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Capitolo 1
2001, Novara
Era notte fonda a Novara. La città, giovane e silenziosa, danzava con la luna sempre nei soliti posti, qualche bar del centro e fuori dalla storica discoteca Ryan’s, punto d’incontro di tanti adolescenti in cerca di qualche emozione che li distolga dalle piatte giornate di ottobre, puntualmente nebulose. Un gatto nero attraversò la strada ad un’ auto, che inchiodò di colpo, suscitando l’interesse di qualche ambiguo passante. Si preannunciava una serata fortunata per quel gatto, meno, secondo alcuni, per quel conducente. Poco importa a noi, che siamo qui a raccontare ben altro, di un piccolo spiraglio che quella notte si aprì nella vita di qualcuno, che come un gatto nero, celava un non so che di misterioso. Oscar viveva da solo in un appartamento di periferia, in una di quelle case popolari che circondano i parchi un po' abbandonati. Da anni, recensiva libri per una piccola casa editrice dal suo pulitissimo appartamento, di un lindo quasi maniacale. Era un tipo solitario e questo col tempo l’aveva portato ad allontanarsi da molte persone. L’unica amicizia reale e presente nella sua vita era quella con Luca, amico di vecchia data. Non ci soffermeremo ora sulla storia di Oscar, basti sapere che una grossa cicatrice la riassumeva tra le pieghe del suo viso malinconico.
Quella notte fece tardi per portarsi avanti con il lavoro. Quando si immergeva in una storia, niente riusciva a distrarlo, ma diversamente dal solito, venne disturbato da un forte sbattere di porte e dal pianto di un neonato. Si erano trasferiti da poco Seo-yun e Ha-joon,due giovani coreani. Oscar vedeva spesso Seo-yun uscire per andare a fare compere e altre commissioni, nonostante il pancione prominente. Ha- joon, invece, era sempre al lavoro, a una stazione di benzina poco distante da lì. La moglie era piuttosto riservata. Oscar li aveva incrociati solo una volta e mentre il marito aveva usato come pretesto la nuova casa per una conversazione, lei non aveva proferito parola. Sembravano brave persone, ormai erano quasi sei mesi che erano lì e non avevano mai creato problemi di alcun tipo, tranne il rumore dei frequenti litigi dell’ultimo periodo. Il figlio nacque pochi giorni prima di quella notte e anche una volta nato il piccolo, si continuavano a sentire discussioni sempre più frequenti, attraverso le pareti sottili come foglie e sembravano sempre molto preoccupati di qualcosa, o perlomeno questo era quello che Oscar aveva potuto decifrare dai toni usati dai due nella lingua sconosciuta. Erano le tre e mezza, le porte sbattevano, il bambino piangeva, le loro voci si confondevano con il rumore di qualche macchina solitaria. Poi silenzio. Poi ancora pianti, questa volta più vicini. Oscar non riusciva a dormire, perciò si alzò e andò in cucina a bere un po' d’acqua. Si affacciò alla finestra. La luna era piena, illuminava la strada, ma la macchina dei coreani, una Kia blu, non c’era. A Oscar venne un presentimento. Attraversò il soggiorno e aprì la porta d’ingresso.
Lì fuori, in una culla, due occhi a mandorla lo fissavano curiosi e spaventati.
Confuso, Oscar si guardò in giro, non sapeva come comportarsi. I coreani erano andati via nel bel mezzo della notte, avevano letteralmente abbandonato il piccolo al suo destino. Non potendo fare altro a quell’ora, Oscar portò in casa il bambino e cercò per quel che potè di non farlo piangere per non svegliare gli altri vicini. Come potevano dei genitori fare una cosa simile? pensava che queste cose fossero così lontane da lui, che le sentisse solo nei telegiornali, anche se i suoi non erano stati proprio dei genitori modello. Oscar, un trentacinquenne pallido, robusto e alto, con la sua grossa cicatrice che solcava il viso dalla guancia destra al mento, non era proprio la persona che si sarebbe potuto pensare per l’affidamento di un neonato. Dall’esterno non sembrava così affidabile, forse per la statura o lo sguardo dettato dai suoi occhi serrati di un colore cristallino. Un po' a disagio e impacciato, per tranquillizzare il piccolo, lo prese tra le braccia e lo cullò in modo goffo. Visto che non funzionò, fece l’unica cosa che gli venne in mente, iniziò a canticchiare con il suo roco vocione una melodia che veniva da tempi e luoghi dimenticati e allo stesso tempo radicati dentro il suo essere. “Si muove la città, con le piazze i giardini e la gente nei bar…” fino a che il bambino non si addormentò. Oscar si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro nel piccolo soggiorno pensando a cosa fare. Poi si sedette. Il neonato dormiva pacifico, con un occhio socchiuso e la boccuccia aperta e Oscar si ritrovò incantato a guardarlo. Notò una collanina, appesa al suo collo, con un ciondolo e una scritta in coreano, la trovò bellissima. Gli ricordava una collana che usava indossare sempre sua madre, con scritto il suo nome. Forse anche sulla sua c’era scritto il nome, ma non capendo la lingua, non era in grado di tradurlo. Perso nei suoi pensieri, guardò l’orologio e si rese conto dell’ora. Era tardi, sarebbe andato dalla polizia appena alzato e poi sarebbero arrivati i servizi sociali e avrebbero dato il bambino in adozione, non l’avrebbe tenuto. Non gli era mai passata per la mente l’eventualità di dover crescere un bambino, per lo più senza una compagna (aveva un rapporto complicato con le donne), anche se questo arrivo inaspettato era riuscito a destabilizzare anche un omone come lui. Avrebbe deciso cosa fare dopo essersi confrontato con l’unica persona di cui si fidasse, Luca,poi si sarebbe diretto subito in questura.
Edited by Artemis. - 28/9/2020, 21:34
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