Il rifugio dello scrittore

Il genetliaco

Il segreto per un bel compleanno è abbassare le aspettative

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  1. Frank Rivers
     
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    Si svegliò tardi, come previsto.
    Tornò, in un battito e mezzo del cuore, da quella nebbia gelida e densa da cui affiorava una fila di volti indistinti che incombevano su di lei, urlando ognuno qualcosa di diverso. Il silenzio della sua camera fu un dolce contraltare. Sentì il cinguettio delle rondini, il richiamo più incalzante delle sterne. Il sole mandava lame di luce immobile attraverso la persiana semiaperta, l’aria calda sapeva di sale e di resina.
    La sveglia digitale sul comodino segnava 12.24. La sera prima aveva scommesso sulle quattordici, addirittura le quindici. Ricordava una serata gradevole, con una piccola macchia da qualche parte, forse, che non riuscì a identificare. Chiuse gli occhi e rimase sdraiata sul fianco, rivivendo gli eventi nella sua mente. Vide sé stessa in macchina con suo marito Amos, sentì la sua battuta sui parassiti al cervello causati dal sushi scadente e ricordò che aveva accelerato oltremodo quando il semaforo era diventato arancione. Mary e Leo erano al tavolo ad aspettarli. Ognuno aveva parlato dei suoi affari personali, resi più interessanti da una bottiglia di liquore alle prugne, niente di che. Né la cena né i discorsi. Poi c’era stato il pub irlandese, dove si erano aggiunte altre persone. A mezzanotte in punto Amos aveva ordinato una bottiglia gigante di vino bianco frizzante, una cosa enorme e bombata che fece fatica ad inclinare quando dovette versarne il contenuto. Brindisi, baci, auguri e tutte quelle menate. Era lì che avevano fatto tardi? Le tornò in mente un tizio in una sitcom che diceva “Il segreto per un bel compleanno è abbassare le aspettative”. Improvvisamente, quel film fatto di ricordi recenti non le piaceva più. Si sistemò sull’altro fianco, guardò frammenti di mondo esterno attraverso le imposte e, infine, notò il biglietto sul letto, dal lato di Amos. Ora ricordava: avevano festeggiato la sera prima perché il marito era oberato di lavoro per tutto il giorno. Lesse il biglietto. Era molto carino, ma la banconota che occultava alla vista era più interessante. Non un patrimonio, ma quanto bastava per togliersi qualche sfizio.
    “Non è romantico come ricevere un regalo ma pazienza” pensò Fanny.

    La loro casa era a una dozzina di metri dalla spiaggia, avvolta da alberi sempreverdi. Un angolo di paradiso frutto del lavoro di Amos. Lei aveva provveduto a entrambi per anni, prima che lui riuscisse ad affermarsi nel campo del giornalismo. Poi, qualche anno prima, era riuscito a realizzare il suo sogno, e stava ampiamente ricambiando la cortesia.
    “Però mi manca avere dei soldi miei” pensò.
    Il telefono vibrò nella sua tasca. Era sua sorella. Non aveva voglia di parlare, parte della sua coscienza era rimasta sul cuscino. Si fece coraggio e rispose.
    -Ehi, Lisa.
    -Buongiorno.
    Detestava le telefonate e ancor di più i convenevoli; i convenevoli al telefono le facevano venire la pelle d’oca dal fastidio. E più di ogni altra cosa, odiava…
    -Auguri! E sono trenta, eh?
    -Eh sì, grazie.
    Sognava una buca piena di cobra reali in cui tuffarsi.
    -Senti, io sono in centro tra poco. Che fai, vieni ché ho una cosa per te?
    -Davvero? Ma figurati, non c’era bisogno.
    Notò che molti rami resistenti si trovavano all’altezza giusta per un’impiccagione, ma sapeva fare un cappio? Aveva mai imparato? Non ricordava.
    -Vabbè, finiscila. Allora bar Kin8? Io ci metto venti minuti.
    -Okay, il tempo di prendere l’autobus, dai.
    -Perché, Amos non c’è?
    -No, oggi doveva andare fuori città per forza.
    -Ma dai, proprio oggi? Che pezzo di merda! Vabbè, senti, ci vediamo là, okay? A tra poco.
    -Okay, ciao.
    Il sentiero alla sua sinistra l’avrebbe condotta su per un’elevazione naturale del terreno, oltre la quale il resto della città iniziava a delinearsi e il resto del mondo a esistere. Iniziò a camminare svogliatamente, superò la collinetta e raggiunse la fermata dell’autobus. Di fronte, in un’officina per metà all’aperto, un ragazzino indiano sollevava un catorcio con un cric a pistone. Alla sua sinistra, nei tavolini di un bar sedeva un vecchio che leggeva in silenzio. Quattro pescatori, di fronte al videonoleggio chiuso, si scambiavano battute e consigli sulla scelta delle esche.
    “Che palle di posto”

    Scese dall’autobus e vide sua sorella dall’altro lato della strada che sbracciava per farsi vedere, come se ce ne fosse stato bisogno. Attraversò sulle strisce pedonali consunte e sua sorella la accolse con un ulteriore augurio di buon compleanno e un abbraccio. Dovette abbassarsi per riuscire a cingere Fanny tra le braccia, poiché la superava di tutta la testa. Lisa era alta, magra, spigliata, in gamba; Fanny, bassa e introversa, pensava di sé che nessuno si sarebbe girato a guardarla una seconda volta. Entrarono nel bar e si sedettero una di fronte all’altra, separate da un piccolo tavolo appiccicoso.
    -Come stai, Lisa?
    -Mah, una mezza schifezza. Papà sta malissimo in questi giorni.
    -Cos’ha?
    -Continui mal di testa, cali di pressione, boh… una serie di cose. Oh, ieri ho scoperto una birra spettacolare, te la faccio assaggiare.
    -No, no. In realtà sono sveglia da poco, e poi sto cercando di smaltire l’alcol di ieri sera.
    -E poi ci si annoia da morire a casa. Quello sta male psicologicamente e, di conseguenza, fisicamente, e poi riversa sugli altri le sue frustrazioni. Vabbè, lasciamo perdere. È il tuo compleanno, non è il momento di ‘sti discorsi.
    Lisa sorrise e fece scivolare sul tavolo una scatola incartata alla meglio.
    -Che cos’è?
    -Vuoi saperlo? Okay, spoiler alert: c’entra il tuo amico Jon Snow.
    Deliziata, Fanny scartò il regalo. Era un puzzle. L’illustrazione, firmata da un disegnatore che non conosceva, era un guerriero nella neve con un corvo sulla spalla.
    -Ma questo non è Jon Snow.
    -Cosa? Ma ha il corvo, non è un corvo o una cosa così?
    -Beh, più o meno. Lui è un guardiano della notte.
    -Vabbè, quello che è. Cosa prendi da bere?

    Alle 14.09 stava seduta su una panchina con lo sguardo fisso sulla sfilata di automobili. Ancora non riusciva a dare a quella macchia la forma di un evento, solo un senso d’inquietudine in sordina. Al pub aveva bevuto parecchio, i ricordi erano confusi. Era uscita a fumare una sigaretta, Amos l’aveva raggiunta immediatamente. Vide sé stessa parlare col marito, le labbra si muovevano ma non usciva alcun suono. Le tornò in mente il sogno convulso della notte prima: ora, fra i volti, svettava quello di Amos, pieno di rabbia. I suoi lineamenti si fusero con la nebbia, poi diventarono quelli di un altro, e di un altro ancora.
    Accese una sigaretta e si riavviò i capelli lunghi e dorati. Poi incontrò lo sguardo del guerriero sulla scatola del puzzle. Era bello, fiero, deciso. Il corvo aveva gli occhi rossi e il becco spalancato.
    “E ora che cavolo faccio vado a mangiarmi una cosa no non ho fame che palle vorrei andare a sporgermi dentro un vulcano guadare un fiume pieno di fenicotteri rosa chissà se da qualche parte se li mangiano pure da piccola li odiavo i puzzle che noia”
    Le 14.15, il cielo era limpido e il sole alto. Il telefono vibrò di nuovo: era un messaggio di Mary.
    «Ehi tesoro, come stai?»
    «Tutto ok, sto qua da sola… tu che fai?»
    «Ti raggiungo, dove sei?»
    «Sono dalle parti del Kin8»
    «Arrivo»

    Mary era turbata, lo si leggeva sul suo viso. Nell’abbracciarla, Fanny avvertì una nota di compassione, come se le stesse facendo le condoglianze. Aveva stampato in faccia un sorriso mesto, carico di sottintesi empatici.
    -Senti, ti va di andare a mangiare qualcosa?
    -In effetti ora un po’ di fame mi è venuta. Ho voglia di sangue, andiamo a farci una bistecca.
    -È un po’ pesantina…
    -Sì ma ho proprio voglia di carne, devo addentare qualcosa che prima scorrazzava nella prateria.
    -Ti adoro quando sei fuori di testa. Eddai, andiamo a parlare davanti a una bella pizza.
    -Uffa, okay.

    Si era alzato il vento e nuvole grandi e scure avevano coperto il sole completamente. Cadevano gocce di pioggia finissime, quasi impalpabili. Fanny, in piedi davanti all’ingresso della pizzeria, accese la sigaretta di Mary. La guardò negli occhi e rise.
    -Ma si può sapere che hai?
    Mary soffiò via il fumo.
    -Ieri Amos mi ha scritto una serie di messaggi in piena notte da ubriaco. Sembrava disperato, diceva di aver fatto una cazzata con te, ma non ha mai detto cosa. Cosa ti ha fatto?
    “Di che sta parlando non mi ricordo niente eravamo fuori dal pub e poi” -Niente, che io sappia.
    -Che significa “che io sappia”?
    -È che non ricordo quasi niente di ieri sera, abbiamo davvero esagerato col bere.
    -Non ci posso credere. Quindi lui non me l’ha detto e tu non lo sai. Perfetto.
    “Stavamo ridendo che può essere successo di strano cos’è che diceva il biglietto di stamattina era dolce ma fin troppo zerbino non è nel suo stile ma perché ha scritto a Mary vorrei chiederle di farmi leggere i messaggi ma forse è meglio di no”
    -Ma scusa, c’eri anche tu, non ti ricordi niente di particolare?
    -Io e Leo siamo andati a casa che era quasi l’una, voi due sembravate intenzionati a continuare i festeggiamenti per conto vostro, per cui… Come diamine fai a combinarti così? I vuoti di memoria, sul serio?
    -Eh, che devo fare…
    -Guarda.
    Mary le mostrò uno dei messaggi di Amos.
    «Mi lascia sicuro e fa bene non mi perdonerà mai quando torno mi stacca la testa e ha ragione sono un coglione»
    «Mi dici che hai combinato? Mi hai messo in mezzo, ormai dimmelo!»
    -Va avanti più o meno così per venti messaggi.

    Alle 16.04 il cielo era così coperto che sembrava fosse notte, pioveva forte, le strade erano torrenti.
    “Abbassare le aspettative abbassare le aspettative”
    Erano tornate al pub della sera prima, avevano ordinato un drink e ora se ne stavano al riparo sotto una tettoia di latta che amplificava il rumore della pioggia. I tavoli erano tutti vuoti ma restarono comunque in piedi, con la schiena poggiata a una parete e un bicchiere in mano. Mary tirò fuori dalla borsa un pacchetto di sigarette e ne estrasse una canna spessa e odorosa. La brace arse, il fumo venne fuori chiaro e lento. Dopo due tiri la passò a Fanny.
    -Mi dispiace, non ho di meglio da regalarti. E pensare che mi hai anche offerto la pizza.
    -Beh, è il mio compleanno, no?
    -Fanny, lo sai che ti voglio bene. Se scopro che Amos ti ha fatto del male in qualsiasi modo, gliela stacco io la testa, a morsi.
    -Certo che è strano. Se è successo qualcosa di grave come ho fatto a dimenticarlo?
    -Boh, non so cosa dirti. Scusa, devo andare, tra poco incontro i genitori di Leo. Questa fumala tu.
    Mary le poggiò la canna direttamente fra le labbra e baciò la cascata di oro liquido che erano i suoi capelli, dopodiché si dileguò nella pioggia. Il cielo fu squarciato da un fulmine a cui seguì un boato assordante, e la pioggia divenne grandine. Caddero chicchi di ghiaccio sempre più grandi, gli allarmi delle macchine parcheggiate si unirono in un canto cacofonico sovrastato dalla veemenza della natura. Un pezzo di ghiaccio grosso come una noce di cocco colpì in pieno il parabrezza di uno scooter riducendolo in schegge. Neanche allora Fanny si preoccupò. In fondo, non aveva fretta di muoversi da lì.
    “Tu non sai che so che hai fatto qualcosa che non so ma ho un po’ di soldi tuoi da fare fuori Amos qualunque cosa tu abbia fatto lo dirai alla Fanny sbronza sempre che tu abbia il coraggio di farlo”
    Lanciò il mozzicone nella bufera, si mise il puzzle sotto il braccio ed entrò nel pub.
    “E buon compleanno a me”

    Edited by Frank Rivers - 9/8/2021, 14:04
     
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    I miei complimenti!

    Un bel testo, letto tutto d'un fiato con grande curiosità. L'alternanza fra discorsi, riflessioni e parti descrittive rende il testo fluente da leggere e per nulla noioso, le immagini sono presentate efficacemente dando quasi un tocco cinematografico al tutto, soprattutto grazie a quei piccoli salti temporali che sembrano dividere il testo in scene.
    Lo stile con il quale è scritto, la scelta dei tempi e delle parole sembra riflettere la noia della protagonista, descrivendo solo brevemente luoghi e personaggi, come se non valesse la pena soffermarsi a lungo su cose che non riescono a emozionarla... soprattutto mentre viene silenziosamente tormentata dal blackout della sera precedente!

    Se questo testo è parte di un racconto più lungo, mi piacerebbe leggerne il seguito. Non solo perchè è stato molto piacevole, ma perchè ormai sono curiosa di scoprire cosa è capitato quella sera...
     
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1 replies since 9/8/2021, 04:00   40 views
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