Il rifugio dello scrittore

Insolubile - Capitolo II. Tremolio.

La fine dell'umanità.

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    Uno sfarfallio nelle immagini disegnate dalla trama delle cose elettroniche sugli ubiqui schermi ne aveva perturbato l’invariabile perfetta nitidezza. Un tremolio brevissimo. Un impulso disturbatore di un momento. Banale. Insignificante. Restarono, comunque, tutti sorpresi. Quello che sbalordì non fu tanto il tremore in sé, una futilità, piuttosto il fatto che fosse un evento inopinato. Inopinato per una semplicissima ragione: perché mai prima d’allora era stato osservato a memoria d’uomo. Non se ne rinvennero testimonianze neppure negli annali conservati con cura nei vasti archivi fin dai tempi bui delle guerre del silicio, quasi all’atto stesso consultati. I memoriali, dagli antichi ai più prossimi, non riportavano cenno alcuno di analoghi incidenti. Per tutto quel tempo, mai sembrava essersi verificato nulla di comparabile. Il Padre, dal momento in cui era stato attivato, aveva agito senza errori, senza imperfezioni: nemmeno le più microscopiche, amministrando accuratamente il pianeta intero.

    Che quel cervello indefettibile avesse, per paradosso, commesso un errore? Forse, aveva lasciato emergere, dopo secoli, un’imperfezione. La quale s’era manifestata per l’appunto con quello sfarfallio che aveva suscitato lo sbigottimento nell’umanità dispersa per tutto l’ecumene. Operando il Padre su scala planetaria, il suo malfunzionamento non poté infatti che estendersi all’intero mondo.

    Usa a nulla di meno che alla perfezione, come dirompe la stizza dell’enfant gâté mancandogli il narcotico dei cadeaux cui s’è assuefatto, la viziata società sotto la tutela del Padre interrogò la gerarchia degli ingegneri con malcelato disappunto, chiedendo con urgenza chiarimenti per quella pur fugace anomalia. Questi non facevano eccezione: accostumati alla dipendenza dall’infallibilità della macchina, erano poco a non dir nulla abituati alla pubblica disapprovazione. Ragion per cui sentirono di essere il bersaglio d’una critica esagerata e fuori luogo, e, offesi, reagirono in maniera scomposta. Si rivolsero in gran numero al Sommo Maestro dell’Ordine, colui che sedeva al vertice. Gli indirizzarono appelli in gran copia, affinché intervenisse con la propria autorevolezza: perché ponesse termine, o almeno resistesse, al biasimo che veniva loro manifestato a seguito dell’inaudito fenomeno, del quale, presi alla sprovvista, riconoscevano non poter dare spiegazione alcuna. Il Sommo Maestro non poté rimanere a lungo indifferente a quelle istanze. Sospinto dal lesto accrescersi di queste, prese l’iniziativa in difesa dell'intera gerarchia. A fortiori, quando divenne evidente che, soverchiati dal subisso d’irrisolte interrogazioni i sottoposti, i loro interpelli s’erano con rapidità genuflessi nella posizione di suppliche, e disperate.

    Oltre che nelle indispensabili pubbliche dichiarazioni, l’intervento del Sommo Maestro si concretò nell’affidare all’ingegnere Decano di Prima Classe Hilbert, già suo stretto collaboratore, il coordinamento d’una speciale unità di ricerca e d’intervento, composta degli ingegneri ritenuti più capaci. Una ventina di persone in tutto, compreso lo stesso Hilbert.

    A quest’unità fu data l’ossuta ma impegnativa designazione di Commissione. Ad essa venne affidato il compito d’indagare il fenomeno, determinarne le cause, e proporre rimedi, assegnandole le necessarie risorse. Sotto il profilo formale, naturalmente lo stesso Hilbert ne fu posto a capo con la carica di presidente.

    Non ancora radunati i prescelti, il disturbo si manifestò di nuovo. Questa volta gli sfarfallii furono due, assai ravvicinati ma nettamente distinguibili.

    Il moto tellurico che aveva preso ad agitare la popolazione a seguito di quel rinnovarsi raddoppiato dello sgradevole malfunzionamento, tornò a scaricare la sua magnitudo sull’Ordine, il quale, una volta ancora soccorso pubblicamente dal prestigio della sua figura apicale, si sforzava di diffondere la calma tra i cittadini invocando la Commissione: che avrebbe a brevissimo principiato a riunirsi; che avrebbe proposto al più presto validissime soluzioni. Chiedeva pazienza alla gente, insistendo sulla natura nulla più che estetica degli incidenti.

    L’ascendente del Sommo Maestro fu sufficiente a placare il tremore che attraversava l’opinione pubblica, la quale, non vedendo l’ora di ritornare alle sue faccende e di dimenticarsi di quella seccatura, fu ben contenta di affidarsi ai sacerdoti del Padre, che avevano contribuito per tanti secoli a preservarla in salute e ben nutrita, tornando ciascuno alla propria esistenza, spazzata volentieri la trascurabile polvere dei subiti disagi sotto il tappeto della fiducia nell’Ordine e nel supremo Padre.

    La Commissione, sotto la presidenza del Decano Hilbert, da allora si riunì molte volte. Dispose controlli e ispezioni, segnatamente al groviglio di cavi e fibre ottiche che si dipartivano dalla sala di controllo diretti ai terminali in superficie. Ogni grado della gerarchia fu implicato, per tutto il globo, nell’opera di revisione dei canali di trasmissione e degli innumeri utilizzatori in superficie. Un’impresa titanica, che tuttavia fu ritenuta necessaria, nonostante il dispendio di risorse che comportava. Un’operazione tanto gigantesca quanto inutile. Sorvolando su qualche cavo deteriorato, alcuni connettori ossidati e un pugno di relè guasti, non furono rilevati malfunzionamenti. Quanto a quelli censiti, in nessun modo avrebbero potuto produrre un effetto di estensione diversa da quella locale.

    La Commissione, nonostante i mezzi impiegati, era ferma al punto di partenza. Nessuna ipotesi avanzata dai suoi pur autorevoli membri sembrava reggere alla prova dei fatti. E i fatti andavano ulteriormente aggravandosi. I tremolii degli schermi si presentavano ora con frequenza e intensità crescenti: si manifestavano più spesso, e le aberrazioni delle immagini erano sempre più estese e prolungate. Il ritmo del degrado appariva con chiarezza in via di aumento. Tanto evidentemente da non sfuggire alla popolazione distratta e condiscendente dispersa per il globo, che reiterò la tiepida protesta.

    Col trascorrere del tempo, con la soluzione ancora di là da venire, agli innocui sfarfallii si accompagnarono ben più fastidiosi disagi. Iniziarono ad aggiungersi ai tremolii imprevedibili cali di energia, che causarono ritardi sulle linee di trasporto: dapprima di pochi secondi; poi sempre più lunghi. Finché una monorotaia continentale rimase bloccata per oltre sei ore in un territorio desertico assai ostile.

    Le comunicazioni al pubblico da parte del presidente Hilbert, minuziosamente preparate e corroborate dalla rispettata parola del Sommo Maestro, erano comunque sufficienti a rabbonire la gente, ansiosa di tutto, fuorché di nuovi e sconosciuti impicci.

    Il fatto era però che, nonostante gli artifici lessicali degli specialisti della comunicazione, la Commissione procedeva a tentoni nel buio più assoluto.

    Una sinistra scintilla di luce apparve quando, dopo una serie di misurazioni seguite a un’interruzione di energia, si venne a scoprire che per ragioni oscure un’inversione di polarità era occorsa nei circuiti di potenza. Ragion per cui l’energia, anziché affluire al sistema utilizzatore, ne defluiva, assorbita dal Padre attraverso i cavi diretti alla stanza di controllo.

    Il fenomeno, come i precedenti, era del tutto nuovo e inspiegabile. Si sapeva per certo che la macchina era dotata di una propria fonte autonoma di energia, capace di soddisfarne ogni necessità. Gli antichi avevano lasciato alla posterità rassicurazioni in merito nei pochissimi testi che avevano ritenuto di tramandare. Perciò un riflusso di energia esterna verso il nucleo era inimmaginabile, inconcepibile. Eppure, era avvenuto.

    Furono allora ricontrollati tutti i dati disponibili relativi agli sfarfallii e agli altri incidenti, in cerca di eventuali perdite di potenza, che vennero puntualmente riscontrate in occasione di ogni fenomeno.

    Fu certamente un passo avanti, che conduceva però verso un precipizio. Cioè metteva in luce un’anomalia che scaturiva con ogni evidenza dalla stessa intimità inaccessibile dell’intelligenza incavernata. Un’interiorità sconosciuta, al più favoleggiata, della quale non si possedevano né esperienze, né testimonianze, avendo i costruttori con ogni scrupolo provveduto a cancellarle dalla memoria del genere umano.

    I disagi andavano espandendosi e acuendosi. Quando, perduta l’energia che lo alimentava tramite il raggio guida emesso dalle stazioni a terra, un aereo passeggeri si schiantò al suolo non lasciando sopravvissuti, la pur dimessa opinione pubblica rumoreggiò. Alcuni, certamente i più agitati, non più d’una manciata d’individui particolarmente sanguigni, accusarono la Commissione di essere responsabile, a causa della sua incapacità, della morte delle persone precipitate con l’aeroplano. Si parlò vagamente di dimissioni del presidente, e di nebulose possibilità di rimpasto. Ipotesi inconsistenti che il Sommo Maestro comunque ritenne di respingere con fermezza, sostenendo pubblicamente il suo collaboratore: gli rinnovò la sua fiducia, così come a tutti i membri della speciale unità. Di migliori semplicemente non ve n’erano. La gente si quietò. Il fuocherello vanesio e circoscritto della protesta si spense: il popolo s’ammansì quasi subito, confidando nella superiore laica santità del clero irregolare servitore della divinità immanente incavernata nel sottosuolo. Scordò ben presto la disgrazia, tornando beato alla tranquilla sua vita, ciascuno rinchiuso nei suoi piccoli amori e occupato a contemplare se stesso, ben felice di riporre assoluta fede nella parola dei profeti della macchina, cui delegava gioiosa, per comodità e pigrizia, la cura della propria esistenza.

    Quelle accuse, sebbene fossero null’altro che effimere fiammelle soffocate dall’umida negligenza di un’umanità felicemente impegnata a occuparsi di tutto fuorché di sé, non furono tuttavia prive di conseguenze per il presidente della Commissione. Quantunque sostenuto dal superiore, il Decano fu colto da una crisi di sconforto, nel corso della quale prese una deliberazione estrema. Decise, nel momento del massimo scoramento, di far ricorso a una persona cui mai avrebbe desiderato rivolgersi. Mandò a chiamare, nonostante l’accesa disapprovazione degli altri membri della Commissione, l’ingegnere Ramanujan.
     
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