Il rifugio dello scrittore

La crisi economica

Lamentazioni del collasso economico

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    È un'opera di fantasia. Ogni riferimento al reale si deve ritenere del tutto accidentale.

    Sfilavano all’ingiù, dai finestrini anteriori a quelli posteriori dell’auto, le mezzo dismesse aree industriali, poste come rocche a guardia dei borghi lungo la strada, appena fuori il plasmalemma delimitante gli abitati: castelli abbandonati a causa della pestilenza diffusa dalla crisi economica: disabitati cenotafi della meccanica di precisione, deserti mausolei dello stampaggio delle materie plastiche. Tutti equipaggiati di allineate macchine mute e morte.
    Il silenzio di quei campisanti era arrivato fino alle orecchie dei governi, degli onorevoli, dei senatori, sotto forma di rapporti pregni di preoccupazione per la diminuzione del gettito fiscale e l'aumento delle richieste di sussidi sociali, compilati con la pignoleria propria alle alte gerarchie ministeriali. I politici, allora, si schieravano: concionavano con eloquio sublime, evocando i grandi temi morali. Apparivano a tutte le ore e dappertutto a risvegliare le energie del paese, senza paura di prender posizione: un giorno per inoculare al malato più dosi della malattia che lo stava ammazzando, ché non ne aveva ricevute a sufficienza; e il giorno appresso, all’opposto, per porre termine a quella omeopatia, che nel volger d’una notte s’era rivelata, come per la rivelazione d'un onirico arcangelo, più perniciosa ancora del morbo. Si dichiaravano allora favorevoli a pompare nuovi ormoni finanziari nella siccità del sistema linfatico dell’economia, a voler risollevare il degente, riposizionandosi secondo il genio dell’elettorato potenziale, sondato dalle continue indagini demoscopiche.
    I social network pullulavano di analisi e consigli. I post ed i tweet rampollavano gli uni sugli altri: la versione aperta a tutti, ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, delle chiacchiere da caffè, del bavardaggio intorno al bianco spruzzato, del cicaleccio sdraiato sul divano, frequentati i forum da fini dissezionatori del reale, alte cariche dello Stato e coglioni qualunque.
    Ciascuno diceva la sua, senza freni, contribuendo ad accrescere la confusione. Tam pro Papa quam pro Rege, scribebant omnes sine lege.
    Tra i pochi universalmente condivisi fatti vi era che la fonte degli umori distribuiti dal sistema circolatorio dell’economia stava disseccandosi. Ognuno aveva la sua ipotesi diagnostica. Nessuno aveva identificato con certezza inoppugnabile la patologia. Le congetture eziologiche si dividevano in correnti, portando ciascuna il proprio cespo di cause.
    La necrosi si trasmetteva da un bilancio all’altro per mezzo di debiti e crediti: un credito venuto meno per causa della iposecrezione finanziaria, impediva il pagamento di un debito.
    Anche gli stretti legacci degli istituti giuridici concordatari vennero rilassati, a cercar di fermare l’epidemia. Era mors tua vita mea. Poveri contro ricchi, poveri contro poveri, ché i ricchi tra loro facevano quadrato, a spartirsi la sempre più ristretta torta della produzione. La scaturigine della poiesi propria al sistema economico, che di esso costituisce l’essenza e la cui abbondanza ne è attestato di vitalità, s’andava progressivamente asciugando, siccome testimoniato dalla decrescente demografia degli iscritti alle Camere di Commercio: morivano più ditte di quante ne nascessero: scomparivano interi settori.
    Si coniavano ossimori nei santuari delle scienze sociali: austerità espansiva, espansione contrattiva, supportati da dati e statistiche metodologicamente ineccepibili. Qualcuno ci credeva, per l’autorevolezza delle fonti o per convenienza; altri dubitavano, tenendo per sé le proprie valutazioni; altri ancora si opponevano ferocemente; ma i più orecchiavano distratti, sfiduciati nei riguardi delle istituzioni, troppo presi dalle montanti miserie delle proprie esistenze.
    La scatola di Edgeworth scodellava ininterrottamente i suoi equilibri paretiani dai punti dove le curve di indifferenza stanno culo a culo, tangenti, a massimizzare: gli abbienti sempre più abbienti; i disperati sempre più disperati.
    Il malato non dava nessun segno di volersi riavere, del tutto indifferente sia alle cure somministrategli, sia ai pur di altissimo livello curricula dei dottori accorsi al suo letto. E questi ultimi si sentivano fortemente imbarazzati. Principiavano a dubitare della loro stessa scienza, e per reazione, vuoi per non gettare alle ortiche secoli e secoli di studi, vuoi per non dover ratificare la sostanziale inutilità dei propri rotondi stipendi rinunciando alle generose donazioni di ricchissimi filantropi, e disinteressati, munificamente largitegli a sorreggere gli sforzi dei di loro intelletti, incominciarono a rielaborare. Dapprima come confidenza tra colleghi e mera ipotesi anche se remota, e poi via via sempre più organicamente, sino a farne il culmine di rigorosissime deduzioni, iniziarono a gettare la colpa della malattia sul malato stesso, che, in virtù di qualche perverso meccanismo proprio alla psiche collettiva della nazione, rifiutava di guarire, datosi che certamente la persistenza, anzi, l’aggravarsi del male non poteva essere in alcun modo imputato né ai dottori né tantomeno alle cure che essi proponevano. Non restava quindi che l’ultimo termine dell’equazione: ovvero il malato medesimo. Così, messe idealmente al sicuro le proprie terga, con tutti i summenzionati corollari, i dotti, mediante dotte enucleazioni, rilanciate alla nausea dai media, convincevano il paziente di essere lui stesso la causa del suo malessere. Gli dissero che poteva guarire solo se lo voleva, perché medicus curat, natura sanat. Doveva smettere di vivere al di sopra dei propri mezzi. Smettere di attingere alla non infinita sorgente del debito pubblico, che s'alimentava drenando tutti i fluidi e prosciugando le arterie e le vene dell’economia. Gli erano perciò necessarie volontà e fermezza, e sacrifici, come al diabetico la disciplina degli zuccheri: ché nel lungo periodo se ne sarebbero raccolti i copiosi frutti. Ed il malato, emesso l’editto da tanto ceto sapienziale e tanto autorevolmente, ed ubiquamente, diffuso, si piegò: si sentì colpevole: si vide come il padre che sperperato il patrimonio familiare lasciava i figli con un pugno di mosche: si sentì una merda, a cui era non solo un dovere, ma soprattutto un imperativo di giustizia a beneficio delle generazioni future, imporre sofferenze e restrizioni.
    Politici sgraditi. Scoloriti cattedratici imbalsamati come la loro loquela. Paludati rappresentanti del clero accademico, la cui decisione più coraggiosa nel corso di una vita dedicata all’insegnamento degli studi altrui era stata quella di pisciare in piedi o seduti, secondo che fossero donne o uomini. Sacerdoti secolari ingobbiti dal grigiore strappati agli attenti silenzi delle aule universitarie. Questi saccenti baroni, feudatari d’accademia, siniscalchi delle ortodossie, furono imposti quali indispensabili salvatori.
    Provvedimenti sanguinosi divennero necessarî, ricevendo sostegno dal consenso del masochistico paziente, la contabilità del quale fu sottoposta alle più minuziose analisi. S'intersecarono assi cartesiani. Si disegnarono funzioni. Furono redatti piani, ed attuati. Si tagliarono le spese ritenute improduttive. Si tolsero risorse. Si aumentarono le imposte. S’inasprì la repressione dei reati fiscali.
    Nonostante tutto ciò non solo non si ebbero miglioramenti, ma, al contrario, la situazione si fece ancor più compromessa. Non s’aveva neppure il conforto di notare, qui e là, qualche progresso, ché tutto andava di male in peggio, tutto andava a rotoli.
    Così come una malattia, pur danneggiando il corpo tutto, si origina in un numero limitato di organi, così nel corpo sociale del paese alcune componenti dovevano essere necessariamente più colpevoli di altre della grave condizione patologica.
    Essendo i demuniti i principali beneficiari dei servizi erogati dallo stato suppergiù gratuitamente, e i più modestamente rappresentati nell'emiciclo democratico ché a difendere i poveracci s'ha poco per non dir nulla da guadagnare, essi furono identificati come il principale agente eziologico, primo movens del male. In quanto poco produttivi, poiché era ovvio che non avessero voglia di lavorare, erano puniti e messi ai margini dall’imparziale mercato, nuovo nume immanente e pervasivo. Erano puniti in quanto semplicemente inadatti nella neo darwiniana lotta per la conquista del PIL, l’inseparabile paredro di quel mercato cui è unito da una ierogamia indissolubile, ed ultimo, definitivo e più splendido fiore dischiuso sul ramo sommitale dell’albero teleologico. Essi, i poveri, gravavano sulle tasche dei vincenti e le svuotavano come i vampiri prosciugano le arterie. Premevano brulicanti sui conti bancari dei campioni della produzione: quelli cioè che le divinità giustissime avevano premiato per la fede in esse riversata e per le opere a loro consacrate. Quest’ultimi, proprio in ragione della fede, identici in ciò a tutti i credenti, si ritenevano superiori. La loro sensibilità sempre più si restringeva alle istanze della propria classe, e, per conseguenza, vieppiù si facevano poco propensi a sostenere finanziariamente un apparato statale che manteneva sanguisughe. Lottavano, impegnati nell’ultimo arrocco a difesa del proprio tenore di vita.
    Il corpo sociale era lacerato, le sue membra disarticolate, l’unità distrutta.
    Si attendevano anni, o forse decenni, di sofferenze, divisioni e conflitti.
    E così fu.
    Intanto l'auto proseguiva il suo viaggio, e s'era lasciata alle spalle la zona industriale. S'avvicinava alla meta: i parcheggi degl'uffici.

    Edited by CurzioG - 28/11/2020, 20:15
     
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    Spettacolare! La disamina perfetta di quel che accadde nell'undicesimo anno di questo secolo.
    Giacché mi piace far diventare voci i testi, ho preparato un file audio a cui ti collego in privato. Trattasi della lettura di questo brano.
    Grazie per i brani stupendi, con un uso stupendo della lingua.
     
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    Ecco il file della lettura La crisi economica
    Consiglio l'ascolto con buoni auricolari.
     
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    Mi spiace di aver introdotto qualche variazione, posteriormente alla lettura gentilmente proposta da Axum, perciò ci sono alcuni disallineamenti. La sostanza in ogni caso non cambia. Grazie.
     
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4 replies since 27/11/2020, 08:54   66 views
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