Il rifugio dello scrittore

IL MAESTRO

Storia di un maestro e del suo amore per i suoi alunni

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    Alberto si sentiva pronto per trasferirsi in un paese sulle montagne nell’entroterra di Imperia, il paese si chiama Cosio d’Arroscia.
    Aveva già portato a termine un ciclo completo, stava finendo il secondo. Aveva portato alle medie venti bambini e bambine, ora ne stava portando altri venti.
    Aveva sentito i loro problemi, i loro sogni, le loro paure, ora aveva voglia di cambiare, gli era capitata un’opportunità, nei bandi di trasferimento aveva visto che c’era un posto a Cosio d’Arroscia.
    Si era informato, Cosio d’Arroscia è un paese di qualche centinaio di anime, però, ci sono un piccolo asilo e la scuola elementare.
    Lui stava insegnando nelle scuole elementari di Largo Ghiglia a Imperia.
    Quando mancava poco alla fine del secondo ciclo, il Provveditore lo aveva chiamato.
    Alberto si era presentato, speranzoso che la domanda che aveva presentato, fosse andata a buon fine.
    - Alberto! – Aveva detto il Provveditore.
    - La sua domanda di andare in un’altra sede, l’ho valutata e a malincuore, badi bene, lei è un maestro di prim’ordine, l’ho accontentata.
    Alberto sorrise, finalmente, avrebbe insegnato in un’altra scuola.
    - Andrà come da lei richiesto, nella scuola elementare, nel paese di Cosio d’Arroscia.
    Alberto era al settimo cielo, fece uscire fuori l’aria, si sentiva dentro un frizzo, avrebbe voluto fare dei passi di ballo, ‘finalmente’ pensò, avrebbe cambiato aria e avrebbe percorso la Statale 28, la strada che da Imperia porta al Colle di Nava.
    - Grazie! – aveva detto Alberto, quella voglia di saltellare era ancora in lui.
    - Grazie! Signor Preside, cercherò di essere sempre il maestro che sono stato qui.
    Durante gli esami dei suoi ragazzi, lui aveva contattato le famiglie, aveva spiegato che si sarebbe trasferito.
    Aveva ricevuto gli auguri dei genitori, tutti lo avevano ringraziato per avere preparato bene i propri figli.
    Alla consegna degli esiti, aveva parlato ai suoi ragazzi.
    - Ragazzi, avete finito le scuole elementari, siete stati buoni allievi, sono convinto che la strada che vi aspetta sarà piena di soddisfazioni, dovete studiare come avete fatto fino ad ora. Avrete degli insegnanti nuovi, dovrete avere rispetto per loro come lo avete avuto con me. Mi raccomando, fatevi onore.
    Alcuni di loro avevano le lacrime agli occhi, lui per loro era stato un padre, un amico, un confessore, una persona corretta e sincera.
    Uscendo dalla scuola, Alberto si era girato per guardare l’insieme, aveva insegnato lì per anni, voleva che gli rimanesse impresso, quel posto è stato per lui, una seconda casa.
    Appena laureato, grazie al suo punteggio eccellente, aveva ottenuto un piccolo incarico lì, proprio nella scuola che in seguito lo avrebbe visto come maestro.
    Ricordava il primo anno, era entrato in classe e si era trovato davanti venti piccoli angioletti, loro lo guardavano e lui aveva avuto un momento di panico.
    Poi era andato tutto bene, lui aveva preso il ritmo giusto e aveva legato con i suoi ragazzi.
    Ricordava le parole del Preside, dopo il primo anno, i genitori lo avevano elogiato, i bambini erano felicissimi del loro maestro, il Preside lo aveva nominato maestro dell’anno.
    Gli anni a seguire erano stati molto istruttivi per lui, vedeva i suoi ragazzi crescere, i suoi insegnamenti andavano a buon-fine.
    Poi aveva assistito agli esami della quinta elementare.
    I colleghi, che avevano esaminato i suoi ragazzi, erano rimasti stupiti dal grado d’istruzione che avevano raggiunto.
    L’anno successivo, doveva iniziare un secondo ciclo, le richieste dei genitori di avere lui come insegnante, avevano subissato la segreteria della scuola, il Preside era stato in difficoltà e addirittura per non favorire nessuno, aveva indetto una estrazione per formare la nuova classe.
    Alberto voleva andare a vedere il posto, voleva sentire la sensazione che ne avrebbe avuto.
    Prima che l’anno iniziasse, era andato a Cosio d’Arroscia, era andato a vedere la scuola, voleva essere tranquillo che non ci fossero problemi di vario genere.
    Lo aveva ricevuto il sindaco, Martini Alessandro.
    - Signor Ramella, la ringrazio di avere accettato di insegnare ai nostri bambini, sono sincero, il Provveditore aveva già contattato altri maestri e maestre, ma nessuno ha accettato di venire qui.
    - Grazie signor sindaco, ho accettato volentieri di venire nel vostro grazioso paese, ho visto la scuola; è tenuta bene, devo solo chiederle di far riparare una finestra che mi sembra pericolante.
    - Non si preoccupi, sarà tutto pronto per l’inizio dell’anno scolastico. A questo proposito le vorrei far conoscere i genitori dei suoi futuri alunni.
    Così dicendo, aveva preso per un braccio Alberto e lo aveva fatto accomodare in una saletta.
    Quando erano entrati, i genitori gli avevano fatto un applauso, erano contenti che almeno un maestro fosse arrivato.
    Il sindaco aveva fatto accomodare tutti e disse.
    - Amici, cittadini, il signor Ramella Alberto, sarà il maestro qui da noi.
    Aveva fatto un cenno ad Alberto.
    - Grazie dell’accoglienza, sono molto contento di essere qui, spero di portare avanti il programma con i vostri ragazzi. Io voglio creare un colloquio con i miei alunni e con le loro famiglie. Chiunque abbia problemi, troverà la mia porta sempre aperta. Vedrete che tutti insieme faremo il bene dei vostri figli.
    Applausi, i genitori a quel primo incontro erano tutti uniti e contenti.
    Alberto era contento, la piccola scuola era in buono stato, i genitori sembrano persone socievoli e buone, i bambini non erano tanti, doveva soltanto prepararsi a gestire i vari programmi delle varie classi.
    Sapeva di essere un buon maestro, a Imperia era sempre stato considerato un maestro di eccellenza.
    Il Provveditore in varie occasioni lo aveva gratificato, era sempre presente con i suoi ragazzi, aveva sempre avuto ottimi rapporti con i genitori.
    Non vedeva l’ora di iniziare, aveva sempre voluto fare il maestro, aveva in mente il suo di maestro; se lo ricordava come se fosse ancora davanti a lui, Giuseppe, era stato un maestro meraviglioso, se lo ricordava quando lo faceva andare alla lavagna, lui rimaneva lì davanti con il gessetto in mano, il maestro lo spronava a scrivere il risultato, lo aiutava in ogni occasione, tutti i bambini avevano amore per Giuseppe, era un maestro sempre presente, aveva un rapporto benevolo con tutti i suoi ragazzi, i genitori lo adoravano.
    Finalmente l’anno iniziò.
    Alberto era già in classe, a dire il vero era lì da un’ora, aveva girato la piccola scuola.
    Era una casetta su un piano, entrando, c’era una piccola cucina, molto ben attrezzata, c’era tutto l’occorrente per poter preparare qualcosa di caldo, c’era un frigo e una lavastoviglie.
    A sinistra c’era un bagno e girando l’angolo si entrava nell’unica aula disponibile.
    Qui c’era una lavagna, sembrava quella di Garibaldi, però era funzionante e fornita di gessetti e cancellino.
    C’erano du file di banchi, erano dodici postazioni, più che sufficienti per gli alunni che erano otto.
    Due finestre fornivano luce a volontà, per l’inverno avrebbero avuto due termosifoni per riscaldarla.
    Alberto era già innamorato di quella scuola, lui si ricordava la sua, all’inizio era in un edificio che una volta era stato il comune di Castelvecchio.
    Poi aveva proseguito nelle nuove scuole costruite per ospitare una cinquantina di bambini e bambine, vicino al santuario di S.M.M. (Santa Maria Maggiore)
    La sua cattedra era leggermente rialzata dal pavimento, c’era un rialzo di legno.
    Si sentiva emozionato, stava aspettando i suoi nuovi bambini.
    Prima dell’inizio, una signora si presentò.
    - Buongiorno signor maestro, io sarei la bidella, se ha bisogno, sono in cucina.
    Alberto prese la signora per un braccio.
    - Cara signora, io mi chiamo Alberto, lasci perdere il signor maestro, Alberto è più semplice. Lei come si chiama?
    La signora rimase colpita, nessun maestro in precedenza l’aveva pregata di usare il nome.
    - Io… io mi chiamo Giovanna, sono ormai trent’anni che sono qui. Davvero posso chiamarla per nome?
    - Giovanna, noi lavoriamo insieme, fra colleghi ci si dà del tu. Non devi avere nessun timore, Io potrei essere tuo figlio.
    - Alberto, lo sai che nessuno mi ha mai chiesto questo, tutti mi hanno sempre dato ordini, prendi questo, prendi quello, vai a prendere l’altro…
    - Giovanna, ora le cose cambiano. Noi ci daremo del tu e ti prometto che sarò gentile, è normale essere educati, se vogliamo che i nostri ragazzi abbiano rispetto, dobbiamo noi a essere i primi a dare rispetto.
    - Ohhh! Alberto, è bello sentire queste parole, credo che starò bene insieme a te, voglio dire… nel senso che lavorerò con soddisfazione, beh ci siamo capiti.
    Erano le otto, i bambini arrivarono accompagnati dai genitori, era il primo giorno e nessuno avrebbe perso quell’occasione.
    Alberto che già conosceva i genitori li aveva fatti entrare insieme ai propri figli.
    Una volta dentro, la bidella chiuse la porta.
    - Cari bambini e bambine, oggi per me è il primo giorno di scuola.
    I bimbi si erano messi a ridere.
    Una bambina, la più piccola disse.
    - Ma signor maestro, te sei grande…
    Alberto sorrideva, quei bambini erano sorridenti, erano felici di essere a scuola.
    - Allora, bambini, vi chiedo di lasciare perdere il signor maestro, io mi chiamo Alberto, mi dovrete chiamare così.
    I presenti erano a bocca aperta, nessuno aveva mai detto cose del genere, anzi quelli che erano arrivati prima, sembrava che quando gli si rivolgeva con signor maestro, fossero più appagati.
    Alberto lo sapeva, anche dov’era a Imperia, c’era la pomposità del signor maestro.
    - Sentite! Disse Alberto.
    - Essere un maestro, non è questione di titoli o di ossequi, essere maestro è una missione, è avere a cuore i bambini che hai, portarli avanti, insegnare loro a scrivere, a leggere, parlargli dei nostri poeti, dei nostri scrittori, è insegnargli l’educazione, il rispetto fra di loro e per gli altri, fargli capire che le bambine devono essere rispettate, devono capire che se si fanno danni alla natura, questa domani ci fa qualche brutto scherzo e sicuramente ci chiederà il conto, insomma, questo è essere un maestro.
    Cominciò un papà a battere le mani, subito dopo fu un tripudio di assensi e di grazie.
    Poi i genitori andarono via e i bambini si stavano scegliendo i posti e i compagni.
    La classe era fatta, ogni bambino aveva i suoi libri e quaderni sul banco.
    - Bambini, ora vi devo sistemare per classe, non preoccupatevi, saremo tutti insieme. Lo capite vero, chi frequenta la prima ha un suo programma, e via così per gli altri.
    Così dicendo prese un banco e lo mise alla sinistra della cattedra.
    - Bene, Andrea e Lucia questo è il vostro banco.
    Poi prese un altro banco e lo mise vicino al primo.
    - Paolo questo è il tuo banco, sarai solo ma vedi che sei vicino ai tuoi amici.
    Prese altri due banchi e li mise vicino agli altri.
    - Marco, Marisa e Mirko, voi occuperete questi due banchi.
    Un altro banco venne aggiunto agli altri.
    - Margherita, tu starai qui.
    Infine, l’ultimo banco venne sistemato.
    - Kuni, questo è il tuo posto.
    In pratica aveva messo la cattedra in modo che tutti i suoi ragazzi fossero a ferro di cavallo intorno a lui a semicerchio.
    I bambini si guardavano, sorridevano e sembrava che quella disposizione fosse di loro gradimento.
    Alberto era soddisfatto, aveva adottato quella soluzione perché gli era venuto in mente che nessuno doveva avere una posizione di privilegio o di raccomandazione, i suoi ragazzi erano intono a lui.
    Prese il registro e segnò tutti presenti.
    Poi come aveva sempre fatto, si mise seduto vicino ai suoi bambini, li guardava, vedeva i loro occhi che lo scrutavano e li vedeva sorridere.
    - Bene! Adesso facciamo due chiacchere, la lezione può aspettare.
    I bambini lo guardavano a bocca aperta.
    Guardava quei piccoletti, aveva nelle sue mani le loro giovani menti, i loro cuori.
    - Bene ragazzi, ora cerchiamo di conoscerci. Io vi dirò delle cose di me, poi a turno mi direte delle cose di voi.
    - Alberto! – Andrea aveva una vocina esile.
    - Te come ti chiami di cognome?
    - Bravo Andrea, una domanda giusta.
    - Io mi chiamo Alberto Ramella, sono nato a Imperia e ho 27 anni.
    Un’altra piccolina parlò.
    - Alberto, come si chiamano tuo papà e la tua mamma?
    Quella domanda aveva fatto venire un nodo in gola ad Alberto.
    - Allora Lucia, mio papà si chiama Armando Ramella, ha sessant’anni, mia mamma…
    Il nodo in gola diventava sempre più grande.
    - … mia mamma, è morta quando avevo dieci anni, si chiamava Giuseppina Ascheti.
    I bambini erano tutti con il capo chino, forse pensavano alla mamma del maestro.
    Lui aveva capito e subito disse.
    - Allora vediamo. Marco, dimmi qualcosa di te.
    Il bambino, si strusciava le mani sul grembiule.
    - Beh, io… io mi chiamo Marco Belli, ho otto anni, sono nato qui, i mei genitori si chiamano Leonardo e Silvia.
    Gli altri bambini risero, la cosa era di loro interesse.
    Un bambino alzò la mano.
    - Dimmi Kuni, sentiamo chi sei.
    Il bimbo, era il più grande, faceva la quinta.
    - Io sono Kuni Sape, ho dieci anni, vengo dall’Albania e i miei genitori sono Kanasa e Luja.
    - Bene bambini, è bello avere un amico che viene da un altro stato, lui ha lasciato la sua terra per venire da noi, tutti noi gli dobbiamo rispetto e amicizia. Giusto bambini?
    Risposero tutti in coro.
    - Si Alberto.
    Erano le dieci, entrò Giovanna, la bidella.
    Alberto, scusa, se volete fare una pausa, abbiamo dei dolcetti e del te bello caldo.
    Alberto, non se lo fece ripetere due volte.
    - Brava Giovanna, bambini andiamo in cucina, facciamo una pausa e poi iniziamo le lezioni.
    La tavola era piena di dolcetti e bicchierini di plastica con il te fumante.
     
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    Ciao Eliseo,
    ho letto con interesse il tuo brano, e mi sono chiesto se la storia abbia un seguito.
    Per mera deformazione professionale (sono un revisore di testi destinati all'editoria, un "editor", come si dice oggi), ho pensato alle ridondanze presenti nell'incipit ma poi ho creduto che si tratta di ripetute modifiche che, probabilmente, hai effettuato nel tempo, con stati d'animo diversi. Accade spesso a chi si cimenta in Narrativa con le dovute riflessioni e ripensamenti, generando, appunto, ridondanze che si potrebbero diluire, o stringare. Quindi, non mi metterò a fare "il maestro", tanto per restare in tema. ;)
    Il tuo racconto vive in "un mondo perfetto", che io stesso ricordo in modo vivido, almeno per quanto riguarda la scuola di un tempo.
    Mi congratulo per il contenuto poiché mette in evidenza "gli anni luce" che ci sono tra quel tempo e l'oggi.
    Se hai un seguito, mostracelo qui di seguito, in questa stessa discussione.
    Grazie per la partecipazione !
     
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    SI, Axum, c'è un seguito, ho ancora 18 pagine, il romanzo devo ancora finirlo. Devo valutare alcune idee per portarlo avanti. Sicuramente farò saltar fuori una fidanzata e alcune situazioni per movimentare la storia.
     
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2 replies since 25/1/2024, 17:54   28 views
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