Il rifugio dello scrittore

La forma dell'aria

Capitolo terzo

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    17

    Status
    Capitolo terzo – L’amore

    Paragrafo uno - L’apprensione

    Vero si svegliò verso le sei di pomeriggio, l’aria era ancora calda. Quasi istintivamente si diresse verso l’uscita della casa, qualcosa lo stava chiamando. Fuori c’era vento, e nessuna nuvola in cielo. Di li a poco avrebbe provato cosa significava l’orrore della solitudine. Aveva saltato la lezione, senza comunicarlo all’università; prese il cellulare, e chiamò. Un rigiro di accorte parole rimise a posto la sua posizione autoritaria, e la faccenda fu risolta con un richiamo da parte del rettore. Avrebbe dovuto consegnare il nuovo libro sull’etica nicomachea tra un mese, ma sapeva che non sarebbe stato possibile lavorare nelle condizioni in cui stava. Un senso di vuoto e di smarrimento lo assalì lentamente, costringendolo a sprofondare sulla poltrona del salotto, con nessuna voglia di esaminare la situazione.
    Cosa ci faccio ancora qui… Non posso lasciare le sue opere in balia di ladri e del deterioramento, in questa casa sopravviverebbero una dozzina di giorni. Perchè mi hai costretto a questo, dannato pazzo.
    Davanti a lui un quadro relativamente piccolo mostrava un uomo in abiti moderni in ginocchio, schiacciato da uno specchio orizzontale; al suo fianco un altro, con vesti greco antiche su d’un trono, costretto a guardare un altro specchio, stavolta verticale. Nello spazio tra gli specchi un cerchio, dentro il quale si mostravano degli abiti vuoti.
    Devo essere entrato nella mente di un folle. E’ tutto un madornale scherzo.
    Il telefono squillò, e Vero fu assalito dalla nausea. Andò in soffitta, e rispose.
    Vero “Spero tu abbia un antidoto per gli incubi.”
    Io “Forse, ma non è ancora il momento di prenderlo. Intanto guarda, ho un regalo per te: ho passato un anno e mezzo a parlare con dei saltimbanco, tu gli chiameresti filosofi emeriti. Abbiamo scritto dei consigli per il libro che dovrai pubblicare. E non c’è bisogno tu ci dedichi la copertina.”
    Sul dipinto comparve una pagina scritta in calligrafia da stampa, che Vero lesse con un’assonnata voglia. Finita la prima, ne seguirono altre centoventitrè. Io e lui comparammo le nostre nozioni ad ogni fraseggio, nominando le citazioni e le congetture più o meno facili alla comprensione.
    Vero “Bhe, complimenti a voi. Ma non è il mio libro. Non pubblicherò mai a nome mio qualcosa che non ho scritto.”
    Io “Ancora vincolato alla personalità rinchiusa in un sedicente corpo autosufficiente? Supera il raziocinio dell’individuo e affrancati dalle dittature di un sistema chiuso in se stesso. Abbiamo lavorato durante i sogni che hai avuto prima, mentre dormivi. Queste sono tutte parole cavate dalla tua testa.”
    Vero “Non ti dimentichi mai di pormi dubbi che non hanno soluzione. Ma ti crederò. Non mi aspetto tu menta, oramai.”
    Io “Non avrei motivo per farlo. Senti, hai pensato alla possibilità di vivere qui?”
    Vero “Si, ho riflettuto. Per i primi anni dovrò comunque andare a lavorare all’università. Se riuscirò a vendere i miei libri, allora potrò anche lasciare il lavoro.”
    Io “Non c’è motivo di rallentare questo processo. Volevi un rimedio contro gli incubi? Vai di sotto, dentro la fodera del cuscino c’è una chiave. Fuori, nell’orto, una cassetta, proprio vicino ai cavoli. Ti consiglio di metterti a scrivere senza pensare troppo a ciò che avverrà nel frattempo.”
    Vero “Dei tuoi stravolgimenti di realtà sono arcistufo. Non voglio saperne nulla. Il patto è di farmi ringiovanire di un giorno ogni giorno, giusto? Bhe fallo, poi andrò a cena alla taverna giu in paese. Poche storie mi hanno dato sui nervi come lo sta facendo questa faccenda, in cui mi hai scaraventato senza che io...”
    Io “Sei stato tu a venirmi a trovare, ricordi? Per quando riguarda il patto è bello e che fatto, fidati di me, per questo. Gli effetti però non si vedranno se non tra qualche anno, sappilo.”
    Vero attacca bruscamente il telefono.
    Devo distrarmi. So chi chiamare.
    Prese il telefono e chiamò la Luciana, la sua prostituta preferita. Aveva trentanove anni, tre più di lui, ed era una delle donne più belle che Vero conosceva. Ma il motivo per cui la preferiva era per il suo acume fuori dal comune.
    Vero “Ciao Luciana, sono Vero...”

    Paragrafo due – La cena

    Vero stava aspettando la sua compagna da quasi mezz’ora, e sorseggiava lo stesso bicchiere d’acqua da altrettanto tempo. Nella sala, oltre ai due camerieri, c’era solo un uomo sulla sessantina, che mangiava dello spezzatino in salsa di pomodoro. La porta si aprì, ed una folata di vento mosse le tende delle finestre. La Luciana entrò, salutò il cameriere che gli prese il soprabito, e sorrise al suo accompagnatore. Mentre si avvicinava, Vero la squadrò come un cane fiuta il suo padrone, con affetto e l’impazienza di abbracciarla.
    Vero “E’ incredibile che siano passati gia due mesi dal nostro ultimo incontro. Sei splendida, come sempre.”
    Si alza, bacia la donna come se fosse la sua sposa, e la fa accomodare al tavolo.
    Luciana “Il tempo vola per chi ha le ali. Tu sei sempre il solito lusingatore.”
    Vero “Scusa se ti ho fatto salire fin quassù. Ero venuto a trovare un mio vecchio amico, poi lui è dovuto andare a casa dei suoi familiari per necessità, e non poteva lasciare la casa incustodita. Se non altro, avremo un posto nuovo da provare.”
    Luciana “Non mi dispiace questo locale. E’ schietto ed al contempo elegante. Non una vera e propria trattoria, ma nemmeno un locale di lusso. Mi ricorda l’aspetto della villa di mio nonno. Preparava dei funghi saltati impareggiabili, pace all’anima sua.”
    Il dialogo continuò fino all’arrivo della cena, quando Luciana domandò al compagno un’insolita proposta.
    “Vero, sono anni che ormai faccio questo mestiere. Questo lo sai, e sai anche che da una certa età in su sarà impossibile per me continuare.”
    Vero “Hai gia dei programmi per il futuro?”
    Luciana “Voglio trovare un lavoro. Voglio sposarmi. E voglio che il mio marito sia tu, Vero.”
    Vero per poco non si strozza con il boccone di verdure grigliare, e dopo qualche colpo di tosse si ricompose.
    Vero “Diamine, Luciana, sarebbe bello, certo che sarebbe bello. Tu ti fidi di me fino a questo punto?”
    Luciana “E tu ti fidi di me?”
    Vero gli prese la mano e la baciò.
    “Se non fossi restio a giudicare, direi che mi hai scelto per caso. Ma è per caso che succedono le cose più importanti.”
    Finita la cena, Vero invita Luciana a seguirlo fino a casa mia. Luciana lo segue con la macchina, imprecando per la cattiva qualità delle strade sterrate. Una volta dentro casa i due si lasciano cadere sul divano e, senza ammettere giustificazioni, fanno l’amore.

    Vero accarezzava i capelli della sua donna, lei giocava con una matita facendola roteare tra le dita. Le candele disposte in tutta la stanza illuminavano l’ambiente come se fosse un santuario.
    Luciana “Questi dipinti sono del tuo amico?”
    Vero “Si, sono suoi. Sono orribili.”
    Luciana “No, non gli chiamerei così. Si nota che è un pensatore, come te. Questo...”
    Fa per alzarsi, stizzendo Vero per l’interesse dato ai disegni, che aveva rotto il silenzio in cui si stavano inoltrando.
    “… questo sembra optical art. Ma guarda… Un cetaceo che vola sopra le vette delle montagne, alle cui pendici sorgono foreste di abeti. Peccato che queste visioni restino negli occhi di chi le vede, nelle parole di chi le descrive, ma non sulla carta che le propone.”
    Vero “Dici che non sono solo giochi di forme casuali?”
    Luciana “Ma no, no… seguono il sentimento con cui le si intraprendono. Non possono essere semplicemente effigi casuali.”
    Vero “Aspettami qui.”
    Vero si alza, si veste rapidamente e va in camera da letto. Prende dalla fodera del cuscino una piccola chiave, esce nell’orto dietro casa, ed apre la cassetta con il lucchetto.
    Dannato stralunato, lo sapevo…
    Prese dei funghi, e tornò dentro.
    Vero “Tieni Luciana, provane uno.”
    Luciana nel frattempo si era rivestita; ne prende uno in mano, lo esamina per un po', poi ne da un morso.
    Luciana “E’ molliccio ed aspro. Speriamo che l’effetto sia migliore del sapore.”
    Vero ne mangia uno a sua volta, poi prende il suo quaderno degli appunti.
    Vero “Ti consiglio di rilassarti, passerà più di mezzora prima che facciano effetto.”

    Paragrafo tre – La luce della Luna

    Luciana iniziò a guardare la tavola con un po' di perplessità.
    Luciana “Vero, ci sono delle scritte qui.”
    Vero “Perchè non me le leggi?”
    Luciana “Va bene… L’uomo e... la donna….- si leggono sempre meglio -… due vite… ed un solo traguardo. Il corso di vuoti, riempiti dallo sguardo. Punto sconfinante, eterno tormento… marea sibilante, materno fermento. Nottambule veglie di gregarie cicale, clessidre volteggiano al tempo solare.”
    Vero “...al tempo solare.”
    Luciana “Ma la stai scrivendo? Bhe fa come vuoi. Questa è per te: novello lo sposo di dolce linfa, attende la consorte come unica ninfa; ravvede se stesso ai suoi aspri doveri, sua moglie lo spinge in rosei sentieri.”
    Vero “Bella… non bella come te, ma bella.”
    Luciana “Ora vedo un volto dall’aspetto famigliare… capelli a caschetto… sorriso tremante. Questa è...” La ragazza si ferma dal finire la frase. Vero nota il suo nervosismo.
    Vero “Qualcosa non va?”
    Luciana “No, va tutto bene. Per un attimo mi è sembrato di vedere mia madre. E’ morta sette mesi fa...”
    Vero “Non me lo avevi mai detto… mi dispiace. Basta, non guardare più quella bruttura.”
    Luciana “Per un attimo mi è sembrato che volesse parlarmi. Ha mosso le labbra prima che il mio esitare la facesse scomparire. Eccola… è tornata. Mamma… mamma sei tu?”
    Vero credette che fosse l’effetto degli allucinogeni a farla parlare, sebbene la Luciana fosse interamente cosciente delle sue azioni.
    Luciana “Compaiono altre parole… è la sua calligrafia… sono sempre stata vicino a te. Di te non rimpiango nulla, se non che per colpa mia stai soffrendo la nostra lontananza. Sarò… sempre con te.”
    Iniziò a piangere, senza trattenere le lacrime. Vero lasciò il quaderno ed abbracciò la sua amata.
    “Secondo me lei c’è ancora… ne sono sicura. Tu mi credi, Vero?”
    Vero “Certo che ti credo. Dopotutto divideremo le nostre vite. Come potrei non condividere le tue emozioni?”
    Luciana “Vorrei stare un po da sola, se non ti dispiace, a guardare questo disegno…”
    Vero non era d’accordo, ma prese il quaderno ed andò in camera da letto. Li stranamente c’era un solo quadro, rappresentante una conchiglia azzurra, semi dischiusa. Non ci fece troppo caso, anche perché ad ogni respiro sentiva l’aria come un’onda entrargli dentro, ad ogni pensiero una scalata di una ripida vetta. Si mise a scrivere.
    Cicliche reminiscenze conducono i nostri passi in stretti borghi di pensieri, scrigni chiusi dalla chiave del caso; impronte le sue gemme, ferite le sue monete d’oro, ci stringono in cappi che declamano il passato come onta perpetua, indelebile memento di un futuro che non cambierà nulla, se non conferire al nostro animo un perpetuo deperimento. Qualcuno mi sta chiamando? Sento come la presenza di un diavolo ostile, nello stesso tempo impotente se non nella mia annebbiata attenzione, dove fosse posto come spaventevole. Rami le tue braccia, ghiaia le tue viscere, mattoni le tue gambe. Bizzarro monumento all’incoerenza di un mondo che detiene gia il massimo dell’annichilimento di ogni suo frammento, quando in lenta agonia, quando in rapido schianto, tutto decade.
    Una voce sibilata che proviene dal quaderno “Maltratti così il tuo padrone perché sai che per generosa concessione non ti punirà se non quando costretto. Attento a te, omen. Qui e ora avrai il tuo ultimo consiglio valido per seguire la sola via che ti condurrà alla salvezza.”
    Vero, a bassa voce, poi più forte, mentre continua a scrivere “Taci, demonio… tu che la natura hai invaso di un solo dire; il tuo nobile rifiuto a donare pace ad ogni vincolo di questa realtà… ora vorresti salvarmi? Ho passato un’intera esistenza a rincorrere ciò che non hai mai offerto a nessuno, e quando lo seppi il rantolo di una vita fin troppo umana mi scosse al punto da odiare tutto ciò che si dice vano. Diavolo, Dio, fantasma della mia follia, torna nel buco oscuro che generò prima di te la potenza di distruggerti!”
    Voce “Benigni o maligni io e te siamo due appendici dello stesso fato. Mi vanto di un’importanza maggiore della tua, per non darti l’aria di presunzione nei confronti del mondo.”
    Vero “Balbuzie, incomprensibili menzogne! Io sarei in bilico a causa tua? E cosa ti avrebbe conferito tale potere su di me? Non ho commesso errori se non quello di ascoltarti quando mi chiedevi di supportare la tua esistenza, per pietà mia, fin troppo acuta!”
    Le candele iniziarono a spegnersi, lasciando la stanza in una graduale oscurità. Sono la luce della luna filtrava dalla finestra, e Vero continuava a scrivere ormai senza la capacità di fermarsi.
    Sono l’ultimo approdo di me stesso, da qui non avrò altre uscite se non le nebbie dell’oblio che mi concede la mia mente ormai sfatta. L’illusione è reale, ed è più forte della gravità che mi tiene legato a terra. Se potessi, in anni di somme rinunce, prosperare anche solo un pensiero che si possa dire vero, sarei ben felice di abbandonare ogni tumulto soppesato dalla fame insaziabile, dalla sete che trabocca, dal desiderio di non abbandonare ciò che mi da forza.
    Voce “Sei schiavo, cieco e succube di un agire che non ti apparterrà mai. Vuoi vivere per sempre in questa fogna? Cosa sarebbero cento, mille anni chiusi qui dentro a ripetere la stessa canzone? Lascia che il sobborgo delle tue paure ti culli, deponi il tuo agire in una valle buia ed infinita. Solo così, avrai ciò che realmente ti spetta, ciò che in realtà sei destinato a divenire. Guarda…”
    Vero guardò la porta semichiusa. Luciana era in piedi, avvolta dalla luce fioca della cera.
    “Guardala… Persino lei non ti da rifugio nei momenti di abbandono. E quando lei si chiederà perché tu non la seguirai nella vecchiaia, le tue risposte faranno scherno alla più vile delle menti. Non c’è casa per te qui. Non c’è rifugio. Solo solitudine. Abbraccia dunque la solitudine un’ultima volta. Abbraccia il Nulla.”
    Le candele si riaccesero, di una luce rossa e spettrale. Vero si guardò intorno con l’ansia di chi sa cosa stava per succedere. Non qui, non quando c’è anche lei; pensava. Lo sguardo fu attratto dal dipinto della conchiglia, dalla quale ora uscivano tentacoli neri, in procinto di afferrare il poco colore azzurro rimasto.
    Non permetterò che le mie paure sazino la tua fame, essere immondo, vuoto mostro dei miei affanni.
    Vero iniziò a recitare parole sconnesse come Faglia, Zero, Deposto, Daga, Torre. Ogni parola faceva arretrare i tentacoli all’interno della conchiglia, finché questa si chiuse, sigillandoli in se. Un’aria tesa in tutta la casa presagiva un’imminente avvenimento. Di colpo la conchiglia si spalancò, ed un vento fortissimo irruppe nella stanza irrompendo in tutta la casa, trascinando gli oggetti più leggeri all’interno del centro del quadro.
    “Vero! Vero cosa succede!?” La Luciana si teneva la testa con le mani, barcollando e cercando di raggiungere Vero. Lui nel frattempo stava attonito, seduto sul letto, mentre il vento diventava sempre più forte, e la voce di Luciana veniva coperta dal frastuono.
    Quando la ragazza finalmente raggiunse il letto, si gettò su Vero, che abbracciandola, non sperava altro se non che tutto questo fosse un brutto sogno.
    Una voce tuonante echeggiò tra le urla del vento ed il frastuono dei suppellettili strascinati dalla corrente: “Voi due, amanti: l’amore che vi unisce è forse più forte della vostra paura?”
    Vero era attonito, ma guardò la Luciana, che stava piangendo. La baciò, ed il bacio bagnato dalle lacrime fu ricambiato.
    Il vento si interruppe di colpo, ed una luce bianca proveniente dal quadro appannò l’aria come se fosse liquida. Lentamente si spense, lasciando i due nella più totale oscurità.
    “Vero… Vero!… accendi delle candele.”
    Vero accese quattro candele e le dispose nella stanza.
    “Guarda, Luciana… Quella sembri tu...”
    Guardarono il quadro, che ora rappresentava una donna dormiente, avvolta dalla luce della Luna.



    Paragrafo quattro – Normalità

    Era ormai passato mezzogiorno quando la coppia si mise a pranzare.
    Luciana “A cosa pensi, Vero?”
    Vero “Non avrei dovuto trascinarti qui. Non so se siamo al sicuro. Quei quadri… portano solo guai.”
    Luciana “Secondo me solo Dio decide del mondo. In fondo non ci è successo nulla, no? E’ stata una sorta di prova. Sì, una prova. Non la reputo più di questo.”
    Vero “A me era gia successo. Un’ombra che tutto inghiotte. Stavolta è stato questo vento. Non vorrei che Dio ci prendesse gusto a metterci alla prova.”
    Luciana “Gli chiediamo sempre molto ma raramente facciamo qualcosa per lui. Il vento si è interrotto quando ci siamo baciati, giusto? Forse gli basterà che ci ameremmo per tutta la vita.”
    Vero “… o per sempre.”
    Luciana “E io che ho detto? Per tutta la vita. Ascoltami Vero… Lo so che non vorrai dirmelo, ma ieri mentre tu eri in camera da letto ho letto una frase sopra uno dei quadri del tuo amico che mi ha scombussolato. Diceva pressappoco che in questi quadri vi abitano esseri viventi… il tuo amico non è dalla sua famiglia, giusto?”
    Vero “Sei sempre stata una tipa intelligente. No. Lui è entrato dentro uno dei suoi quadri, qualche giorno fa. Da allora me ne sono accadute di tutti i colori.”
    Luciana “Potrò conoscerlo?”
    Vero “Diavolo, certo che no! E’ uno squilibrato.”
    Luciana “Bhe, capisco le tue apprensioni… Vuoi che me ne vada?”
    Vero “Non lo so, Luciana, non lo so. Non posso ancora lasciare questo posto, ma non posso chiederti di restare… dopo quello che è successo ieri sera.”
    Luciana “Non c’è bisogno che tu chieda. Io resterò”
    In quel momento il cellulare di Vero iniziò a squillare, e lui si fece scuro in volto.
    Luciana “Bhe, non rispondi?”
    Guardò lo schermo e lesse: numero privato.
    Vero “E’ sempre il solito scocciatore.”
    Luciana “Su, rispondi. Non vorrei tu mi nascondessi altre cose...”
    Vero sbuffò e rispose al telefono.
    Io “Com’è andata la serata?”
    Vero “Sei un pezzo di...”
    Luciana “Ah! E’ il tuo amico! Su su fammici parlare.”
    Vero “Non ti azzardare a chiedermelo!”
    Io “Sembra che lei sia più forte di te per certi aspetti. Su forza, passagli il telefono.”
    Vero è quasi in collera, ma ritrovandosi a fronteggiare le lamentele della compagna e le mie esortazioni, cede alla richiesta, ormai sfinito e avvinto.
    Io “Ciao Luciana.”
    Luciana “Conosci il mio nome. Io conosco solo i tuoi quadri. Credo che ormai sappiamo abbastanza l’uno dell’altro per parlare di cose serie. Dove ti trovi?”
    Io “So che sai dove mi trovo. Vuoi anche sapere il significato del vento di ieri sera? Basterà andare a vedere il quadro in...”
    Vero stava ascoltando, e ebbe un sussulto.
    “Non gli farò vedere quel quadro!”
    Io “... il quadro in camera da letto.”
    La Luciana si alza, fa una linguaccia a Vero, e si incammina.
    Vero “Fortunatamente non gli ha parlato della soffitta. Non so come ma quel dipinto più di altri mi mette i brividi.”
    Luciana “Ecco ci sono.”
    Io “Guarda la donna ritratta. Esprimi un desiderio.”
    La Luciana bisbiglia a bassissima voce qualcosa, nel mentre Vero entra nella stanza.
    Vero “Cosa vi dite voi due?”
    Luciana “Fatto! Si è gia avverato?”
    Io “Difficile a dirsi, ora come ora. L’importante è che ancora tu non ne parli con Vero. Non è tanto stabile, poverino. Ne ha passate tante in questi giorni.”
    Vero era molto stanco. “Lucianina, mi passeresti il telefono?”
    Luciana “Agli ordini!”
    Io “Sento come un tono di sfiducia nei confronti del mondo. Che ne dici di scrivere un altro po?”
    Vero “Io scrivo quando mi pare. Non accetto consigli da un pianta guai.”
    Io “C’è una penna rossa sul tavolino. Quando avrai voglia di scrivere usa quella.”
    La chiamata terminò, e la Luciana, dopo aver esaminato il quadro che la rappresentava nuda, voltata di schiena, supina su di un letto avvolto dalle nuvole, decise di farsi un bagno. Vero prese il quaderno e la penna rossa.
    Ti giuro che se anche stavolta succede qualcosa, brucio questa baracca di casa con tutti i quadri dentro!
    Vediamo un po… questa penna è più pesante di quanto sembri.
    Come Vero posa la punta della penna sul foglio, questa inizia muoversi nella sua mano, ed a scrivere con una calligrafia perfetta.
    Vero “Ci avrei giurato.”
    Sotto le ombre delle meridiane a intercedere per sequenziare le percosse dei vostri tumulti, re e regine delle menti coscienti. Mai che un vostro appello si dica senza causa, o che il vostro ponderare sia discusso venialmente. Dirigersi ora verso lo sguardo di chi sempre vi ha ammirato, dai recessi più lontani di un’esistenza senza vincoli che non fossero dediti all’assuefazione delle uniche invincibili leggi. Senti ora i richiami del viandante della volta celeste, cura il tuo poco lascito per i troppi tremori dei tuoi discendenti. Chi leggerà queste parole, le troverà prima tanto leggere quanto dopo fardelli onerosi.
    Vero alzò lo sguardo, e sorpreso della leggerezza dei suoi pensieri si chiese:
    Io e la Luciana avremmo figli?

     
    Top
    .
0 replies since 23/4/2020, 17:21   25 views
  Share  
.