Il rifugio dello scrittore

Il pranzo

Anche gli impiegati pranzano.

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    La stretta porta del ristorante impone all'irregolare aspetto tondeggiante che il gruppo assume durante il suo cammino una forzata elongazione, che si riassorbe tuttavia dirimpetto al comptoir, dove la compagnia riassume la forma precedente, attendendo d'allungarsi nuovamente diretta al tavolo, siccome sabbia di clessidra che scivola nello sfintere che dal vaso superiore conduce all'inferiore in cui si specchia, per raccogliersi a nuovo in un mucchio più in basso, ed aspettare ivi con pazienza le ulteriori oscillazioni del suo periodico destino.
    Accomodate al tavolo, si scamiciano le dame, liberandosi dell'involucro che le rinserra sui selciati delle strade pedonali, che appendono con giudizio alle spalliere, avendo cura che i suoi lembi non ramazzino il battuto pavimento. Si mostrano, come farfalla emersa da rotta crisalide, torquate di monili d'inanellate gemme scolpite nelle analogiche forme delle bocce; le civettuole camicette son di seta e traspaiono, suscitate dalle luci delle sale, le incerte ombre dei sottostanti lineamenti, evocative nei presenti dei desideri d'acclarare le soffuse linee della clarità di carezza delicata.
    Si alza il richiamo: ”Cameriere! È un po’ che qui s'aspetta!”, e lui ormai trascorso atteso ad altro tavolo, si gira, roteando le tre bottiglie che stringe fra le dita sopra le teste degli assisi senza tuttavia rallentare il passo né cambiar d'itinerario, e tanto rapido si torce che qualche gocciolina, condensa della dianzi occorsa uscita dal fresco dei frigoriferi, si divincola dai vetri, terminando il moto parabolico che la gravità vi ha impresso coll'irrorazione dei tavoli e dei malcapitati circostanti, inetti a pararla con improvvisati ombrelli perché colti impreparati dall'inopinata giravolta. “Ma certo signori, mi scusino tanto, arrivo! arrivo subito col menù”, ed il tono, ad ammansire gli spazientiti, si modula per apparire quanto basta dispiaciuto; ma ecco che s’è già a nuovo capovolto, con iterata erogazione di ulteriori gocciòle, sul medesimo spazio e relativi abitatori ripioventi, però animate d'inversa rotazione.
    Ritorna colle vuote stoviglie, del cui carico altri han già goduto, beati loro! sorreggendo i piatti in numero che pare incongruo per un umano, e con quell'agilità per giunta che gl'invidierebbero i più guardati giocolieri, beneficiari degli stupiti “ooohhh…” mentre gettano e riprendono i birilli nelle sabbiose arene dei circhi. Risuona ancora altrove il grido “Cameriere!”, di rincalzo, ed un fremito allora quello percorre, col tintinnar delle posate che pencolanti s’affacciano ai dirupati limiti dei vuoti piatti che le mani sorreggono in gran numero, ferri di cui l'abile gesto induce con un fulmineo e dosato scarto a far rientrar le pericolanti teste curiose dell'abisso. “Certo signore, tra un minuto son da lei”, e s’allontana rapido per destinare ai lavacri l'adoperate stoviglie.
    Per prime giungono le cestine del pane dalle quali l'acquietar la fame incomincia, ed entro cui le sottili fette recise dai filoni si accomodano contigue, così come tagliate giustapposte, e da diversi pani: bianco, nero, al sesamo; le bottiglie delle acque minerali son collocate al mezzo e fanno il periplo del tavolo da una mano all’altra, ed il garbato cavaliere le trattiene a sé cerimonioso, pincerna delle dame che l’attorniano.
    Scivolano sul tavolo i piatti ripieni di delizie che le affamate bocche attendono bramose. O il primo od il secondo, ambedue son troppo, ché il comandarli entrambi si offre al disapprovare del pettegolezzo, più temuto ancora della fame. Li depongono i camerieri, e con che disinvoltura! che naturalezza! da far invidia! e li consegnano a destino dalla destra, dove s'apparecchia, e con tale cura ed agilità che paion dei funamboli impegnati a riporre con ogni precauzione gli attrezzi prediletti alla fine della serata di spettacolo o delle lunghe ore d'addestramento esibendosi nell'ultimo spericolato equilibrismo. “Voilà Madame, la sua delicatissima lattuga” e vola l'insalatiera dirimpetto alla signora, “farcita di pomodorini freschi e caprino dei nostri monti, di croccanti noci sminuzzate insaporita. Posso consigliare un calice del nostro bianco secco? lo facciamo recapitare dai solatî colli delle Venezie, ancora nelle sue botticelle di legno, come s'usava una volta, sentirà che armonia coll'insalata, e col formaggio poi… una favola”.
    Le carni attendono adagiate nei decorati piatti: sono in voga quelli quadrati quest’anno. Certe fette! Roridi di succhi e spezie i filetti cotti a punto od al sangue attendono rosei nelle stoviglie il taglio di coltello ed il penetrar di forchetta che li condurranno a quel giudizio di cui l'appetito arrotonda la severità, e che meglio ancora sarà ponderato se seguiti i bocconi a stretto giro da un sorsino di rosso dell’Oltrepò, quel ch’è bastante, in guisa di corroborante facilitatore, “di gusto deciso, ma leggero, come ci vuole al mezzogiorno”, cui per forza deve seguire l'altra metà della giornata, venduto a calici od a bottiglie intere da tre quarti, con uno sconticino “…è una promozione sa… per riguardo ai commendatori, che tanto onore ci fanno”.
    Si distendono sulle dedicate stoviglie dalle sagome allungate e strette l'embricature di patate lesse in fettine, che si bagnano negli aromi mediterranei dell'olio d'oliva, “extravergine mi raccomando!”, “ma certo! è il solo che accettiamo, ci mancherebbe! e del migliore beninteso per i nostri ospiti, dai poggi toscani dove l'ulivi son tanto rispettati, può star tranquilla dottoressa, è un puntiglio per la casa, non ci si scherza mica sa?”, e nei profumi, quelli invece di più incerta provenienza, del prezzemolo “… sminuzzato colla mezzaluna, come faceva la mia povera nonna, buon’anima”. E sospira.
    E le cotolette? oh le cotolette! pestate sino ad allargarle là dove arrivano le frontiere dei piatti e fritte in una doratura di spezie miscelate al pangrattato, legati assieme inscindibilmente dalle sbattute uova “… sempre fresche, perché fresco si può dire bè… che è il nostro marchio… come i signori senz'altro sapranno”, in una scricchiolante pastella bruna, colla ciotolina di contorno, rabbuffata di delicato songino, “ … e qui accanto l'oliera, per condire a vostro gusto, che nessuno del resto apprezza più di voi medesimi signori miei, come noi altri si dice sempre, e come poi s’è imparato dalla lunga esperienza nostra…”, necessaria leggerezza di contrappeso alla frittura.
    I piatti fondi si dischiudono ricolmi di spaghetti imbibiti di sughi e panne e creme, squisiti filamenti che la maestria dello chef ha saputo disciplinare scolpendone il caotico groviglio in una dinamica forma, e convoluta, benedetta sotto due foglie di basilico; tortiglioni e penne che preferiscono accompagnarsi colle verdure di stagione, ma che non temono d'accoppiarsi anche a quelle delle stagioni ormai passate, e certamente non disdegnano i ragù.
    Le bocche! Oh le bocche! Masticano coi labbri serrati come la buona creanza impone, e tra un boccone e l'altro offrono del proprio all'assaggio dei vicini che per lo più cortesemente s'astengono. I golosi invece non resistendo infilzano la propria forchetta nelle stoviglie altrui, aperte col sorriso alla pubblica degustazione, per spiccare una pennetta, “Ottima!”, ringraziando, o sottrarre come un prestito di cui non renderanno mai l’oggetto un involto di qualche linguina raccolta intortigliata nei rebbi.
    I velopenduli a tutto vapore stantuffano: perché si deve inghiottire il masticato prima di introdurre il nuovo boccone; i pomi di quella mela che ad Adamo andò per traverso si animano di alternativo moto per inviare le degustate leccornie a riempire i vuoti stomaci, che le consegneranno poi alle posteriori e più private fasi della peristalsi nel dopo pranzo, con comodo.
    Glu glu glu scende il vino negli a lui consacrati calici, e con questi risale poi alle schiuse labbra che ne trattengono un sorsetto corto corto, come richiede educazione: accompagnamento fruttato che agevola le discese lungo i tubi digerenti; e si dipinge delle signore sui cristalli l'orma dei baci screziata di carminio.

    Edited by CurzioG - 3/11/2020, 08:09
     
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    ... e tanto rapido si torce che qualche gocciolina, condensa della dianzi occorsa uscita dal fresco dei frigoriferi, si divincola dai vetri, terminando il moto parabolico che la gravità vi ha impresso coll'irrorazione dei tavoli e dei malcapitati circostanti, inetti a pararla con improvvisati ombrelli perché colti impreparati dall'inopinata giravolta.

    Che meraviglia ! Che gioia espressiva !
    Di solito, tendo a lottare contro l'ampollosità, ma la tua è una scrittura che nulla ha a che fare con la stessa. Il tuo è un elogio a quella grande lingua ormai ridotta "agli stracci"; un tesoro dilapidato. Mi complimento per il sapiente uso di "siccome" nella sua accezione nativa.
    Sono immagini nitidissime, esposte con grande eleganza letteraria.
    Godibilissimo l'esercizio semantico, in proposizioni che filano fluide, vivide, senza gli intoppi tipici di chi finge, adducendo noia, una sapienza mai raggiunta.
    Il mio idolo, filosofo, ricercatore e docente, Diego Fusaro, sarebbe fiero di te.
     
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    Grazie. Temo che il mio invece di idolo lo sarebbe molto meno. Gadda è inarrivabile.
     
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2 replies since 29/10/2020, 08:11   75 views
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