Il rifugio dello scrittore

Le campane a mezzogiorno

Preludio al pranzo.

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    39

    Status
    A mezzogiorno dirompono le battute dalla sommità della torre campanaria che spicca sul centro storico della città innalzandosi tra la basilica ed il battistero nel turgore di tutte le sue falliche promesse: turris eburnea inverata dall'invocare e dal salmodiare dei fedeli, e dalle sudate bestemmie dei mastri muratori, sostanziata di pietre squadrate e di mattoni, più accessibili del raro avorio.
    Il campanile, col sole allo zenit, omette, trattenendola per sé, di deporre la sua lunga ombra sul sagrato antistante la chiesa, dove indugiano le mamme quando sbarcano i più piccoli dai loro passeggini per lasciarli liberi, teneri della tenerezza dei cuccioli, di rincorrere i becchettanti piccioni, che prudentemente si scostano in un frullare d'ali e ricader di penne, approntandosi ad eludere rinnovati e gorgheggianti assalti poco più in là.
    Da sopra i tetti si diffondono le vibrazioni bronzee delle campane, appese lassù pronte a dondolarsi alla bisogna, o magari ad un estemporaneo ed inopinato comando del capriccio del sagrestano, dentro il glande eretto alle nuvole e perforato nei quattro lati di finestrature a colonnette, risonando a perenne ricordo delle vittoriose, ed ossimoriche, armi della cristianità sugli eserciti dell'islam. E questo, per quanto ne so, è l'unico dato certo. Che si celebri la mancata conquista della fortezza di Belgrado, il suo, della conquista, procrastinare di settant'anni sarebbe meglio detto, dal Capestrano e da quell’ungherese difese le plurime cinte murarie, corroborati dalle preghiere dei fedeli; e dagli eserciti venuti ad occidente sotto il gonfalone colla croce. Oppure che si renda perenne omaggio alla vittoria delle flotte cristiane unite nella Lega Santa, scese ad oriente a vendicare la truce sorte del Bragadin il di cui corpo fu profanato a Famagosta, opposte nello scontro all'Alì Pascià, l’ottomano, che vi perse la vita trovandovi il martirio per opera degli infedeli. Più onorevolmente certo del dover refertare personalmente al Sultano della distruzione delle di lui possenti flotte, ed ottenere da questi il medesimo castigo: destino quest'ultimo evidentemente assai meno glorioso, ed indegno ad assicurargli un seggio eterno nell'empireo loro, dei maomettani, che uno ce lo devono avere senz'altro.
    Quale che sia delle due, o forse d'altre ancora, inderogabilmente, ogni giorno, a mezzogiorno, il metallo fuso vibra sotto le percosse, dong dong dong, ovunque vi sia in esercizio una chiesa ancora consacrata al Dio dei cristiani, presidiata da un curato e manutenuta da un sagrestano, o per più preciso dire: una chiesa dei cristiani cattolici. Esattamente: i cattolici: quei greggi cioè che si conformano alla superna autorità pastorale del Pontefice Massimo, il quale risiede colla sua corte nella cittadella santa irta di meravigliosi palazzi, conchiusa come entro due mani a coppa dal limitare della Roma del secolo.
    Gli altri greggi, quelli che nello svolgersi della storia si sono separati dal branco primigenio della più antica ortodossia pur senza abbandonare l’unico Dio, mutando di pastore e contendendo il pascolo a quella; le altre razze di credenti nell'unico e veridico Dio che, come il lavorio instancabile dell'evoluzione sulle piante e sugli animali, il macinare delle umane generazioni ha fatto germinare dalle preesistenti, simili a quelle ma non uguali, che io sappia non onorano quotidianamente, se li onorano, quei lontani fatti d’arme ove si salvarono il decoro e le terre, col notabilato e le servitù loro corollario, della cristianità. Si promulgò al tempo eroico di quegli eroi, degli uni o degli altri, il comando dal Papa di suonare a festa le campane di tutte le chiese sparse per le terre cristiane a mezzodì, e da allora sia e sarebbe, poiché tutti i successori che sono ascesi al soglio Petri hanno dimenticato di revocare l’ordine. A quelli, ai non battezzati cioè da santa romana chiesa cattolica e apostolica ma al contempo altrettanto fedeli al Cristo, sebbene di liturgie divergenti, non importando nulla dei papali decreti, loro, alieni al Vaticano ma non al Figliolo, hanno rimediato alla dimenticanza. Siccome in natura le consimili stirpi animali che pur sono accomunate dall’origine, le varie declinazioni dei cristiani diffidano le une delle altre, quando non si odiano a morte, a dispetto di ogni amorevole e caritatevole messaggio, e di cui professano l'ecumenica latitudine, del quale si fanno ambasciatrici, e per quanto con il far di quello predicazione ritengano di nobilitare se stesse ed il mondo, perché è ovvio che sono gli altri ad essere in errore, essendoci su enne asserzioni un solo modo per andare d'accordo, e due elevato alla enne meno uno per non esserlo, così che il dissenso è geometricamente, e dunque in larghissima misura, la condizione più probabile. Perciò, quel che fa l'una, l'altra omette, ché quel ch'è fatto dev'essere sbagliato giocoforza.
    Alle dodici spaccate i rintocchi di metallo si distaccano abbandonando le superfici che li hanno prodotti: s'involano vibranti di armoniche fatte di creste e di ventri e tanto strettamente avvinghiate che solo l'integrale di Fourier può sperare di discernerle nello spazio separato delle frequenze.
    Un prodigio, del tutto ordinario a dire il vero, delle indefettibili leggi dell'universo li eleva alle immensità dello spazio tridimensionale, liberati dalla tirannica limitatezza del piano, ancorché suscitatore, sotto forma di un campo, che pervade lo spazio e che procedendo allontanandosi dalla sorgente s'affievolisce, disperdendosi la sua energia nel faticoso quanto inane tentativo di ricercare per toccarli gli inesistenti limiti della terza dimensione. Come il campo elettrico d'un corpo carico puntiforme s'impone sull'infinito circostante, i rintocchi riempiono l'etere, sin dove possono arrivare, della loro ossuta e caparbia facondia.
    Diffondono, les cloches, in ogni direzione il loro diuturno messaggio di giubilo: verso il cielo, le cui più basse sfere sono popolate di creature indifferenti, ma i di cui abitatori nelle più alte e nelle altissime fremono, non ostante la sua imperfezione, a quel greve e lontano inneggiare alla divina gloria che risale dal profondo a rincalzare il loro imperituro canto offerto eternamente alla medesima grandezza; e verso la terra, brulicante di esseri, tra cui i più bassi ne provano spavento, e i più elevati d'intelletto invece se ne infastidiscono allorché degnino prestargli considerazione, ma di preferenza gradiscono tributargli, tutta per intero, la più puntigliosa insensibilità delle loro intelligenze, benché ne siano i destinatari; e penetrando il sottosuolo si spinge sin oltre lo Stige, ad accrescere la furia del già furioso caduto, incavernato dall'Altissimo nei più remoti tempi, nei quali i miti erano, non già perché creduti, ma perché agiti.
    Al sincronico sovrapporsi diurno, ché il notturno s’accompagna ai silenzi, nella posizione in cui puntano il firmamento, delle due lancette degli orologi che campeggiano alti sui lati del campanile, uno per ciascun lato per non far torto a nessuno dei punti cardinali, la città viene irrorata dei goccioloni di metallo rilasciati dalle bolle bronzee sospese sotto il culminare di quello, che si protende ulteriormente verso l'immensità cilestre in una ramata ed ossidata di verdeazzuro rappresentazione della sfera armillare, dalla quale si estroflette il simbolo della croce, anch'esso uniformemente tegumentato del medesimo ricoprimento azzurrognolo oblato dalle piogge e dalle nebbie, che dona alle scheletriche armille il complemento alla perfezione in un risalente crescendo, dei tempi sepolti ultimo manufatto prima del cielo.
    I tremori discendono sulla superficie di quel globo ch’è ipostasi della figurazione armillare sormontante la torre pertinenziale alla basilica, e si diramano, una volta giunti al suolo, lungo i solchi divisori degli edifici per percorrere ed attraversare tutte le vie, anche le più nascoste, ed i porticati quando questi le costeggiano contenendole, sin nelle vaste o nelle raccolte piazze, insinuandosi negli ombrosi cortili cintati di palazzi, dove riecheggiano respinti sordamente dai muri che quelle corti racchiudono; s'inerpicano su per le scale dei casamenti sulle quali transitano risalendo i pianerottoli per sostarvi un istante, come volessero ricostituir le forze in vista di nuove ascese, quasi esitanti all’idea di poter ritornare alle loro altezze natali, e perturbano col loro fremito le placide cuoche intente ai propri intingoli, intrattenute dagli schermi di quelle piccole tivù destinate alle analogamente anguste cucine mentre attendono quelli che mangeranno; filtrano attraverso il suolo sin nei più riposti penetrali abitati di esseri che l’umano convenzionalmente rifugge, i quali similmente lo ricambiano d'un sotterraneo detestare dalle viscere dei falansteri delle quali sono i signori, ipogei della pesantezza marmorea dell'architettura spigolosa e magniloquente di quel ventennio sventurato; si materializzano come rumorosi spettri dentro i saloni dei grandi magazzini densi di scaffali e grucce carichi del superfluo, ma almeno a poco prezzo, e dentro le eleganti boutique, dove si distende a proprio agio in ampi spazi ciò che messo altrove finirebbe tra i rifiuti.
    A mezzogiorno, quando la superficie si eleva a tonante volume, e si diffondono gli ecolalici impulsi che discendono dalla torre campanaria, l'intelletto degli impiegati che affollano gli uffici, che son densi densi attorno alla basilica, e non si sa perché, è ancora affaccendato nel disvelare gli intralci che il mestiere gli dissimula per via, come le reti il cacciatore alle più ambite bestie. Perciò la loro mente è sorda alle pur invadenti sonorità che saturano l'aria climatizzata degli atrî, penetrandovi attraverso le luminose vetrate; i loro stomaci invece, più attenti ai tremori, sussultano e si risvegliano allorché immersi nel vibrante campo gocciolante di metallo, e bussano deboli purtuttavia insistenti alle finestre dei chiusi intelletti: s’incaponiscono a volerli richiamare alla soddisfazione delle più essenziali esigenze. Ma tanto fiocamente al principio chiamano che pochi s’accorgono che il treno ha fischiato, sovrastata la voce delle interiora dal soverchio brontolare delle consuetudini, che per convenzione conducono a pranzo all’ora pattuita dai contratti collettivi. Quel debole picchiettare sulle persiane chiuse delle menti ancora devote ad altri pensieri, curiosamente si rafforza con lo scemare dei rintocchi, siccome una voce che esordisce a bisbiglio evolve per risonanza sino a tramutarsi in un grido, e l'appena accennato languore per il suo mezzo si amplifica a fame. Allora finalmente la ragione risponde e distrae l'attento sguardo dai suoi più aulici incarichi, per dedicarsi ad appagare i primitivi desideri. Sul momento fissato dai regolamenti collassa, con un moto che accelera inesorabile, l’intero orizzonte teleologico degli impiegati, e tanto concupito diviene che di continuo fanno riapparire i quadranti degli orologi che i polsini delle camice s’incaparbiscono a velare, per aver contezza del tempo che resta, come si elencano a ritroso i pochi restanti chilometri al termine d'un lungo viaggio.
    Allora tutti sono liberi, ma per un'ora solamente.

    Edited by CurzioG - 4/1/2021, 20:18
     
    Top
    .
0 replies since 31/12/2020, 08:54   30 views
  Share  
.