Il rifugio dello scrittore

E infine...

Esercizi di scrittura creativa

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Editor

    Group
    Amministratore
    Posts
    5,138
    Location
    Verona

    Status
    Carissimi,

    sull'onda virtuosa del grande KISHUSEIKO, che vi sta deliziando con gli incipit da "scatenare" affinché si abbia un vero racconto, ecco la versione speculare:

    E infine...

    Tu, che ci stai pensando: se ti va, la frase può rappresentare il finale, così com'è, ma nessuno dice che non puoi allungarla, però nella zona prima della frase proposta.

    Così come in casa Kishu, anche qui i limiti in fatto di caratteri sono identici a quelli da lui espressi.

    Questo, né quello di Kishu, sono "contest", gare, sfide, né altro che contempli la competizione. È soltanto un modo per esercitarsi in materie di immaginazione e creatività.

    Dopo aver postato il proprio racconto, allora - volendo - possiamo commentare quello, o quelli altrui.

    Finali (a scelta, anche multipla: tre finali scelti = tre racconti da creare; un finale = un racconto, due, quattro... = tanto quanto).

    1 Ebbe quel che meritava già da tempo immemore. Lisa e Mauro poterno avviarsi lungo la nuova vita.

    2 Da quel momento, non fu più lei.

    3 La fece franca, di nuovo.

    4 Sarebbe finita?

    5 Nessuno poté aggiungere altro.

    6 Presa la nuova auto, si avviò orgoglioso verso la baita. Alla vista della prima curva a gomito si accorse che il pedale del freno era scomparso.

    7 Anni perduti... La fabbrica di scarpe non sarebbe mai più risorta.
     
    Top
    .
  2.  
    .
    Avatar

    “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi.” Albert Einstein

    Group
    abilitati in shoutbox
    Posts
    1,716
    Location
    Milano

    Status
    Per ricordare.
    Se gli amministratori lo giudicheranno "off topic"
    oppure fuori tema, lo bannerò immediatamente

    Giulia, tutte le mattine usciva spensierata di casa per correre in stazione.
    Come un tic tac di un pendolo, il treno scandiva le sue giornate iniziando ad avvolgerla con lo stridio delle ruote sui binari, fermarsi, per poi accompagnarla fin quasi sul posto di lavoro.
    Era una fredda mattina del 5 dicembre.
    Una leggera nebbiolina gelata s’intrufolava sotto i vestiti a dispetto del bavero tirato su e ben allacciato.
    «Strano, non fa più freddo del solito, eppure…» Pensò tra sé e sé, rabbrividendo fin nelle ossa.
    Non vedeva l’ora di ritrovarsi con le sue colleghe nel solito bar sotto l’ufficio. Un cappuccino bello bollente spruzzato con il cacao, e la “briochina”, quella con la crema, l’adorava.
    Certo avrebbe dovuto trattenersi, la linea aveva la sua fottuta importanza in quel mondo dove “apparire” al meglio, era un valido lasciapassare per ogni dove.
    «Se sei gnocca, tutto è più facile!»
    Vedendo lo sguardo perplesso degli altri passeggeri, si accorse d’aver pensato ad alta voce.
    Si sentì avvampare a discapito del freddo, rendendosi conto d’esser diventata paonazza al pari di un alcolizzato.
    Cambiò immediatamente vettura, sotto lo sguardo divertito di un giovanotto che aveva osservato tutta la scena.
    «Giulia sei proprio scema!» bofonchiò mordendosi le labbra.
    Arrivata alla sua fermata del passante ferroviario, scese di corsa, prese la scala mobile, e via schizzando verso l’ufficio.
    Ecco, le amiche già chiuse al calduccio nel bar, la salutarono vedendola entrare tutta intirizzita.
    Come streghe in un sabba, iniziarono a sproloquiare spettegolezzando a più non posso sui colleghi e colleghe.
    Non ebbero pietà di nessuno, e nessuno si salvò dai loro dardi infuocati.
    Ma quella mattina Giulia non era d’umore giusto.
    C’era qualcosa di strano, un’insolita sensazione di disagio si era impossessata di lei, ma non riusciva a capirne il motivo.
    Non ascoltava neppure più il gossip mattutino, doveva esser accaduto qualcosa quella mattina, ma non riusciva a captare cosa.
    Ripercorse mentalmente tutto il suo tragitto di quella mattina.
    Niente, tutto come al solito, stessa monotona storia, come sempre.
    «Cos’hai Giulia, ti vedo inquieta. È successo qualcosa?» le disse la sua collega Anna.
    «No nulla! Sono io che sono strana oggi, ma non capisco perché!»
    S’incamminarono verso l’ufficio starnazzando come al solito.
    Giulia invece era concentratissima su sé stessa.
    Pensando e ripensando, a un certo punto ebbe un’illuminazione.
    «La scala mobile!» gridò nel suo pensiero.
    Si concentrò su quello che aveva visto.
    Sulla pedana di accesso alla scala c’era impresso il nome del costruttore: “ThyssenKrupp”!
    Il suo pensiero volò a capofitto alla notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, quando sette operai morirono bruciati vivi, a Torino.
    Accortasi di questo capì immediatamente quel che il suo subconscio le aveva tramesso.
    Accedere su quella scala, per lei era come calpestare il ricordo di quelle povere persone, ignorare l’orribile supplizio nel quale persero la vita.
    Di fronte a una tragedia di quel genere, perdeva tutto senso: la linea, il bell’apparire, le malignità sui colleghi, la brioche alla crema,…
    Un senso d’angoscia profondo le tolse il fiato.
    Non sarebbe mai più riuscita a utilizzare quelle scale mobili.
    Sciocco, ma non avrebbe più potuto farlo.
    Come forse non si sarebbe più votata all’effimero senza dare un senso a quello che faceva.
    Per rispetto di quelle vite perse.
    Da quel momento, non fu più lei.

    Quella Giulia è un personaggio vero, è una cosa successa al sottoscritto, ovviamente agghindata per il racconto, ma da quella volta evito quelle scale mobili


    Edited by stonestein - 21/11/2017, 15:18
     
    Top
    .
1 replies since 19/11/2017, 22:28   78 views
  Share  
.