Il rifugio dello scrittore

I Giorni del Gigante: Il caso della Signora P.

Parte 6

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  1. GiorgioFochettini
     
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    Negli episodi precedenti...




    Ancora una volta il signor L. si trovava di fronte quel quadro. Ancora una volta il bambino ritratto lo guardava. Ancora una volta stava aspettando la signora P.
    Il signor L. era sicuro che quel quadro non fosse un oggetto d’arredamento, quel bambino non era un soggetto qualsiasi, giunto per dare un poco di colore al salotto di casa P.
    I momenti che passava davanti a quel ritratto, erano interminabili dialoghi.
    Decise di fare una foto.
    Si sedette, aspettando che la signora P. giungesse. La giornata era trascorsa tranquillamente, ma forse le troppe emozioni di quei giorni lo avevano affaticato, perché sentiva un’insolita stanchezza.
    Mentre aspettava, la sua mente andò a Beatrice, si chiese se fosse ancora ospite, o se invece fosse ripartita.
    Non la vedeva da due giorni, ma gli sembravano anni. Socchiuse gli occhi e ricostruì l’immagine del volto di Beatrice. L’ immagine originale era rimasta così vivida che non fece la minima fatica.
    Sembrava di attimo in attimo, sempre più solida. I tratti più marcati del volto. Poi iniziò a prendere forma il collo e a seguire, due curve dolci davano vita alle spalle, tra le spalle il seno e poi giù, ancora, fino al ventre. Il signor L. non poteva far altro che ammirare quella meraviglia, ammirare la perfezione trigonometrica di ogni curva, mentre il suo occhio continuò avido oltre, fino alle gambe, le caviglie, i piedi. Scendeva sempre di più nella perdizione, sentiva la gioia del dolore e quando si trovò in ginocchio, ad abbracciarle le gambe, si sentì soffocare. Il bisogno di redimersi e il bisogno di ritrovare la luce nella sua personale commedia erano opprimenti.
    Si alzò e cercò gli occhi, scuri e profondi, si perse in quell’universo.
    Poi vi cadde dentro e cominciò a precipitare inesorabilmente. Cercò un appiglio, cercò di vedere il fondo. Si contorceva e scuoteva, tentò di urlare. Urlò, ma non era la sua voce. Fermo a mezz’aria nel nulla, vide una figura avvicinarglisi, l’urlo divenne stridio. La figura brandiva un’ascia lucente, non riusciva a vedere nient’altro se non il contorno. Mentre continuava a librare in aria, dietro la figura si materializzò un lago. Scoprì di non stare librando, ma di essere dentro una gabbia. Lo stridio divenne un frastuono insopportabile. Tra il lago e la figura, sorse un capanno. Da i muri del capanno sgorgava del sangue, il capanno stesso sembrava soffrire.
    La figura si faceva di passo in passo sempre più grande, titanica, il rumore insopportabile.
    Il signor L. prese a dimenarsi, ma ora era in catene, qualcosa lo teneva per le braccia.
    La terribile sagoma aveva raggiunto la sua prigione e aveva preso a colpirla furiosamente con l’ascia.
    Il signor L. implorava pietà, mentre anche il lago si colorava di rosso.
    Intanto l’ascia aveva rotto parte della gabbia, la figura era entrata. Il volto deforme. La bocca prese a spalancarsi, sempre di più. Il signor L. si coprì il volto con le mani per non assistere a tanto orrore.
    Pensò di urlare, doveva urlare più che poteva e urlò con quanta voce aveva in corpo.
    La figura di Beatrice era tornata. Era di fronte a lui. Lui era sul divano e si trovava in salotto.
    Era parecchio sudato e nelle orecchie sentiva ancora il rumore del suo urlo.
    Stava per dire qualcosa a Beatrice, ma era troppo sconvolto. In quel momento, era arrivata anche la signora P., allarmata per le urla.
    - Signor L. si sente bene?
    Il signor L. non era in sé, ma a poco a poco la realtà si faceva sempre più concreta e riuscì a lasciarsi quel terribile incubo alle spalle.
    - Sto bene… grazie, io… devo essermi addormentato e…
    - E hai fatto un brutto incubo…
    Beatrice aveva ragione, era stato un incubo terribile.
    - Penso che ti serva un poco di riposo. Zia, per oggi tu e il signor L. non avrete il vostro colloquio. La signora P. non batté ciglio. Andò via come se arrivata nella stanza, l’avesse trovata vuota.
    Il signor L. pensò di averla spaventata e accennò delle proteste nei confronti di Beatrice.
    Lei però riprese: - Ascoltami, penso che tu sia parecchio stressato, non hai una bella faccia. So di cosa parlo, sono un medico, ricordi?
    Il sorriso di Beatrice aveva definitivamente riportato il signor L. alla realtà. O meglio, aveva trasformato un orrendo incubo in un bellissimo sogno.
    Beatrice parlava e lui non era attento alle parole, ma solo alla forma. Lei si stava preoccupando per lui, si stava prendendo cura di lui, gli dava attenzioni.
    - Se non ti va, nessun problema.
    - Scusami, penso di essere ancora un poco confuso. Cosa non mi andrebbe?
    - Ti ho proposto di fare un giro in centro, mangiare qualcosa fuori, giusto per svagarsi.
    Beatrice lo stava invitando ad uscire insieme, a fare due passi. Era magnifico. Acconsentì.
    Chiese a Beatrice se intanto poteva avere un bicchiere d’acqua e se fosse stato possibile usare la toilette. Poi sarebbero usciti.
    Beatrice andò a prendere dell’acqua. Il signor L. invece andò in bagno e quando vide la sua immagine sconvolta riflessa nello specchio, si sentì l’essere più stupido del pianeta.
    Riacquistata la piena lucidità, non poteva credere di aver urlato, sbraitato e forse anche pianto sul divano di un’estranea e di fronte a Beatrice.
    Era imbarazzatissimo. Si sciacquò il viso, sperando che i suoi occhi, versione rubino, tornassero presto alla normalità. Si sistemò e uscì dal bagno. Ripercorse il corridoio che portava alla cucina. In fondo a questo c’era una vetrata. Quando si avvicinò, diede un occhiata fuori.
    Fece una grandiosa scoperta. Da lì era possibile scorgere un angolo del capanno.
    Continuò a guardarlo, finché non ritornarono alla mente le immagini sconcertanti del suo incubo. Ricordava di aver visto molto sangue e ora giungevano nuovi ricordi, di arti sviscerati, di corpi mutilati e di una figura, con un’ascia.
    Non trovava la forza di staccarsi dalla vetrata, come se volesse rendersi testimone di una verità terribile e incombente.
    La sua verità giunse presto.
    Sulla riva del fiume, nascosta ora sì, ora no, dagli alberi, una figura si dirigeva al capanno.
    Il signor L. senti la bocca farsi asciutta. Decise che sarebbe andato a vedere, che aveva bisogno di risposte, ma le sue gambe non erano dello stesso avviso e permanevano, immobili.
    Anche stavolta Beatrice lo riportò alla realtà, accendendo la luce in corridoio.
    - Va tutto, bene? Sei riuscito a riprenderti? Serve qualcosa?
    - Sì, va tutto bene. Sto molto meglio, grazie.
    Beatrice gli fece un sorriso, poi si avvicinò alla vetrata e chiuse i vecchi tendoni porpora.
    - Se vuoi possiamo andare.
 - Dopo di te.



    Fu Beatrice a scegliere il locale. Erano poco fuori il centro, in una stradina che aveva un’aria romantica. Sedettero l’uno di fronte all’altra.
    - Quindi tu sei nata e cresciuta qui, anche se hai studiato fuori.
 - Esattamente. Mio padre fece di tutto affinché io potessi studiare fuori, così andai a studiare medicina in Svizzera. All’inizio non fu semplice. C’erano una serie di difficoltà enormi. In primis il tedesco, poi le nuove amicizie, i nuovi luoghi, la lontananza dal mare, da casa e soprattuto dal cibo a cui ero abituata.
    Seguì una simpatica risata, che Beatrice realizzava sempre, portandosi il dorso della mano proprio sotto il mento. Il che - secondo il signor L. - lasciava trasparire ogni sua dote: l’intelligenza, la dolcezza, l’educazione.
    Quella mano sembrava sostenerla, ma anche proteggere chi, vicino a lei, doveva subire la bellezza del suo sorriso.
    Mentre Beatrice continuava a parlare, al signor L. ritornarono alla mente alcuni dettagli di poche ore prima sul divano. Alle immagini che la sua mente aveva ricreato, quando aveva pensato a Beatrice.
    La sua espressione cambiò. Non guardava più Beatrice con simpatia, ora la guardava con desiderio.
    Lei dovette accorgersene, perché ritrasse subito la mano e assieme all’altra, la portò sotto il tavolo, congiungendole e stringendosi nelle spalle, guardando imbarazzata alla sua destra.
    Proprio da lì arrivò il cameriere, con la loro cena.
    Il signor L. si meravigliava ogni secondo di più di come riusciva, allo stesso tempo, a dar seguito alla chiacchierata con Beatrice, mentre nella sua mente si affollavano decine di pensieri ed emozioni.
    - Sono preoccupata per la zia.
    - Sta male?
    - Credo di sì, credo sia peggiorata negli ultimi mesi.
 - Pensi sia colpa mia, voglio dire, credi che la stia stancando?
 - No, no, affatto. E’ un bene che abbia una compagnia diversa ogni tanto…
“Una compagnia diversa”: al signor L. queste parole parvero un chiaro segnale di aiuto.
Tutto iniziava a farsi interessante. Tuttavia qualcosa lo turbava. Beatrice aveva scelto di uscire con lui per chiedergli aiuto? O era davvero interessata a stare con lui? Come poteva essere possibile che lui a lei non piacesse? Per tutta la sera aveva pensato il contrario. No. Ci doveva essere un’altra spiegazione. Si fece pensieroso, ma tentò comunque di non darlo a capire a Beatrice.
Questa però vedendolo scuro in volto, lo interrogò sulle sue condizioni.
 - Va tutto bene, è solo che in queste settimane, avendo modo di conoscere la signora P., mi sono affezionato a lei e sapere dei suoi problemi di salute mi rattrista.
 - Sei gentile a preoccuparti della sua salute. Tuttavia non dimenticare di trascurare la tua!
    Eureka! Il signor L. c’era arrivato, era questo il punto. Beatrice non gli aveva chiesto di uscire, per poi convincerlo a proteggere la signora P., stava tentando di proteggere lui.
    Poi un flash e per poco non balzò dalla sedia.
    La tenda! Beatrice aveva chiuso la tenda, perché suo zio era lì fuori, andava verso il capanno, andava a fare qualcosa che non andava vista. Qualcosa che, se scoperta, lo avrebbe messo in pericolo. 
Quindi Beatrice sapeva e anche la signora P. sapeva. Solo che la signora P. voleva il suo aiuto, Beatrice, che lo amava, aveva intuito tutto e tentava di allontanarlo dalla signora P. affinché lui non finisse in pericolo.
    Per questo la signora P. oggi si era allontanata con dispiacere! Per questo il signor P. non era in casa e per questo lui era seduto in un ristorante a parlare con Beatrice del più e del meno.
    A questo punto era tutto chiaro. Questo però Beatrice non doveva saperlo. Avrebbe fatto finta di essere sciocco, aveva bisogno di ritornare in quella casa. Aveva bisogno di scoprire cosa stava succedendo e inoltre non aveva alcuna intenzione di lasciare Beatrice e la signora P. nelle mani di un mostro.
    Sarebbe stato imperdonabile lasciarle in balìa di quell’uomo, senza averne più notizie. Erano troppi i motivi per continuare, rispetto a quelli per mollare.
La cena di quella sera non avrebbe cambiato niente, Beatrice avrebbe colto la sua ostinazione e si sarebbe presto rassegnata al fatto che lui sarebbe stato sempre al loro fianco.



    La serata si concluse serenamente. Il signor L. tornò a casa e si mise a letto.
    Non riuscì però a prendere sono fino all’alba. Continuava a girarsi e rigirarsi nel letto. A scoprirsi e coprirsi. Andò in bagno, bevve dell’acqua, uscì fuori a fumare una sigaretta.
    I movimenti sinuosi del fumo in quella notte, salivano ondeggiando sensualmente verso la luna.
    Nella mente del signor L. tornò Maria. Erano seduti su una panchina a Friedrichschain, una notte d’estate. A Berlino le notti d’estate erano brevi. La luna era grande nel cielo. Maria era sdraiata sulla panchina e aveva poggiato la testa sulle gambe del signor L., ai tempi ancora troppo giovane.
    Era splendida e sorrideva, portava un vestitino delizioso, lui non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, se non quando liberava con forza il fumo dai suoi polmoni.
    In tutti gli altri momenti, il signor L. disegnava e ridisegnava con gli occhi il corpo di Maria, ardendo di desiderio ogni volta che il confine tra il vestito e le sue gambe veniva valicato.
    Lei sorrideva e gli diceva che sarebbe stato un grande regista, che sicuramente qualcuno si sarebbe accorto del suo talento.
    Poi il fumo svanì e con esso quest’immagine.
    Il signor L. si appoggiò alla ringhiera del balcone e, guardando la sigaretta bruciare da sola, pensò all’ironia del tempo, che scorre e si brucia anche quando stai solo a guardarlo.
    Maria apparteneva al passato, sapeva di non avere più alcun sentimento per lei. Quel nome, quel corpo, erano solo un contenitore di emozioni. Tenevano in sé anche parte delle sue giovani speranze e tanti dei suoi sogni.
    Aveva viaggiato molto e conosciuto tante persone, aveva conosciuto persone e personaggi, aveva vissuto in sceneggiature rocambolesche.
    Non riusciva a dormire.
    Tornò dentro e si distese ancora una volta. Supino, portò le mani dietro la nuca.
    Il flusso di pensieri continuò finché non gliene balenò alla mente uno: aveva fotografato il quadro.
    Tornò in piedi, andò verso la scrivania, accese la macchina fotografica e iniziò a cercare la foto del quadro. Era lì, di fronte a lui. Decise di passarla sul laptop per poterla vedere meglio, poterne meglio cogliere tutti i dettagli.
    Aprì il file e si mise lì ad osservare. Provò a non farsi ipnotizzare ancora una volta dal quadro.
    Prese il suo taccuino e iniziò a scrivere ogni dettaglio che riusciva a notare.
    Annotò qualsiasi cosa, convinto che scrivendo ora questo, ora l’altro, avrebbe poi trovato delle cose importanti. Anzi, era certo che qualcosa fosse balzato fuori.
    Magari qualcosa che potesse spiegare cosa succedeva nella villa della signora P., quali pericoli correvano Beatrice e la signora. Quali verità conoscevano. Sperava di trovare degli indizi sul passato, sempre più tenebroso, del signor P.
    Doveva fare in fretta. Era indispensabile non perdere tempo. Ogni momento poteva essere pericoloso per Beatrice e la signora.
    Se si fosse rivolto alla polizia? Ma per cosa? Non poteva andare lì e dire che aveva udito delle voci strane. E se poi non avessero trovato niente? Come avrebbero reagito la signora e Beatrice?
    Doveva riuscire ad avere qualche prova in più, qualche cosa che potesse incastrare una volta e per tutte quell’essere.
    Doveva essere anche cauto, il signor P. era sicuramente una persona molto furba e ogni passo falso poteva rivelarsi fatale.
    Sarebbe stata una partita a scacchi, ogni mossa andava valutata attentamente, sapendo che lo scacco matto sarebbe dovuto arrivare molto presto.

    Edited by GiorgioFochettini - 7/7/2018, 10:42
     
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  2. BitFrau
     
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    Lo stai portando avanti con coerenza e mantenendo sempre vigile l'attenzione del lettore. Non facile per i racconti lunghi. Complimenti!
    Quante parti mancano ancora? Vuoi fare un romanzo?
     
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  3. GiorgioFochettini
     
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    Ciao,

    prima di tutto grazie per aver letto anche questi 14.000 caratteri.

    Rispondo subito dicendo che non ne ho idea. Come ho già detto qualche volta, non sono uno scrittore, né ho velleità particolari. A volte ci sono dei momenti in cui mi riposo un poco, socchiudendo gli occhi. E lì arrivano dei personaggi, degli scenari, dei profumi, delle sensazioni, dei pensieri, dei ricordi e così via. Allora, se non sono troppo stanco, butto giù su un foglio queste cose.
    Ed è quello che è successo con la prima parte.

    Sono cose scritte di getto, fantasticherie.
    A volte mi affeziono però a quello che esce fuori e tento di tenerlo in vita. A questo punto le domande devono trovare una risposta. Se basterà una parte o no, questo non lo so. Lo sanno i miei personaggi.

    Quanto pensi che sia giusto portarla avanti secondo te?
     
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  4. BitFrau
     
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    CITAZIONE (GiorgioFochettini @ 1/7/2018, 13:04) 
    Quanto pensi che sia giusto portarla avanti secondo te?

    Fosse un mio racconto lo avrei già chiuso e credo alla prima parte! :D Non perché il tuo non funzioni, ma perché io non sono capace di fare racconti lunghi... sono limitata. :unsure:
    il tuo finora funziona benissimo, ma se non vuoi farne un romanzo ( e per il romanzo ci sarebbero da inserire altre componenti...) penso che dovresti cominciare a fare confluire gli elementi verso un epilogo. Fino a quando possono reggere i vari incontri con la signora P., le visioni del signor L., il quadro e le altre situazioni? Finora, ripeto, funzionano. Non risultano ripetitivi e intrigano.
     
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  5. GiorgioFochettini
     
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    A che componenti ti riferisci? In senso strutturale?
     
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  6. BitFrau
     
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    CITAZIONE (GiorgioFochettini @ 1/7/2018, 14:39) 
    A che componenti ti riferisci? In senso strutturale?

    Sì.
    Magari anche altri personaggi e situazioni, ovviamente contestuali alla trama.
    Però, non so se i miei consigli possano esserti utili, non sono una competente di romanzi... Sicuramente, qui, ci sarà qualcuno più ferrato/ta di me! ;)
     
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5 replies since 30/6/2018, 19:33   53 views
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