Il rifugio dello scrittore

Preludio alla nipotina

Estratto delle fatiche familiari d'un collega

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    Preludio alla nipotina. Estratto delle peripezie familiari di un collega. Così come udite, raccontate.

    Non appena i due maschietti furono cresciuti al punto da potersi allacciare le scarpe da sé, senza gli ausilî della mano materna, e della paterna talvolta; e quando furono maturati quel tanto, o quel quanto, ch'è abbastanza da consentir loro l'utilizzo autonomo delle più irrinunciabili tra le maioliche color dello champagne installate nelle stanze da bagno della casa, venne l'ora per i Bertolotti di mettere in cantiere la tanto agognata figliola, complemento alla perfezione della famiglia. Agognata si dovrebbe dire, per completezza della cronaca, innanzitutto dai nonni Bertolotti. I quali nonni eran benedetti sì di figli, e di tanti nipotini e nipotucci, appesi all'altro capo di questo o quel ramo, albero, od altro arbusto genealogico, lontani o prossimi che fossero secondo i gradi che sono il numerario delle parentele, ma sprovveduti affatto di nipotine, priva essendo la pianta familiare di tenere foglioline femminucce.
    Pareva ai nonni, ed alla nonna segnatamente, una mezza maledizione.
    Alla Ginetta del terzo piano la sua gliel'avevano scodellata bell'e subito, la figliola e quel marito secco secco, che a vederlo non sembrava neanche tutto lui. L'andavano a trovare, per abitudine, tutti i mercoledì. In ossequio alla neonata, e per riguardo alla vecchia, avevano derogato alle
    sedimentate consuetudini ebdomadarie, portandole la pupetta il primo lunedì ch'era venuto buono, dopo la nascita. Da quel momento la nonna era rifiorita, rivitalizzata da nuova energia. Finanche il di lei colorito, pallido per solito, ne aveva tratto giovamento. A far tempo da quel dì, la rinvigorita anziana s'era operosamente votata a rimpolpare colle smorfiette e scorreggine della piccola il macilento epos del condominio, con quanto piacere di donna Rosa in Bertolotti possiamo immaginare.
    Anche la Pina del secondo. A lei l'avevano recapitata dentro una carrozzina fucsia, di quelle a triciclo, cioè con tre ruote, e s'era fatta una fatica d'inferno a cavarle fuori, mamma figlia e carrozzina-triciclo, dalla stretta apertura dell'ascensore, operazione che aveva richiesto l'intervento di forze scelte da tutte le porte del pianerottolo, col piano di sotto a rincalzo. Rimane tuttora aperta, a distanza di anni e non ostante il moltiplicarsi delle congetture, la questione di come avesse fatto la puerpera ad introdursi al piano terra, con tutti gli accidenti, nell'angusto vano. Con l'aiuto dei vicini la carrozzina, terminata la visita, era poi stata ridiscesa a braccia lungo le scale, ed anche la pupa, al fine di scongiurare ulteriori contrattempi.
    Persino la sciura Carla che stava dirimpetto ce n'aveva avuta una: quella bisbetica che spiava tutto il giorno la strada da dietro le tende della cucina, per controllare chi va e chi viene. Sì, persino quella. Una sua figliola, raggiante d'un sorrisone steso da un'orecchia fino alla gemella, le aveva condotto in visita la neonata, e tanto se n'era intenerita da lasciare il posto di vedetta per un pomeriggio intero, negligendo la garitta ed il dovere, con ciò esponendo il quartiere ai congeniti rischi relati al rilassamento dell'attenta sorveglianza sua.
    Solo i nonni Bertolotti erano senza. Nastri rosa neanche a parlarne, per quanti gradi invocassero, delle cognazioni, nelle loro litanie familiari, defraudato com'era ogni arco dell'ideale grafo della gioia di terminare in una nipote. Malgrado migliaia di ave maria si fossero involate negli anni verso le superne cerchie dell'Empireo. E ceri su ceri consumati dalla fiamma, sacrificati per illuminare il volto materno della Signora dei Cieli, ritratta nelle diverse interpretazioni pittoriche che ornano, a tutt'oggi, le dedicate nicchie sui lati della navata della cattedrale.
    Nanca 'na tusèta!
    Almeno una! supplicava donna Rosa.
    Quattro maschi noi! Esclamava. E quelli solo maschietti anche loro, di regresso.
    Dava la colpa di tutto al povero marito, l'Armando, il quale replicava piagnucoloso dalla sua poltrona di velluto verde, indispensabile ausilio alla digestione domenicale, che a'hinn mia rópp de cátá föra! quel che arriva arriva. Lui non c'entrava mica niente. Ma la signora non voleva sentire ragioni: emesse in forma irrefutabile di sotto il corruccio dello sguardo accusatore le assertive proposizioni sull'incapacità maritale, del resto comprovata da ben quattro distinti, ed indipendenti, esiti sperimentali, rintuzzava didascalica il consorte, chiamando a testimonî gli studi dei dottori più studiati: l'è l'òmm, è lui il "determinativo", così argomentava, del sesso del nascituro. Sicuro. Minga ball. L'Armando, poveretto, allora taceva, ammaestrato dalla convivenza ultraquarantennale. Tirava su le gambe sul poggiapiedi di velluto, verde come la poltrona, pertinenza del solio Armandi d'altrettanta collaborazione nelle tribolate peristalsi della domenica pomeriggio. Sospirava e stava lì un momento, in uno stato temporaneo di amenza, sospeso tra la tivù e la signora. Poi, riemerso dalle profondità della meditazione, tra le due, s'abbandonava alla prima, ed al silenzio.
    Il giorno in cui la signora Rosa seppe dal figlio, il suo secondo, della fruttuosa iterazione della ricerca della desiderata bambina Bertolotti, ovvero che la nuora era incinta la terza volta, anche se era presto per conoscere il genere, anzi: a fortiori, si credette di dover abbandonare l'atteggiamento passivo fin lì mantenuto in relazione alla faccenda. Certo, per i rami collaterali dell'albero genealogico non stava mica bene darsi troppo da fare, ma ki l'era 'l sò fiö! e se la Provvidenza non arrivava a provvedere da sé, magari abbisognava d'essere un tantino stimolata: in aggiunta alle giaculatorie e alle candele ci volevano le opere: opere preventive: si doveva forzare un pochetto la mano alla parsimoniosa, di nipotine Bertolotti, misericordia dell'Altissimo. Agire cioè ancor prima di conoscere il sesso, perché si limitassero a prendere atto, colà dove si puote, senza pensarci tanto sopra.
    Trascinò perciò il rassegnato marito per tutte le ingiallite mercerie ch'erano sopravvissute alle invasioni dei centri commerciali, a cercarvi qualche gomitolo, o rocchetto, di cotone rosa da lavorare all'uncinetto, e fili di lana, stessa tinta o equipollente, da annodare coi ferri in un golfino per la presagita fortunata pupetta, oltre che scampoli bianchi di lino e di organza finissima, dei quali lavorare a ricamo gli orli e farne lenzuolini da destinare alla culla. Rifornita di materia prima avviò la produzione di maglioncini, di centrini, e di cuffiette per tener ben calda la concupita testina. Armata di aghi e ditale d'ottone ricamò gli angolucci dei lenzuoli mignon coi quali corredare il lettino. Cinque o sei, per aver lì a portata di mano qualche cambio di scorta, dato che com'è noto i neonati tendono a disperdere in abbondanza i proprî fluidi sulle delicate stoffe nelle quali si ama mantenerli avvolti.
    A dispetto dell'impegno profuso senza risparmio dalla nonna, per tacer pietosamente delle fatiche del nonno Armando, la morfologica del quinto mese fu inesorabile: due ovetti disegnati sullo schermo crudele dell'ecografo, proprio là dove dovrebbero stare, misero termine alle speranze. Un altro maschio! Ancamò? Fu il laconico ed interrogativo commento del futuro nonno, giubilato della passione cristica da una merceria all'altra per niente.
    La nonna era disperata. Ne faceva una questione personale: cosa che c'ho fatto io di male al Signore? che non le mandava la nipotina. Cominciò persino, tanto era affranta, a mettere in dubbio quell'ascesa ai Campi Elisi che aveva sempre dato per assicurata: col marito che c'ho io! Vöri propi vidèl el San Peder s'el gà cör de mandam al pürgatorî! Nei suoi progetti ultraterreni l'inferno in effetti mai era stato contemplato, nemmeno come teoretica possibilità. Delusa, regalò alle vicine, alle Ginette e alle Pinucce del condominio, i prodotti dello sferruzzare. Quelle, accettando il dono, ringraziavano, riservando alla sconsolata Rosetta la comprensione che emana da chi la nipotina ce l'ha già in casa: vedrà sciura Rosa, il prossimo. Il prossimo è una femminuccia. Ma sì! non si abbatta. Ci vuole la fede sa? anche per queste cose qui. Soprattutto queste qui vè. E la pazienza. Certo! Sigüra! Come no!
    Alla fine, che fosse per le consolatorie smancerie delle Mariucce, oppure per spossatezza, anche nonna Rosa dovette arrendersi, e farsene una ragione. Si dedicò quindi, tirandosi dietro il suo Armando, a rifare le dodici cappelle delle mercerie, via crucis del povero consorte, stavolta in cerca dell'azzurro, o del bleu. E poi di nuovo a risferruzzare, a far oscillare l'uncinetto, però attorno alle varie gradazioni del celeste: calzine, e braghette, quest'ultime un po' abbondanti: c'è da calcolare l'ingombro del patello. I lenzuolini, almen quèi, eran venuti buoni, il bianco ghe và ben istèss, a tutti i neonati.
    Quando ormai sulla faccenda della nipote la signora Rosa c'aveva quasi messo una pietra sopra, e tre anni giuppersù dopo la nascita dell'ultimo Bertolotti, la visita del figlio, con al seguito la nuora ed il nipotino sullodato, rinfocolò le di lei pie speranze di raggiungere l'apoteosi di grande-mère: era di nuovo in stato interessante, la cara mogliettina del figliolo, e già da qualche settimana.
    La donna, che nella gravidanza precedente s'era ingigantita sino a sfiorare, così diceva lei sottostimandosi con modestia, gli ottanta chilogrammi a forza d'ingozzarsi del commestibile e del non, tre anni dopo era stata ripristinata, dalla rigorosa applicazione di una ferrea dieta, al suo antecedente stato di acciughina di 56 chili, ben bilanciati su una lunghezza complessiva, capelli esclusi, di un metro e settanta cm, ovverosia centimetri. Principiava a nuovo ad arrotondarsi, e già non si poteva lasciare incustodito in casa un panino imbottito col prosciutto, cotto o crudo, o un avanzo di pasta al forno di ieri, per non menzionare torte e dolciumi, senza che la mano graffignona s'allungasse per ghermire ed istradare alla bocca l'alimento abbandonato: amore, diceva, ho fame per due, lo sai, all'incauto rimasto a stomaco vuoto, marito o figliolo che fosse, ch'aveva facoltà di evocare con affetto alla medesima maniera, essendo il vocativo invariabile sia declinato al modo filiale, sia al modo coniugale.
    Allorché l'arrotondamento del ventre raggiunse quel grado che s'associa, nei ponderosi manuali della disciplina ostetrica, al mese quinto della gestazione, moglie e marito si presentarono, come prassi richiede, dal ginecologo di fiducia, già in positivo, e più volte, sperimentato, come senz'altro fino a qui intuito. Il momento della verità: o maschio, ancora? o femmina alfine.
    Fu allora che l'ecografo, per bocca del medico, emise il suo verdetto inappellabile quanto il terzo grado di giudizio, che poi è l'ultimo e definitivo previsto dai costituenti. "... come vedete qui...", "Qui dove?", "Ma qui, qui", corroborava la parola il dottore con l'immediatezza del gesto indicatore, "dove ci sono quelle forme allungate, le vedete?". Ai genitori, perplessi davanti alla babelica trama puntinata di linee curve intersecantisi, e pulsante d'un proprio simulato organo cardiaco di concerto colla creaturina scandagliata, esitanti in presenza del groviglio filamentoso, ansimante ed indecifrabile proiettato sul monitor, venne in soccorso la scienza del medico, che insisteva "... qui, queste sono le grandi labbra, perciò…". La mamma, con tutta evidenza più edotta del marito in quanto alle nomenclature anatomiche, si mise a ridere singhiozzando: rideva cioè e piangeva al contempo; e per quanto la posizione assunta per assoggettarsi alla sonda dell'oracolo ecografico le consentisse senza inficiarne il vaticinio, sussultava, come percorsa da una corrente, scossa da un fremito convulsivo. "Vedo che la signora ha già compreso: è una bimba. Una femminuccia. L'aspettavate dopo tre maschietti, non è forse così?". I genitori, in transizione verso il quarto, ultimo e più perfetto stadio dell'evoluzione della specie, vollero baciare le mani al ginecologo, che ne fu imbarazzato alquanto, in ragione innanzitutto del rispetto dovuto alla scienza! la quale osservava severa dai papiri e pergamene incorniciati e protetti da un vetro appesi alla parete.
    Una Bertolotti! Una nipotina Bertolotti! Un miracolo!
    Spostata sapientemente la sorgente di ultrasuoni, la macchina restituì la forma, intelligibile persino ai profani, d'una testina, una capoccetta tonda.
    Il visetto, che s'offriva di profilo, con la fronte altissima ed il nasino arricciato, sembrava scrutarli tutti, scienziato incluso, come nobildonna domina fiera con lo sguardo la plebaglia dei servi più accattoni e cenciosi da elevata finestra di palazzo signorile; siccome fosse sua degnazione venire al mondo per il tramite dell'umile condotto uterino materno. Divinava, ancora parzialmente formata ed allo stato proto umano del feto, una capricciosa esistenza principesca, in un castello sfornito di damigelle concorrenti da viziare. Pregustava il lucrativo monopolio delle attenzioni.
    Ma ci pensate? Una nipotina! Nonna Rosa non sapeva più dove mettersi dalla contentezza. Non stava più nella pelle. Incapace di decidersi se stare all'impiedi o seduta, da tanto che l'agitazione la scuoteva, si persuase alfine a risolvere i suoi dubbi ribadendo al marito, ad evitare fraintendimenti ché repetita iuvant, le sue inadeguatezze di sessatore di figli, e, transitivamente, di nipoti, non mancando però di segnalare al consorte come, al contrario, il figlio, il suo di lei è ovvio, mica del marito, lui sì! l'aveva fatta la figliola, la nipotina. T'é vedü el mè fiö? Non certo come l'Armando, stravaccato in poltrona a digerire lo spezzatino tutto il pomeriggio! Eh sì! Buono proprio quello lì!
    Sbatacchiato per bene il consorte, bastonato coi sillogismi, benché, bisogna dirlo in tutta onestà, claudicanti con riguardo ai demeriti maritali, l'indefettibile signora lo costrinse ad abbandonare il conforto della tivù e della poltrona, con correlate propaggini, obbligandolo a nuovo ad ascendere la perigliosa versione armandesca del monte Calvario, cogl'inciampi connaturati sui gradini delle mercerie del malcapitato carico di pacchi e pacchetti, arrangiamento profano e casereccio dell'incespicare del Cristo, curvato dal peso della croce, alle stazioni.
     
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