Il rifugio dello scrittore

Gli arcani della salvezza

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    Gli arcani della salvezza

    Crollò. Un’implosione improvvisa, imprevista, inspiegabile. Erano passati più di mille anni da quando quello scaffale era lì, altero e composto nel suo ruolo di scaffale da biblioteca.
    Quel giorno, l’8 giugno, segnò la definitiva estinzione, almeno nella sua forma eretta, dello scaffale dell’antica biblioteca del corso, ora semplicemente biblioteca sotterranea.
    Nel 3028 le città sorgevano in superficie, con tanto di spazio-mobili sfreccianti e robot che accompagnavano i bambini alla scuola satellitare. Le vecchie città erano rimaste nel sottosuolo. Vi si accedeva solo attraversando una lunga e complicata teoria di cunicoli sotterranei, bui e maleodoranti.
    I libri, le carte geografiche, degli antichissimi cd rom, giacevano ora nelle viscere dello scaffale, implosi e confusi nelle macerie di legno e polvere. Nessun superstite, così sembrava.
    Ma all’improvviso, si udì una voce provenire da un punto imprecisato dello stanzone buio.
    «E chi poteva predirlo…».
    «Già, nemmeno Nostradamus» replicò una voce suadente di donna, leggermente arrochita dalla polvere.
    «E lei chi è, scusi? Non si vede nulla qui dentro».
    «Permette, sono la Fortuna, arcano maggiore professionista».
    «Ah, sì. Io sono il Carro, ci conosciamo».
    «Tesoro, stai bene?».
    «Io sì caro, e tu?».
    «Chi è là!» gridò il Carro con la sua voce legnosa.
    «Siamo gli Amanti, tutto bene lì da voi?».
    «Sì, tutto bene, siamo gli unici sopravvissuti?».
    «No, ci sono anch’io, ma per favore lasciatemi stare, non ho voglia di fare comunella».
    «Chi sei?» gridarono in coro.
    «L’Eremita».
    «Ah».
    «Aiutatemi, vi prego».
    «Chi c’è ancora?» urlò il Carro.
    «Sono l’Appeso, mi sono quasi strangolato cadendo. Oh, ecco, sono riuscito a rimettermi in piedi».
    «Salve a tutti bella gente! Che meravigliosa giornata! Finalmente potremo sgranchirci un po’ le gambe».
    «Ma sei matto?».
    «Sì, come avete fatto a capirlo, qui non si vede niente».
    «Usciamo da qui, potrebbero avvenire altri crolli e noi non vogliamo morire, vero amore?».
    «Sì, anima mia. Andiamo, andiamo».
    «Aspettate, vengo anch’io, oh! Che meravigliosa avventura ci attende».
    «Aspettate. Veniamo anche noi. Saltate tutti sul Carro, procederemo piano piano, tutti assieme, fino all’uscita. Che ne dite?».
    Non se lo fecero ripetere due volte. Saltarono sul carro e adagio, procedendo verso un’oscurità sempre meno fitta via via che si avvicinavano all’uscita, i nostri eroi stavano per cominciare a vivere una straordinaria, indimenticabile avventura.




    La Città di Sopra

    La prima cosa che videro, uscendo dall’ultimo budello chiuso da una grata forata, fu lei.
    Era poco più alta di un metro, aveva il volto semicoperto da una mascherina antismog e un cappellino blu che sembrava una luminaria natalizia: si accendevano e si spegnevano una miriade di luci su quel misterioso copricapo a forma di scodella.
    La ragazzina, avrà avuto dieci anni, camminava svogliatamente mentre schiacciava dei tasti su di un aggeggio vagamente somigliante a un antico iPhone. Non si capisce bene come fece a vederle, ma le vide. Non si sa nemmeno perché decise di portarsele a casa, ma lo fece.
    Soledad si chiamava la piccolina che, nonostante la sua giovane età, aveva già accumulato una dose di perfidia ragguardevole.

    A casa di Soledad

    La ragazzina viveva da sola: a che servono genitori, fratelli e nonni se si hanno a disposizione robot, computer ed enciclopedie parlanti che ti risolvono qualunque problema? Aveva risposto con un ghigno al Matto che le aveva chiesto come mai fosse sola in casa.
    Quando scoprì che quelle carte parlavano, la foruncolosa bambina del futuro – l’acne è stata definitivamente sconfitta solo nel 7028 in seguito a un misterioso esaurimento di tutte le scorte di cioccolata della galassia – non fece una piega. Lei, con i decoder, ci giocava. Erano convertitori in lingua terrestre di qualunque lingua esistente, compresa quella dei Tarocchi; bastava applicarsi un piccolo chip all’interno di un orecchio: roba da fare invidia ai più esperti poliglotti.
    La piccola peste, dopo un po’, si era stufata di sentire le malinconiche storie del passato che quei sei continuavano lagnosamente a ripetere, quindi annunciò loro, seraficamente, che la sera stessa le avrebbe buttate nell’inceneritore situato nella sua cucina piena di alambicchi sfornapillole.
    Le carte, udita la ferale notizia della loro imminente e definitiva estinzione, si consultarono brevemente e poi la Fortuna, in qualità di loro rappresentante più fascinoso, propose alla ragazzina: «Senti baby, lo sai noi a che servivamo nel vecchio mondo? A leggere il futuro. Non lo trovi fantastico?».
    «Noi siamo un pianeta in via di estinzione, non ce ne frega niente del futuro» rispose la piccola spudorata.
    «Anche il mondo in cui vivevamo era in via di estinzione, ma noi lo abbiamo salvato!».
    L’aveva sparata talmente grossa che i suoi amici arcani si convinsero all’istante che fosse andata proprio così. Si dipinse sui loro volti una imbarazzata verecondia condita da sospiri e sguardi d’intesa tra vecchi commilitoni.
    La ragazzina sputò la sua pillola gommosa e disse: «Cioè?».
    «Tra quanto tempo questo pianeta morirà?».
    «Sette, otto giorni al massimo».
    «Oh no!» urlarono in coro. Solo il Matto rise. Perché era matto. Appunto.
    «Bene. Proprio come l’altra volta» pronunciò ieratica la Fortuna, ormai lanciatissima sulla via delle balle siderali.
    «Ascolta. In quanto tempo puoi far arrivare una nuova idea a tutti gli abitanti della Terra?».
    «Il tempo di un clic. E posso anche far sì che suoni un cicalino, un avviso di urgenza».
    «Bene. Allora mettiamoci subito al lavoro. Siamo arrivati appena in tempo. Giusto, camerati Tarocchi?».
    «Giusto» ripeterono tutti. Tranne l’Eremita che se ne stava in disparte a scrivere L’elogio del silenzio in sette capitoli. Desiderava ultimare quel saggio sin dai tempi del suo apprendistato alla Scuola Superiore della Divinazione. Poi, insomma, la vita, il lavoro, si sa come vanno queste cose.
    Ora aveva sette giorni di puro ozio a sua disposizione. La penna e i fogli li aveva da sempre nascosti nel mantello. Basta. Cominciò. Intanto gli altri si dedicarono al folle progetto di salvare la Terra e con essa se stessi.
    La Fortuna chiese a Soledad di allontanarsi: dovevano consultarsi un attimo segretamente.
    «Ascoltatemi bene. Adesso ognuno di noi deve preparare un discorso, un consiglio, una ricetta su come salvare la Terra. Inventatevi quello che volete. Tanto, peggio di così si muore».
    «Già, si muore proprio» aggiunse il Matto ridendo.
    Cominciò il Carro. Soledad gli mise una cuffietta tra le ruote e senza mezzi termini gli disse: ”Spara”.
    «Cittadini della Terra, io sono un arcano, una carta degli antichi Tarocchi, forse qualcuno ne avrà sentito parlare. Io sono il Carro. Il mio consiglio per salvare la Terra è che ognuno di voi riempia subito il mezzo di trasporto più grande che possiede, con tutto ciò che non è indispensabile alla sua sopravvivenza, e lo regali immediatamente. Fatelo subito. Vi prego. Grazie».
    Ciò che accadde sulla Terra per tutta quella notte fu incredibile.
    I ricchi divennero poveri e i poveri divennero ricchi e poi di nuovo poveri per aver restituito tutto ai ricchi; decisero allora di fare di tutto a metà e così non si trovava più un povero nemmeno a pagarlo a peso d’oro. Gli africani ricevettero in dono pellicce e auto di lusso e in cambio regalarono quello che avevano, cioè niente, quindi ringraziarono e basta. Un intero mondo in subbuglio per 24 ore fu impegnato in un tentativo estremo di ridistribuire ricchezza e povertà.
    Il secondo giorno, collegato in mondovisione, parlò l’Appeso, il quale consigliò di ridere in faccia ai problemi e di non far capire alla sofferenza quanto facesse male.
    «Non le date soddisfazione! urlò in un impeto messianico. La rivoluzione della notte precedente fu niente in confronto a quello che accadde negli ospedali, tra gli anziani, nelle carceri e persino nelle farmacie dove, testimoni attendibili, riferiscono di aver sentito dire: «Mi darebbe le mie squisite pillole per la pressione? E aggiunga anche un buon litro di sciroppo per la tosse, per favore». Se ne videro e se ne sentirono di ogni genere.
    Il terzo giorno fu l’apoteosi, quando parlò il Matto. Il suo discorso fu talmente sconclusionato che riusciamo a riportare una sola frase: «Fate qualcosa che vi renda felici, non importa se vi chiameranno pazzi!».
    Milioni di cassetti si aprirono all’unisono liberando sogni mezzi ciechi, per l’oscurità in cui avevano vissuto, e anchilosati per l’immobilità. Ma per rendere tutti quei sogni di nuovo frizzanti e vivi, bastò respirare un po’ di aria buona donata alla Terra da un pianeta vicino che si commosse per quell’iniziativa di salvataggio estremo.
    Il quarto giorno la Fortuna emozionò tutti pronunciando un delicato discorso che cominciava così: «Audaces fortuna iuvat…».
    Nessuno ci capì niente e fu una fortuna, appunto, perché ognuno capì quello che voleva e tutti trovarono una ragione per sentirsi fortunati e contenti.
    Ma il picco di ascolto più alto, manco a dirlo, lo ottennero loro: gli Amanti.
    Riuscirono a dire tante di quelle mielose e sbrodolose insulsaggini da mandare in tilt la rete per l’eccessivo numero di connessioni. Raccontarono la loro storia, romanzandola alquanto e aggiungendo scaltramente a ogni giro di frase “… noi siamo come voi…”, “… come ognuno di voi certamente ricorderà…”, “… come ciascuno degli ascoltatori ha sicuramente provato…”.
    Gli ascoltatori della Terra non si ricordavano proprio niente, in verità: la maggior parte di loro era nata in provetta ed era stata allevata da un robot. Eppure qualcosa capirono, perché cominciarono ad accarezzarsi, ad abbracciarsi e perfino a baciarsi imitando quei due insulsi chiacchieroni di carta, millantatori di salvataggi mai avvenuti, praticamente dei senzatetto. Ecco tutto.
    L’Eremita si rifiutò di parlare. Era il sesto giorno e ancora non si sapeva se questo mondo sarebbe finito o no, lui invece doveva finire il suo saggio.
    Il settimo giorno, come fanno sempre le persone particolarmente influenti, i nostri si riposarono.
    La fine del mondo era attesa per quella notte.
    Soledad, dopo tutto il trambusto di quei giorni, si annoiava a starsene tutta sola con i suoi videogiochi. Ci aveva preso gusto alle chiacchiere di quegli alieni provenienti dal passato. Ma, in quel momento, dormivano tutti.
    Cioè, non proprio tutti.
    L’Eremita si era sistemato sull’amaca elettronica costruita da Soledad per il suo compito di archeologia industriale e, naturalmente, stava scrivendo.
    «Che fai?».
    «Scrivo. Lasciami in pace, non ho tempo per parlare».
    «Scrivere è come parlare. Se scrivi significa che vuoi parlare, e a un sacco di gente».
    «Io scrivo per me, ti ho già detto che non ho voglia di perdere tempo con te, saputella del 3000».
    «Allora scrivi un diario, non un saggio».
    «E tu che ne sai che sto scrivendo un saggio?».
    «Ho tirato a indovinare».
    «Oh, senti, te ne vuoi andare?».
    «Dove? Questa è casa mia e ti ricordo che stai seduto sulla mia amaca elettronica».
    «Hai ragione. Scusa. Grazie per l’ospitalità. Per favore, adesso, potrei stare un pò da solo? Avrei da finire questo libretto prima della fine del mondo».
    «Dimmi solo il titolo, poi me ne vado».
    «L’elogio del silenzio in sette capitoli» declamò, continuando a scrivere senza staccare la penna dal foglio.
    «Io so tante cose sul silenzio».
    «Dici davvero?» disse l’Eremita guardandola finalmente con interesse.
    «Certo. Da quando sono nata parlo solo con computer, o attraverso chat o caschi trasmettitori del pensiero. Io ci vivo, nel silenzio».
    «Non parli mai con nessuno?».
    «Non come sto parlando con te, cioè uno di fronte all’altro».
    Il cuore di pietra dell’Eremita ebbe un impercettibile smottamento, un terremotino interiore.
    «E come hai fatto a non perdere l’uso della parola?».
    «Ho un segreto, ma a te posso confidarlo, tanto non parli con nessuno».
    «Ti ascolto Soledad, tanto avevo quasi finito» concesse l’Eremita. Le confessioni di Soledad sarebbero state l’argomento del settimo e ultimo capitolo del suo libro, decise in cuor suo.
    «Io parlo con un bambino di questa città. Ci incontriamo due volte a settimana all’entrata del cunicolo dove ho visto voi. Togliamo la grata e ce ne andiamo a spasso nella vecchia città. Facciamo finta di fare dei giri sulle giostre, compriamo del finto zucchero filato dalla macchinetta rotta che è proprio lì accanto, leggiamo libri di fiabe nella vecchia biblioteca…».
    «Anch’io abitavo lì!» esclamò l’Eremita in un impeto di ritrovata fratellanza.
    «È bellissimo starsene lì sotto, alla luce delle nostre torce al plutonio. Il silenzio del mio mondo mi ha fatto capire che è fantastico parlare con un amico, e con un amico è bello anche stare in silenzio».
    «Guarda Soledad, cos’è quella luminaria?» esclamò l’Eremita all’improvviso.
    «Oh no! Ho lasciato acceso il collegamento in mondovisione, mi avranno sentito tutti, anche il Gran Consiglio Disciplinare. Devo avvisare il mio amico, ci puniranno…» disse la ragazzina terrorizzata.
    «Che succede? Cos’è tutto questo chiasso?».
    Si erano svegliati tutti. Le lucine del monitor sembravano impazzite, significava che stavano arrivando messaggi da tutto il mondo in risposta alle parole di Soledad, udite per sbaglio in ogni angolo della Terra.
    La ragazzina accese il video per leggere i messaggi mentre grosse lacrime di paura le colavano giù dagli occhi.
    I messaggi erano milioni di milioni e ci misero sette giorni per leggerli tutti, quindi la Terra non si era disintegrata come previsto.
    Soledad e il suo amico non solo non vennero puniti, ma furono promossi custodi e guide della città sotterranea.
    Gli arcani se la spassarono a lungo andando come ospiti da un talk show all’altro, divenendo delle vere star mondiali.
    L’Eremita cambiò il titolo del suo saggio da: L’elogio del silenzio in sette capitoli a L’elogio del silenzio condiviso tra sette amici.
    Divenne ricco e famoso e, ogni tanto, si rivedeva nella caverna sotterranea con tutti gli altri per farsi quattro chiacchiere e raccontarsi, per l’ennesima volta, di quella settimana in cui salvarono la Terra.
    A parole.
     
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    Mi congratulo su tutto e per tutto. È un pezzo pensato ed esposto benissimo, con una scrittura sapiente e un'interpunzione impeccabile. Si legge con una facilità pari a una fresca bevuta, non per "semplicità" bensì per la sapienza costruttiva e narrativa, che genera una bella scorrevolezza. Si legge così bene che mi ha fatto venire una voglia matta di farne una registrazione audio.
    Un bella citazione a Il mondo nuovo di Huxley, e una Alice cyberpunk.

    C'è un solo tratto in cui non sono riuscito a cogliere il soggetto plurare del periodo:
    Non si capisce bene come fece a vederle, ma le vide. Non si sa nemmeno perché decise di portarsele a casa, ma lo fece.
    ...


    Se si tratta di Soledad che afferra le carte per portarsele a casa, allora credo che basterebbe aggiungere il soggetto esplicito nel complemento della principale, così:
    Non si capisce bene come fece a vedere quelle carte, ma le vide. Non si sa nemmeno perché decise di portarsele a casa, ma lo fece.
    ...

    Giacché il finale è di tipo improprio, immagino che tu stia progettando un seguito, perché il materiale su cui prodigarsi non mancherebbe affatto, a partire dalla perfidia della decenne e dai suoi "perché".

    Ah... Ciao! 😉
     
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    Ciao. Grazie mille per la lettura. Che meraviglia: una registrazione audio! Sarebbe bellissimo. Sono d'accordo con te per quanto riguarda il soggetto plurale del periodo che mi hai segnalato, lo correggo subito.
    In realtà questo raccontino surreale fa parte di un libro ambientato nel 3028, un futuro distopico in cui succedono tante cose, mi sono divertita molto a scriverlo, anche se, su certi temi, non c'è poi tanto da ridere.
    Grazie ancora. A rileggerci presto.
     
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    Appena riesco ad organizzarmi, ti faccio la versione audio (lettura interpretativa).
     
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    Grazie. Non vedo l'ora di poterla ascoltare. A presto.
     
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    Ora che ci penso, c'è un precedente che posso farti ascoltare. Si tratta di un racconto scritto qualche anno fa da una nostra scrittrice, Trammy. In tal modo puoi farti un'idea sulla mia voce, "che alcuni spaventa". :D
    Ecco il link Un uomo (non è in YouTube, ma sul mio server). È un video. Se lo guardi col browser, puoi anche scaricartelo facendo: File > Scarica pagina con nome. Ti consiglio l'ascolto con buoni auricolari.
     
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    Ciao. Scusa se rispondo solo ora. Ho ascoltato la tua opera, molto interessante, complimenti. La tua voce non mi ha spaventata! Bravo. A presto.
     
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    Ciao, non mi sono dimenticato: 😉 i primi 4 munuti di audio sono già fatti. Prevedo un totale tra i 10 e i 15 minuti. Le voci femminili ti faranno sganasciare dalle risate, perché sto usando la voce naturale, però in "falsetto". :woot:
     
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    Ciao. Sono curiosissima... Grazie.
     
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