiusa dietro di noi sarebbe scoppiata in lacrime chiedendomi perdono, sicura che glielo avrei concesso. Le prime volte c'era stato del buon sesso riparatore, che ci lasciava esausti e convinti che l'amore che provavamo l'una per l'altro avrebbe vinto, ma negli ultimi mesi non ero riuscito nemmeno in quello. Non mi sentivo più abbastanza uomo, non ero più abbastanza uomo.
    Non ero più in grado di prendermi cura di me stesso e non potevo rischiare di mettere al mondo un bambino. Anche quel sogno era crollato sotto i colpi della mia dolce fata, che tanto dolce, alla fine, non lo era.
    Non mi deluse: appena dentro casa mi si gettò al collo, facendo cozzare i bottoni del suo cappotto contro il gesso e forse fu proprio quel rumore che ruppe l'incantesimo, che mi dette la forza. O forse la notte che avevo passato lontano da lei, o le parole di mia madre.
    La allontanai da me con un gesto brusco, lei sollevò le mani davanti a se, come in segno di resa. Abbassò la testa. Mi perdoni, vero? Mi chiese, guardandosi la punta delle scarpe. Mi allontanai di un passo, per osservare da capo a piedi il suo splendido corpo, ancora stretto nel cappotto umido di pioggia. Osservai mia moglie, la mia fata ma quello che vidi fu la mia aguzzina. Delle sue gambe perfette ora vedevo solo il modo in cui le usava per colpirmi, le sue braccia magre e le mani curate mi ricordavano le sberle e i graffi. La bocca carnosa che avevo trovato tanto dolce all'inizio ormai era solo il veicolo di tutte le parole terribili che mi aveva gridato contro negli anni. Nei suoi occhi non riuscivo più a vedere l'amore che giurava di provare per me. Ero stato così stupido.
    Ammettere quello che stava succedendo non mi avrebbe sminuito, non mi avrebbe reso meno uomo. Lasciarsi spaventare dai mille problemi che sarebbero sorti lasciandola, quello sì, mi stava trasformando in una persona debole.
    Non più. Non sarebbe accaduto di nuovo.
    Senza togliere la giacca, mi diressi verso le scale, fermandomi un attimo a guardare il punto in cui la chiazza di sangue aveva lasciato un alone scuro sul parquet. Senza un attimo di esitazione, entrai nella nostra camera, presi la valigia da sopra l'armadio e la aprii sul letto. Lei mi aveva seguito, mi girava intorno come un cucciolo smanioso di coccole, cercando con me una connessione visiva. Voleva che la guardassi negli occhi, convinta che, se lo avessi fatto, sarei rimasto. Si era trattenuta dal toccarmi, si limitava a piangere e parlare. Continuai a riempire la valigia buttando dentro tutti i miei vestiti mentre la sua voce mi arrivava ovattata, come da un altro pianeta. Voleva stare con me. Aveva bisogno di me. Mi amava.
    Parole vuote le sue, parole bugiarde e senza senso.
    Sospirai prima di alzare gli occhi su di lei, cercai il suo sguardo. Non servirono altre parole.
    Con la mano sinistra cercai il cellulare nella tasca della giacca e composi il numero di mio fratello, per fortuna nella selezione rapida. Lei aveva fatto un passo indietro, guardandomi stupita.
    Sono io, sono a casa, puoi venire a prendermi? Dissi al telefono. Guardandola negli occhi, incassai il “finalmente” di mio fratello e riattaccai. Non ero solo: potevo farcela.
     
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    Sperando che tutti possiate vederlo in streaming col browser del pc, ecco i link dei video:
    Versione leggera, da guardare in streaming, col browser del pc. (Ris. 640x480 px)
    Versione in HD .zip <--(rimosso)
    Versione in HD , (Ris. 1920 px) in streaming, col browser, in una pagina che non è quella del racconto.
    Le versioni in streaming si possono anche scaricare sul pc, facendo - nel browser - Salva pagina con nome.

    Su YouTube non me l'hanno fatto caricare, perché eccedeva di 7 secondi. :angry:

    AxumELaVoceComeQuellaDiVittorioFeltri :D

    Trammy carissima,
    questo tuo racconto "si vede", ci mostra ogni sottile sfumatura attraverso le frasi esposte con una forma che non "racconta" bensì mostra i fatti e i dettagli in modo nitido. Con pochissime descrizioni, rendi i due e gli altri, ma anche gli ambienti, visibilissimi, perché con le parole stimoli l'immaginazione, senza importi sul lettore. La lettura, infatti, è, non solo altamente scorrevole, anche avvincente.
    Il brano contiene un apice ad alta emozione. La serie di quelle che apparentemente sembrano ripetizioni, fanno parte dell'ottimo uso dell'anafora, che viene meglio in prosa, anziché in poesia (vale anche per la metafora).
    La forma è semplice ma curata, perché è quella che favorisce la scorrevolezza, ma questo dipende dalla maestria con cui usi la sintassi, e da come riesci ad annidare molte subordinate senza far perdere il filo portante del narrato, che cresce ad ogni riga, crea apparenti pause che dopo conducono a esplosioni emotive "a bomba".
    Sì, hai fatto anche "rime tra concetti", perché lui soffre in silenzio, se ne accorge ma rimanda le cose, poi le ripensa, e infine le risolve.
    A chi importa se parliamo di "John" e "Maria", quando il racconto si legge come fosse un film corto? A un bel niente, perché il lettore, in un racconto elettrizzante come il tuo, si concentra sui fatti, non sull'anagrafe, e questo è stile. Vale molto anche l'assenza totale di dialoghi diretti, che passano tra le righe, rendendo ancor meglio dei dialoghi stessi.
    Appena trovo altre quattro ore per continuare questa recensione, ti metterò l'altro 99% di tutto quel che vorrei dirti in merito a questa one shot, già difficile da creare, dato il tema inverso. L'applauso scatta sulla spinta dalle scale, perché il lettore si chiede, fin dall'incipit, come farà un'acciuga a far del male fisico (forte) a un omone? Tu hai trovato quel che ci voleva per mantenere la verosimiglianza dei fatti esposti.

    AxumAfiume :o:

    Edited by Axum - 27/12/2018, 00:21
     
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    Non scherziamo: Axum ha una bellissima voce e sa anche cantare ;)
    Questo è il più bel regalo di Natale che potessi ricevere, grazie di nuovo.
    Per quello che riguarda la tua recensione... Sono senza parole e questo dimostra che non sono una grande scrittrice ma che ho avuto una fortunata ispirazione ;)
    Grazie davvero :wub:
     
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  9. Liborio
     
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    Trammy,
    sono convinto che le parole siano superflue in certi casi. La lettura di questo brano risale a circa una quindicina di giorni fa circa (o venti... boh?), ne è seguita una seconda, poi una terza per ripassare dei punti (amo le riletture).
    La storia è ben strutturata, non si sopportano le banalità! Poi certi passaggi rendono proprio l'idea; uno su tutti: "era dolce con me come era aggressiva in un'aula di tribunale" (in linea con la caratterizzazione della tipetta!).
    Il resto è storia.
    Trammontana, che dirti? Non deludi mai!
     
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    Orbetello

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    Grazie Liborio.
    Sono felice che tu abbia apprezzato questo lavoro :)
     
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    Il cavaliere tenace

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    Una cameretta perennemente disordinata.

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    Eccomi, ho l'occasione di proseguire con le recensioni.
    Che dire Trammy, il tuo è l'ultimo racconto che ho letto, ma prima avevo già buttato un occhio alle votazioni. Non ci è voluto molto per capire che il tuo testo merita davvero tanto.
    Reduce di altre letture dei tuoi testi, sapevo che avresti giocato in casa, sei estremamente brava a esplorare la psiche di un personaggio fragile anche con poche righe. Ricordo ancora un tuo testo sulla violenza, in quel caso su una donna, che rifletteva sulla sua situazione di fronte a un lavandino, ho proprio l'immagine nitida.
    Questo significa che i tuoi racconti sono talmente intensi da permanere nella memoria, e non è una cosa scontata, soprattutto in un forum dove si vedono testi in ogni dove.
    Sono colpito di come sia fluido e naturale, scorrevole e credibile. Parole giuste al posto giusto, fa apparire facile il lavoro dello scrittore: sono i testi che preferisco.
    Sono fiero di essere stato sconfitto da te, in questo caso.
    Di nuovo congratulazioni, Trammy!
     
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10 replies since 4/12/2018, 19:14   266 views
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