Il rifugio dello scrittore

Il Notaio. E i convenuti.

Sic transit gloria mundi

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    Per quanto sia stimato e il suo ruolo indispensabile al funzionamento ordinato della nostra evoluta società, hélas la morte, prima o dopo, deve pur bussare anche alla porta del notaio. E così dovette fare, in ossequio agli uffici suoi, anche all’uscio del notaio Bertolotti. Però, che fosse per dispetto, o per lenire un poco la monotona mestizia del suo agire, oppure per quella sciatteria che di tanto in tanto mostra nella lugubre opera sua, volle presentarsi in orario d’ufficio, e d'un giorno feriale. Così, le toccò reclamare il dovuto all’indirizzo dello studio.
    Il notaio Bertolotti, che stava al secondo piano, porta B, nell'elegante palazzina ora “Del Tulipano”, ma che fu del Battistini, lo storico costruttore del primo novecento, la cui marmorea filantropia occhieggiava i visitatori dal profilo in bronzo incastonato nelle steli dell’atrio dell’ospizio e della scuola materna del paese, venne a mancare all’età veneranda degli ottantotto anni, nel bel mezzo d’una stipula. Nel corso dell’alienazione d'un terreno per la precisione. Così diligente! attaccatissimo al suo studio com'era! sino all'ultimo. Se si vuole, letteralmente.
    Gli sventurati comparenti, agl’accenni di tosse, credendo sulle prime si trattasse di un’innocua deglutizione mal condotta a destino dalla venerabile epiglottide, affaticata da tanta lettura, si limitarono a porgergli educatamente una bottiglietta d’acqua estratta rapida dalla borsetta d’una di loro. Ancora chiusa la bottiglia, s’intende: per educazione. I medesimi, loro malgrado, dovettero commutare tuttavia, nell’arco di qualche secondo, dal solidale spirito di quella garbata offerta a un truce spavento, vedendo la mano destra contratta del rogante, anziché afferrare la bottiglia, artigliare il petto con evidenza dolente, e abbandonare, esalando un rantolo a detta di tutti terribile, la minuta che reggeva nella sinistra a un aereo squadernarsi, e a uno scomposto rovinio sul parquet tirato a lucido e incerato di fresco. Precipitando poi il notaio al suolo appena dopo nell’intera persona con un sonoro sbaamm! e poltrona che ne sorreggeva le terga e tutto il notarile abito di gessato grigio che lo ricopriva, giù con lui.
    Lì per lì, una volta scemata la sorpresa, la maggiore preoccupazione s’indirizzò al povero vegliardo, caduto eroicamente nell’adempimento del dovere. Che per un notaio è assai più che onorevole, questo è certo, e bisogna dargliene il merito per quanto postumo.
    La professoressa Zambelli, intervenuta quale parte venditrice, pur senz'altro in preda anche lei alla comprensibile agitazione che s’era creata in sala stipula, ma d’altra parte usa agli studenteschi malori, veri o immaginari che fossero, ebbe abbastanza prontezza di spirito da telefonare subito al numero di emergenza.
    Di lì a poco però, constatato con una scrollata di testa e in via definitiva il decesso, da parte d’uno psichiatra esercitante nel vicino ospedale… ma sì, … il dottor Perrone! peraltro un cugino in secondo grado della Zambelli: quello stesso che aveva così brillantemente curato, dosando con sapienza psicofarmaci e tisane, il grave esaurimento della maestra dell'asilo. Come si chiamava? Gambarini, ecco! maestra Gambarini. Già, proprio lei. Quante sculacciate rifilate a gratis alle povere creature! ne minacciava di schiocchi nel delirio persino ai commessi del supermarket! Così, senza motivo. Un pericolo pubblico, che c’era da prender paura a incontrarla per via, con quella faccia torva torva, dove che fosse. Che giorni orribili! sissì, era proprio lei, la maestra Gambarini. Di sicuro. Esattamente. Allora… insomma, il Perrone psichiatra… s'era ritrovato, e nella disgrazia fu anche se si vuole una fortuna, tra i venditori anch’egli: per causa della quota d’un terreno ereditato da uno zio del quale non vedeva l’ora di disfarsi. Del terreno è ovvio, ché allo zio aveva già provveduto la natura. Sicché… per l’appunto… si diceva … a seguito di quella inappellabile constatazione del dottore, il Perrone, i pensieri dei presenti, riavutisi dallo sbalordimento, recuperata appieno la ragione e ristabilita la completezza della facoltà che rende possibile il dispiegarsi del raziocinio finanziario, si volsero rapidamente all’esito della stipulanda compravendita. Sempre più incavernando il notaio, alla cui perdita era stata dianzi fornita tanto autorevole asseverazione, ipso facto assunta come liberatoria, negli antri del subconscio.
    In merito a quella, cioè alla compravendita, si rimarcava infatti, per bocca della summenzionata Zambelli, il fatto che la sua integrale lettura fosse già avviata a conclusione. Anzi, poteva dirsi pressoché terminata, non mancando che qualche riga di prammatica, i patti essenziali della quale essendo già stati notificati ai convenuti dalla voce del morituro notaio pochi minuti avanti, quando ancora presidiava da vivente seduto in poltrona l’ufficio di solenne garante delle conformità giuridiche. Si levarono tuttavia, per reazione, alcune voci contrarie, nel dettaglio dei compratori, i quali collettivamente, ma con più foga il signor De Benetti, diffidavano con gran strepitare, avendo recuperato anche loro la piena consapevolezza e la totale disponibilità del senso del portafogli.
    La tanto terribilmente interrotta compravendita, per farla breve, non era chiaro se avesse da ritenersi conclusa, e quindi valida a tutti gli effetti, oppure no, avendo preso corpo tra i mormorii della stanza repentinamente amplificatisi, ambedue le concorrenti interpretazioni.
    Pur nella sopraggiunta funesta circostanza, il principio della certezza del diritto parve a tutti in egual misura non potersi sospendere così alla leggera. Senza cioè trasmettere drammatici scuotimenti all'interezza dell'ordinamento giuridico, di cui sarebbe venuto a cadere un principio fondante. E su quest’ultimo punto si trovarono senz’altro tutti d'accordo, sebbene, come si vedrà a breve, per ragioni opposte. Perciò, dovendo quel dogma irrinunciabile seguitare a operare secondo le convergenti opinioni dei comparenti in sala, s’imponeva che fosse fatta piena luce su questo aspetto tutt’altro che secondario della validità dell'atto, sebbene così atrocemente troncato, ma la cui interruzione non poteva essere ragionevolmente addossata in alcun modo agli intervenienti.
    In maniera del tutto naturale, quasi istintiva, gli italici convenuti si divisero in un attimo, come sogliono fare in qualunque analogo contesto, tra guelfi e ghibellini: nel caso di specie, va da sé, tra venditori e acquirenti. Sostenevano i primi che l'atto dovesse ritenersi nella sua sostanza concluso, e reclamavano dunque quanto pattuito in concambio dell’alienando terreno; recalcitravano dubbiosi i secondi, i quali non avendo certezza dell'efficacia del rogito incompiuto, e quindi di poter prendere legale possesso del terreno in questione, tergiversavano trattenendo fra le mani gli assegni di sportello destinati ai venditori. Il suddetto concambio per l’appunto.
    Si accese, neanche a dirlo, una feroce disputa che degenerò in breve tempo in uno scambio d’accuse e d’insulti, nel trambusto della quale la professoressa Zambelli, inamidata insegnante di latino e greco in forza al liceo classico mandamentale, con tanto di spessi occhiali avvinti all’accessorio metallico d’una fine catenella, per sospenderli al collo quando occorresse, fu accomunata al più volgare pollame: apostrofata cioè più volte con l'epiteto di gallina, e di oca, che quasi ne svenne dallo sdegno, la misera. E senza saper poi, per causa dell'inqualificabile offesa paralizzata, ribattere colpo su colpo alle contumelie. Insignita, a rafforzamento dei concetti già espressi e più volte reiterati, persino del titolo di anatra da cortile dal concitato De Benetti, spalleggiato dal socio storico Barrelli della DBB & Figli Costruzioni società semplice; mantenendo per contro rispettosamente i detti figli un atteggiamento tutt’altro che ineducato, seppur facendosi intendere anche loro.
    La baruffa infuriava, nonostante i tentativi di moderazione da parte del contegnoso Perrone, che, pur senza rinnegare le proprie aspettative di venditore, metteva in campo con lo psicanalitico maglione a dolcevita, o tentava, tutte le sue arti psichiatriche, quando la tardiva ambulanza arrivò da chissà dove a sirene spiegate sotto lo studio. Tanta in quel frangente era la confusione dentro la sala stipula, che quasi copriva soverchiandolo l’acuto miagolio delle sirene.
    Allorché comparvero all’uscio i trafelati soccorritori, equipaggiati di una barella con rotelle e di tutte le loro diavolerie di pronto intervento stipate all’inverosimile dentro borse e zaini, i rogitanti, del tutto avviluppati dal turbine della contesa e disturbati perciò sul più bello, chiesero loro chi fossero, avendo, passati ad altre urgenze, ormai del tutto estromesso dalle coscienze il corpo esanime del venerabile professionista disteso sul pregiato pavimento ligneo.
    La disgraziata Lissoni, storica segretaria dello studio notarile Bertolotti, e assistente del medesimo, già terrorizzata e colle gambe di pietra dinanzi alla tragedia impreveduta, e non più nel fiore degli anni nemmeno lei, veniva, nel mentre che tentavasi l’impossibile resurrezione, subissata d'istanze dai comparenti, le cui formulazioni si liquefacevano nel babelico vociare dei presenti. Si ritrovava la derelitta bersagliata da destra e da mancina di contrastanti interpelli, e insistenti, affinché si pronunciasse, in guisa d’improvvisato giureconsulto, sulla validità del rogito, essendo ritenuta unanimemente, se si fa eccezione dei soccorritori da ben altra grana già impegnati, peraltro captati e all’atto stesso espulsi dagli orizzonti percettivi dei rumorosi litiganti, la più alta autorità in materia. La donna, che a malapena riusciva a reggersi in piedi, prima di svenire ponendo termine alle pressanti interrogazioni cui non avrebbe in ogni caso saputo dare risposta, ebbe la forza di raggiungere il telefono, e di avvisare tra le lacrime la domestica dell’ormai ex datore di lavoro di entrambe. La quale a propria volta quasi quasi, dal colpo ricevuto a freddo, ci rimaneva secca anche lei, povera stellina, con quindici anni di mutuo ancora da pagare e il posto di lavoro dissolto in un amen.
    Come sia finita la faccenda del rogito, ahimè non è dato sapere. Ma, quel che è certo, è che fu celebrato un funerale memorabile.
    C’erano stati innanzitutto i frenetici giorni che precedono le esequie cerimoniose delle usanze funebri di quei luoghi, fatti di “condoglianze” e di “grazie” sussurrati nell’ingresso della camera ardente damascata di porpora, allestita nel salotto buono della casa; di rosari e litanie; di santi da invocare e di demoni da scacciare; di documenti da sottoscrivere per avviare la denuncia di successione, e di vespilloni ai quali accontare le cospicue provvidenze, il saldo essendo gentilmente consentito dopo la sepoltura, in via eccezionale: in considerazione della dignità e certa solvibilità della famiglia del de cuius.
    A seguire s’era celebrato in pompa magna il funerale, in chiesa, col feretro adornato di fiori e corone d’alloro drappeggiate di nastri viola, “I cugini avviliti”, “I parenti tutti costernati”, “Il sindaco affranto”, “Riviva nella pace di Nostro Signore”.
    Salivano alle volte affrescate della navata gli eterno riposo recitati nella generale contrizione dalla folla nerovestita e a testa bassa di parenti, amici, conoscenti e semplici curiosi, attirati dalla funesta mondanità dell’evento per poter dire d’aver partecipato; le preghiere degli storici clienti, incarnazione dei repertori, delle raccolte e delle serie 1T, che non potevano certo mancare l’estremo saluto; e il mormorio sommesso di qualche debitore miracolato, confuso tra la gente salmodiante, che recitava cogl'occhi bassi le sue divergenti orazioni, indirizzandole a ringraziare l’inaspettata benevolenza di qualche santo speciale, patrono dell’insussistenza attiva, piuttosto che a facilitare il trapasso all’anima del defunto.
    Dopo la funzione s’erano poi messi tutti ordinatamente in cammino, eccetto i curiosi che avevano preferito il caffè che s’apriva sul sagrato, sulla via per il camposanto, dietro il parroco e il chierichetto aquilifero, il quale gli reggeva alla destra l’asta sormontata dalla croce in similoro: vessillo da battaglia alla testa della triste legione, che marciava afflitta e indifferente al colore dei semafori sotto l’attenta tutela dei vigili urbani, impegnati coi guanti bianchi e in alta uniforme a liberare la pubblica strada per consentire il transito al mesto corteo.
    Infine lo strazio del ticchettio irregolare dei ciottoli mescolati alla terra, ricadenti contro il legno laccato del definitivo tetto, due metri sotto il piano dei vivi, tac tic toc, ternario conto alla rovescia dell’ultima luce.
    Sic transit gloria mundi.

    Edited by CurzioG - 14/10/2022, 17:27
     
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