Il rifugio dello scrittore

La forma dell'aria

Capitolo secondo

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    Capitolo Secondo – La vera irrealtà

    Paragrafo uno – La soglia

    E’ tutto in movimento; ogni cosa, piccola o grande, tende a divincolarsi dalla propria forma, dalla propria posizione, dalla propria ritenzione; pochi attimi dopo la mia entrata nell’Aleph il mio primo istinto è quello di guardare il mio corpo. Sono formato da una chiazza grigia, che prende forma mano a mano che la esamino. Qui dovrebbe esserci il ginocchio. Uno spigolo si protende in avanti, ora si fa più curvo e tondeggiante, mi permette di avanzare. I miei passi continuano per accelerazione costante, sebbene così graduata da non farsi evidente. Mi muovo in ogni direzione si sposti il mio sguardo. Attorno a me, una montagna che si estende ovunque, nucleo della quale è la mia posizione, mi mostra teste umanizzate di smorfie e sorrisi, corpi allungati che si estendono fino alla nebbia dell’orizzonte, alti colonnati che cingono anfiteatri e monumentali chimere statuarie che si prendono gioco della più creativa tra le fantasie umane. Poi, con un universale movimento, tutto si scioglie in granuli di luce e di ombra, che vanno a formare una spirale gargantuesca. Non feci caso ai suoni fino a quel momento: erano cacofonie ripetute e modulari, alcune sembravano rivi d’acqua, altre palline di ceramica scosse dentro un sacchetto, altre ancora schiamazzi in lingue sconosciute, di più tremende sembianze i gutturali rombi di schianti di onde dentro enormi caverne scavate dal mare. Tutto questo si disperse insieme alle forme nella trionfale spirale cui vertice si traslava in un movimento sferico, come fosse la volta del cielo.
    Un’unica voce baritonale esplose in un boato che fece vibrare ogni modulo della composizione come fuochi artificiali
    “Degno di essere conosciuto, oltre che di conoscere, ti sei finalmente manifestato come nostro pari. Per prima cosa devo chiederti di abbandonare l’idea di tornare indietro.”
    Ogni parola proferita creava la speculare scritta, moltiplicata migliaia di volte, in differenti calligrafie e lingue.
    “Non potrò tornare indietro? Non potrò completare quest’opera?”
    “Il Mondo si completerà da solo. Osserva.”
    Quasi immediatamente di fronte a me comparve una piccola finestra che permetteva di avere una visuale completa della mia stanza. Il tavolo da lavoro stava li, e sopra il foglio danzavano grafite e pigmenti di polvere colorata, posandosi esattamente li dove avrebbero dovuto stare per il completamento di ciò che avevo in mente di produrre.
    “Quindi questa sarà l’opera della mia vita… in tutti i sensi. Cosa dovrei fare qui dentro? Dissolvermi fino a diventare nebbia?”
    “Qui nulla si dissolve, se non nella relazione. Le identità sono preservate, dalla prima all’ultima. A te decidere se continuare a conoscere nuove forme all’infinito, o crearti un limite, un piccolo mondo dove sostare per l’eternità.”
    La finestra scomparve, e si adagiò sul fianco di quello che dovrebbe essere la tasca dei miei pantaloni.
    “Non vergognarti della tua condizione effimera, con il tempo troverai il tuo essere completo. Nel mentre, c’è una fila di spiriti smaniosa di parlare con te.”
    “Smaniosa? E chi sei tu? Il mio disegno, un demone, Dio?”
    “Sono ciò che voi chiamereste occasionalismo deterministico.”
    Tutto divenne bianco. Un punto in lontananza era l’unica cosa visibile, oltre a me stesso. Provai a distinguere meglio il mio corpo. Con poco sforzo vidi comparire gli arti, poi il busto. Creai facilmente uno specchio, con cui delineai la fisionomia del mio volto. Mi vestii come meglio preferii, con una lunga tunica bianca. Ora il punto si fa più grande, distinguo la sagoma di una persona. Da quel che sembrava essere passati pochi attimi, riconobbi la Simona.
    Simona “Finalmente sei qui. Quanto ti ho aspettato, mio amato.”
    Io “Sei veramente tu, Simona? Non credevo ambissi ad una relazione...”
    Simona “Non sono propriamente la ragazza che incontri in paese. Ma tu sei veramente tu?”
    Io “Non so se considerarmi più me stesso, è gia qualche anno che il mio unico interesse è posto in...” Mi guardai attorno, evidentemente perplesso “...in questo mondo.”
    Simona “Vieni, ti farò vedere una cosa. Se non mi vuoi come tua compagna...” Disse con un sospiro “...sarò la tua guida.”
    Iniziammo a camminare assieme. Lei aveva i capelli di riccioli biondi, gli occhi verdi, come me, ed indossava una maglietta aderente con una lunga gonna che li copriva le scarpette con le punte appena sporgenti. Ad ogni passo che facevamo, di fronte a noi compariva un metro di strada composta da lisci sassi disposti casualmente. La nascita di un albero alla nostra sinistra mi sorprese e meravigliò. Iniziò con degli anelli lignei che crescevano partendo da quello centrale, e più aumentava l’altezza più aumentava il numero dei cerchi, e di conseguenza lo spessore. Una volta arrivato al doppio della mia statura, iniziò a ramificarsi come rivoli d’acqua in appendici concludenti in centinaia di piccoli boccioli, che si schiusero in foglie rigogliose e fiori d’ogni sorta.
    Simona “Ti piace? L’ho fatto io, per te. Mi sembrava carino iniziare con le cose belle più famigliari.”
    Io “Vuoi dire che dovrò creare anche io così? Insegnami, te ne prego.”
    Simona “Per prima cosa, se sei qui dentro è perché la natura di questo luogo e la tua natura si assomigliano. Quindi basterà che ti comporti come più reputerai opportuno. Secondariamente… mi piacerebbe vedere il mare.”
    Iniziò un vento fresco, che fece cadere due fiori dalla chioma dell’albero fino ai nostri piedi. Continuammo per qualche passo, dopo di che provai la mia prima vera creazione:
    il sentiero iniziò a scricchiolare sotto i nostri passi, e sorsero intorno a noi dei corrimano in legno sagomato. Guardai verso l’alto, e due piccole ali si avvicinarono a noi fino a mostrarsi come un gabbiano, che si posò sul molo in costruzione.
    Io “Dammi altri pochi passi, vedrai che riuscirò.”
    Un aroma salmastro ci investì accompagnato da una leggera brezza, dopodiché lo spazio al di sotto della banchina iniziò a vibrare di piccoli lampi di luce, che venivano accarezzati da un regolare oscillare della superficie. Presi fiato, e sussurrai una parola che non avevo mai sentito.
    Di colpo, una distesa enorme d’acqua, con il suo cadenzato incedere, le ombre dei pesci, con il loro lento e guizzante scivolare, il Sole appena coperto da nuvole bianche e ricche di prosperose curve, i dettagli delle onde che si perdevano in lontananza tra differenti tonalità cromatiche. Era il mare.
    Simona “Sapevo che ci saresti riuscito.”
    Mi baciò sulla guancia, si poggiò al corrimano, e perse il suo sguardo verso l’orizzonte. Mi misi al suo fianco, e la mia mano scivolò sulla sua.
    Simona “Certo che hai scelto un abito proprio strano. Da vero eremita stralunato”
    Si mise a ridere, lasciandomi in un certo imbarazzo.
    Io “Mi ricordo di quando andavo sulla spiaggia, da ragazzo. Io e la mia compagna di allora non ci capivamo quasi per niente, ma stavamo per ore in silenzio a guardare il mare. In quei momenti la mia speranza era quella di perdermi in qualcosa più grande di me, che potesse inabissarmi in una vita senza domande, ne certezze, ma densa di significato. Quale credi sia il significato di questo orizzonte?”
    Le onde si infrangevano sulla riva, alle nostre spalle, mentre la banchina su cui eravamo iniziò ad affollarsi di persone che sorridendo ci guardavano incuriositi.
    Simona “Un orizzonte vale finché resta in prospettiva. Qui dentro vige la legge dell’eternità. Io non sono mai nata, ne mai morirò. Se deciderai di restare qui, avremmo la capienza dell’infinito per supportare i nostri sogni.”
    Io “Non potrò mai tornare indietro. Immagino che in questo mondo sia gia stato fatto tutto. Quel che mi resta da fare, sarebbe conoscerlo, apprezzarlo, viverlo.”
    Un’anziana coppia si mise accanto a noi, e iniziò a parlare: ad ogni suono emesso, un’immagine come una leggera lingua di fuoco spuntava dalle loro bocche. Mostravano volti, paesaggi, oggetti. Capii che erano qui per insegnarmi. Rimasi a guardargli per qualche secondo, forse goffamente, ad occhi spalancati.
    Simona “Dai su, prova anche tu.”
    Io “Il primo ricordo che mi viene in mente...” e davanti al mio naso apparve una sfera, cui dentro mostrava lo scorcio di una pineta, con una panchina vuota ed il sole che filtrava dalle alte chiome degli alberi “...sono i discorsi che facevo con mio fratello nel parco vicino casa. Una volta passammo due ore a parlare del significato della scrittura.”
    Nella sfera comparvero due figure, la più alta si sedette sulla panchina, l’altra, con un libro in mano, leggeva voltando rapidamente le pagine, e alzando il capo di tanto in tanto verso l’interlocutore.
    Io “Questi eravamo noi due. Non so che fine abbia fatto mio fratello.”
    Il signore anziano che ci si era accostato insieme alla sua compagna rise, poi attirando la mia attenzione con un gesto mi indicò un uomo sulla quarantina, con i gomiti appoggiati sul corrimano e lo sguardo perso nel vuoto.
    Io “Stefano?”
    Lui si volta, e senza sorpresa mi si avvicinò. Salutò la Simona con fare riverente, e iniziò a parlarmi.
    Stefano “Ti sei deciso a raggiungerci. Sarebbe passata ancora una trentina d’anni altrimenti, senza mettere in conto la rivoltella nel cassetto.”
    Io “Vuoi dire che questa è...” mi interruppe.
    Stefano “La morte è solo uno dei tanti modi per raggiungere questo mondo. Tu hai trovato il tuo. Per quanto riguarda me...” Sospirò “...Non ho mai saputo se e come la mia presenza terrena sia esistita davvero. E’ come una lieve presenza all’angolo dell’occhio, incessante quanto effimera. Il ricordo di questo alter-ego che ascoltava le tue chiacchiere sulla lettura a balzo di lepre mi sembra un sogno del mattino, nulla più.”
    Le sue parole erano tristi, ma il tono faceva saggiare uno spirito pieno di accortezze, tolleranza, mansuetudine.
    Io “Ricordi quando in montagna presi la neve per la prima volta, e non volendola lasciare mi congelai le mani?”
    Stefano “Te le riscaldai con il mio fiato. Eravamo dei bambini all’epoca.” Sorrise. “Non hai domande in merito a questo posto? Io non ne ho. So gia tutto, anche ciò che ancora non so.”
    Io “L’eternità mi ha sempre destato più affermazioni che dubbi, se non quello della sua esistenza.
    Ora che mi trovo qui, credo che anche a questo abbia trovato una risposta.”
    Stefano “Con il passare del tempo qui dentro si iniziano a tollerare le stranezze e le ambiguità.”
    Stefano iniziò a frugarsi nelle tasche, per tirare fuori un foglio di carta, che mi porse lentamente.
    Lessi le poche righe scritte in corsivo.
    Io “Paradossale… vuoi dire che…?”
    Stefano “Ora ti lascio. Voglio andare a nuotare.”
    Immediatamente dopo le sue parole, il suo corpo si sciolse in un rovescio d’acqua color rosso porpora che si immerse nel mare, ed iniziò a saltare nell’acqua come un delfino. La gente intorno si mise a guardare lo spettacolo di quel colore e di quei movimenti così vivi da destare meraviglia al poeta più consumato. Strinsi il foglio tra le mani, e me lo misi nella tasca interna della tunica.
    Simona “E’ un bravo ragazzo. Ci allieta sempre con raffinate esecuzioni di virtuosistiche visioni.”
    Io “Cosa dovrei fare ora?”
    Simona “Hai letto il foglio. Puoi decidere… nessuno ti metterà fretta.”
    Io “Allora… allora andiamo a casa tua.”

    Paragrafi due – Vero

    Oggi la lezione è stata snervante. Nessuno capiva che parlare significava usare impropriamente il microfono del computer coprendo così le mie parole. Speriamo che… In casa non c’è nessuno. Andiamo a controllare fuori. Niente.
    Qui c’è un lavoro nuovo… Ma che diamine è!?
    Il foglio era un continuo movimento di reciproci scambi di ombre e luce, cromie, forme e spazi, e non lasciava tempo al dubbio di poterlo credere un miraggio. La vernice si muoveva sulla superficie come un essere vivente.
    C’è riuscito davvero… Città finemente solcate da tempeste di polvere che al passaggio cambiano gli scenari in vasti orizzonti montani. Qui ora un ovale, in mezzo al foglio… Si iniziano ad intravedere i tratti somatici… Un naso gobbuto, delle occhiaie scavate, bocca severa… Ma è lui! In una sua fedelissima copia impressionista!
    Vero palpitava dall’emozione, e non si accorse che gli cadde il cellulare dalla tasca.
    Ora gli occhi battono le palpebre, la bocca si sta aprendo…
    Il cellulare iniziò a squillare. Per un attimo si chinò senza distogliere lo sguardo dalla tavola, per poi prendere in mano il telefono e lesse – numero privato. Rispose senza pensare.
    Vero “Pronto, chi… chi parla?”
    Io “Vedo che mi hai visto… che cosa te ne pare?”
    Vero “Tu?! Dove sei? Come hai fatto a… Dove sei?”
    Io “Te l’ho detto, hai gia visto dove sono. Allora, ti piace?”
    Vero “Sei qui dentro?! Come… Perchè sei qui dentro?”
    Io “Perchè la tavola mi ha offerto una possibilità. Ora calmati, devo parlarti.”
    Vero “Sono calmo! Per Dio… che possibilità?!”
    Io “Questa è la mia porta nel mondo dell’eternità. La realtà che vivi li fuori è una cernita di possibilità… Qui dentro la cernita è il tutto, soppesato in termini di sussistenza della possibilità stessa. Ora ascoltami bene: Nessuno eccetto te dovrà vedere questa tavola. Portala in soffitta, li continueremo a parlare.”
    Portarla in soffitta… ma certo, certo che la porto in soffitta… Ci manca anche che diventi una cosa pubblica… L’eternità. Ha scoperto la porta per l’eternità. Puah! Un oltraggio a qualsiasi logica.
    Vero “Eccomi, sono in soffitta.”
    Io “Bene. Ricordati di caricare il cellulare ogni giorno, potrei scriverti da qui, ma è più comodo se senti la mia voce. Vediamo da dove iniziare… Mi hanno spiegato che la tavola funziona come porta, ma si apre solo a discrezione del voto unanime degli esseri che la vivono. Non mi hanno ancora detto perché sono stato scelto, ma ho un vago sentore che spero di chiarire il prima possibile. Da te ora dovrebbe essere tardo pomeriggio. Io ho vissuto per quattro anni in compagnia di una trasposizione eterna della Simona, la bella del paese. Ora vivo con lei.”
    Vero “Ora vive con lei… ma sentilo. Quattro anni! E immagino tu non sia invecchiato di un giorno… Ah, che stupidità, certamente no, sei nell’eternità! E dimmi, hai gia incontrato anche me?”
    Io “No, non ti ho incontrato. Pare che le leggi dei nostri due mondi abbiano previsto questa situazione. Anche tu hai un incarico… preparati, dovrai fare ciò che ti dirò di fare.”
    Vero “Certo sarà difficile che mi impressioni più di così.”
    Il compito di spiegare la situazione era delicato, cosi soppesai prima la stabilità di Vero.
    Io “Quando ti dico realtà, immagini una cosa unitaria o tendente alla frammentazione?”
    Vero “Entrambe le cose, è ovvio.”
    Io “La stessa cosa si potrebbe dire per la verità?”
    Vero “Quanto è Vero il mio nome.”
    Io “Il tuo mondo si sta logorando. E’ necessario che qualcosa, o qualcuno, si prenda carico di farlo scampare da una rovinosa fine. Tu dovrai diventare il portatore di un onere sì gravoso, ma necessario. Questo è un processo che si estenderà nel tempo, per quanto in verità sia gia stato compiuto. Dovrai semplicemente attendere, e poco a poco ti scoprirai alla pari della gravità, una legge incarnata in un corpo che non dovrà piu temere null’altro che il dubbio provocato da se stesso. Ti hanno scelto per coincidenza di casualità ed adattabilità del tuo spirito a sopportare la mole cognitiva di uno stato di stress. Non aver paura di ciò che ti dico ora. Prendi la rivoltella che sta nel cassetto di camera mia, togli tutti i colpi e aspetta.”
    Prendi la rivoltella, togli tutti i colpi e aspetta… Aspettare… ora sono anche ai suoi ordini. Spero solo non mi faccia trovare uno dei suoi… Un rumore di vetro rotto. C’è qualcuno?… Sei tornato da..?
    Vero si trovò davanti un uomo con il passamontagna, armato di spranga. Questo, appena vide il professore, alzò la spranga in aria e gli andò incontro. Vero senza ragionare prende la pistola vuota e spara due colpi, i quali esplodono e vanno entrambi a segno, colpendo la mano e la gamba del ladro.
    Tu sia dannato…
    Vero chiama la polizia, la quale dopo trentacinque minuti irrompe nella stanza portando il ladro in ambulanza. Vero viene ascoltato, alla domanda dove fossi andato risponde che ero a trovare la mia famiglia sulla costa, che la pistola era mia e che era preoccupato per le condizioni del ladro. La polizia lo rassicurò, stette per un ora a divagare su argomenti di sicurezza, e lasciò Vero in una notte senza dubbio stravagante.
    Non hanno nemmeno requisito l’arma da fuoco… che razza di gente.
    Il telefono squillò, e Vero si diresse in soffitta.
    Vero “Perchè mi hai fatto togliere i colpi, stupido folle!?”
    Io “La pistola ha sparato no? I proiettili usciti erano gli unici strumenti che avrebbero fermato il ladro con la certezza di non ammazzarlo. So che tu tiri al poligono, lo avresti senza dubbio ucciso, altrimenti.”
    Vero “E tu sei intervenuto affinché ciò accadesse?”
    Io “Da qui, secondo le leggi conformi ad entrambi i mondi, possiamo agire liberamente. Guarda, una falena...”
    Vero “Non puoi allora...” Una piccola farfalla notturna vola davanti a Vero, per poi posarsi sul tessuto di una poltrona.
    Vero “...non puoi fare tutto da solo? A che ti servo io? Verità, realtà, legge del mondo… Io sono un professore, non un Dio! Il Dio in cui credo è un diavolo senza pretese che nuoce piu a se stesso di quanto governi il mondo.”
    Io “Rilassati. Le cose sono gia iniziate. Proviamo a pensarci insieme… Quel ladro era uno scassinatore esperto, certo piu benestante di me. Non gli hai tolto il pane da sotto i denti, al più lo hai obbligato a tre o quattro anni di carcere, cosa che gli basterà a ripensare al suo mestiere come ad un gioco senza vincitori. Che teoria se ne può dedurre?”
    Vero “Che il male rimpiange i suoi stessi passi… ah, scusa, ho risposto senza pensare. Probabilmente che la possibilità del miglior risultato sta nel commutare il danno in una reazione al danno.”
    Io “Benone. Ora dimmi, il Bene cos’è?”
    Vero “Se lo sapessi probabilmente avrei in mano la chiave per aprire le porte dell’inferno e giudicare il diavolo stesso. Una redenzione? Una salvezza?”
    Io “Una legge. Prendi appunti ora.”

    Paragrafo terzo – Il Bene


    Il Bene dell'Essere è l'esserci dell'Essere. Prima possibilità di frammentazione di questo macrocosmo è l'assenza, la possibilità dell'esser assenti dell'esserci dell'Essere, dunque la presenza dell'Essere declinata come essere assente, è l'esserci dell'essere assente: tale è la presenza dell'esserci dell'Essere nell'esserci dell'assenza. L'esserci dell'Essere oggettivatesi assente condivide dunque la costante iniziale del Bene, in quanto bene dell'essere assente è l'esserci dell'essere assente.
    L'esserci del Bene è dunque la sussistenza dell'esistenza dell'Essere, nell'esserci della presenza e dell'assenza. Questo binomio dell'esserci dell'Essere compresente come presente ed assente porta alla distinzione dell'Essere in differenti manifestazioni peculiari di se stesso descritte in rapporto della specificità, o ramificazione, bilanciata dall'esserci dell'Essere, manifesto in presenza ed assenza.
    L'essere particolare è quindi descritto dall'esserci dell'Essere nella propria presenza oggettivante, in tendenziale manifestazione, questa relativizzata dal divenire dell'unità specifica del momento-durata relativo alle proprie relazioni.
    Il Bene dell'essere particolare è dunque l'esserci dell'Essere ramificante e ramificato in microcosmo, qual tende alla propria presenza nelle relazioni che lo pervadono nel momento-durata. L'essere del microcosmo è l'esserci della presenza dell'Essere e della sua assenza nella successione del particolare, ovvero nelle proprie estrinsecazioni.
    Nel momento in cui l'esserci del Bene sia l'essere del microcosmo, in quanto il Bene è sussistenza dell'esistenza dell'Essere, ogni relazione del suo estrinsecato condivide l'esserci della sussistenza dei propri frazionati in tendenziale unità delle relazioni ottimali specifiche del loro campo d'incidenza. Queste relatività dell'unità discerne l'incidenza relativa al proprio ambito di relazioni. Il non incidente ed il non incidentato restano come altro nella sintesi, attuato nel momento-durata, quest'ultimo oggettivato nella manifestazione specifica, la quale trova soluzione nel bene, o presenza in sè, attuata nel relativo per sè.
    Nel momento in cui due microcosmi in relazione non si riconoscano come unico microcosmo, la relazione tra i due segue le stesse dinamiche della presenza e dell'assenza dell'esserci dell'Essere, ovvero si stabilisce quali frazioni dei due microcosmi entrino fenomenologicamente in relazione, questa relativa alla presenza del bene specifico del momento-durata dell'estrinsecazione del Bene nel microcosmo della relazione in tendenziale presenza dei microcosmi nella loro relazione parziale o unitaria, sempre a seconda della tendenziale relazione ottimale.
    Tale bene specifico sarà condivisione delle relazioni incidenti di un microcosmo e delle assenze reciproche descritte dall'esistenza dell'assenza biunivoca del non partecipato in azione gravitazionale.

    Vero “Questo testo è frutto di una proposta più che di una legge. Anche se si nota che il microcosmo come relazione delle relazioni vada a vantaggio anche di spiegazioni fisiche. Non capisco. La relazione ottimale quale sarebbe?”
    Io “Sussistenza che non nega sussistenza, che non nega sussistenza.”
    Vero “Capisco… unaa volta iniziato a prendere questo testo come base per una struttura, le estrinsecazioni nascono secondo il ruolo dell’attinenza.”
    Io “Devi imparare il testo a memoria.”
    Vero “E perché dovrei farlo? …e va bene, dammi mezzora, poi richiamami.”
    Certo che mi da sempre dei grattacapi senza motivazioni plausibili… e come faceva a sapere del ladro? La sua è davvero una verità onnisciente? Certo l’idea di superare il mio corpo mi ha sempre affascinato. Ho quasi quarant’anni, ma sembro ancora giovane. Quel testardo… Sta con la Simona ora! Chissà perché non mi ha ancora incontrato, laggiù, nell’eterno. Basta, concentriamoci sul mio compito. Ah, perchè lo chiamo compito… Sul mio supplizio! Che idea stupida quella di venire a trovarlo fin quassù… ma ora che ci siamo, tanto vale. Allora… Il Bene dell’Essere è…
    Passarono venticinque minuti, e Vero memorizzò il testo dalla prima all’ultima lettera.
    Penso di sapere dove voglia andare a parare…
    Il telefono squillò. Vero lasciò che il suono durasse per una dozzina di secondi, poi rispose.
    Vero “Eccomi, l’ho imparato.”
    Io “Lo so. Ora recita lo scritto guardando la tavola.”
    Vero “Agli ordini… dunque.”
    “Il Bene dell’essere…” La tavola divenne una disposizione di moduli irregolari ma di pari grandezza.
    “...è l’esserci dell’Essere.” In centro al foglio comparve una sfera bianca, luminosa, che girava su se stessa lampeggiando luce nitida.
    “Prima possibilità di frammentazione di questo macrocosmo…” Dietro la sfera si fece una macchia scura, una sagoma in lontananza. “ ...è l’assenza”. Una seconda forma si accavalla alla prima, la quale unendosi formano un volto disumano dall’espressione irosa e rabbiosa.
    Seguì la lettura. Il volto si distese gradualmente in un espressione prima sobria, poi lieta, infine divertita.
    “L'esserci dell'Essere oggettivatesi assente condivide dunque la costante iniziale del Bene” Il voltò sparì, lasciando solo il sorriso, che si commutò in un’ondulazione cadenzata da onde nere e turchine. Per ogni successiva parola e frase trascorsero dentro la mente di Vero le speculazioni che prima erano solo implicite all’immagine del quadro. Trattavano di realtà in continua affermazione, che delimitavano i propri confini l’un con l’altra, al fine di conservarsi a vicenda. Solo un punto nero, a cui Vero non dette d’innanzi molta importanza, continuava a fremere.
    “… in quanto bene dell’essere assente è l’esserci dell’essere assente.” Vero si interruppe. Il punto nero in un lampo si ingrandì fino a riempire tutta la tela, poi la luce della soffitta si spense, e Vero non sentì più la sedia su cui era seduto, il terreno sotto i piedi e, sebbene aveva ancora in mano il cellulare, lo stava per gettare nel vuoto in un impeto di paura.
    Io “Non fermarti ora!”
    “! ! L'esserci del Bene è dunque la sussistenza dell'esistenza dell'Essere, nell'esserci della presenza e dell'assenza. Questo binomio dell'esserci dell'Essere compresente come presente ed assente porta alla distinzione dell'Essere in differenti manifestazioni peculiari di se stesso descritte in rapporto della specificità, o ramificazione, bilanciata dall'esserci dell'Essere, manifesto in presenza ed assenza.”
    Ora compare la tavola, luminosa, quasi appagante a confronto dell’oscurità abissale di poco prima.
    “….Il non incidente ed il non incidentato restano come altro nella sintesi…”
    Il punto nero schizzava da una parte all’altra del foglio, come se cercasse di divincolarsi da qualcosa. “….la quale trova soluzione nel bene, o presenza in sè, attuata nel relativo per sè.”
    La luce tornò nella soffitta, e Vero si ritrovò seduto sulla sedia, di fronte ad un’immagine strana quanto inquietante: il punto nero era diventato un Sole. Mano a mano che il professore continua a ripetere lo scritto il Sole si rimpiccioliva, fino a scomparire.
    “Tale bene specifico sarà condivisione delle relazioni incidenti di un microcosmo e delle assenze reciproche descritte dall'esistenza dell'assenza biunivoca del non partecipato in azione gravitazionale.”
    Finito di recitare lo scritto, la tavola si riempie di colori esultanti, volti euforici e cordiali, animali d’ogni sorta prima in primo piano per poi lasciarsi intravedere come moltitudini di mandrie in selvagge migrazioni.
    Io “Grazie, Vero.”
    Vero “Cos’era quella oscurità??”
    Io “Quello era il Nulla. Cerca sempre di affermare se stesso a scapito di ogni possibile frammento d’esistenza. E’ una realtà particolare, e tu l’hai rimessa al suo posto. Ora la tua esistenza non dovrà piu temere di non essere mai stata. Vedi… ci sarà sempre, nell’infinito, una possibilità che sia negato l’infinito stesso. E noi, qui nell’eternità, abbiamo il compito di preservare ogni identità. Non possiamo annichilire il Nulla. Possiamo solo metterlo nel suo ambito confacente. Ciò che hai vissuto stanotte è la salvezza di una realtà, garanzia della quale sei tu.”
    Vero “Vuoi dire che se io volessi...”
    Io “No, non ti lasceremo cancellare la tua realtà. Al massimo oblieremo quest’esperienza attraverso passaggi occasionali di pensieri ed accadimenti, e dovremmo ricominciare tutto d’accapo. Questo è un grande orologio, e le lancette girano in eterno. Non credo che ti lascerai corrompere dalle sfere dell’erosione.”
    Vero “Dimmi la verità… Questa faccenda centra con il fatto di non avermi ancora incontrato dalle tue parti, non è così?”
    Io “Qui si dice che tu sia un eccezione. Nato li dove saresti restato per sempre. Il Nulla non ti cercherà più. L’evento a cui hai assistito è stato conciso in un’affermazione che vale per tutto il resto. Ciò che non si applica al tuo bene, sarà scongiurato.”
    Vero “Cosa dovrei fare, adesso? Dovrei correre per strada affermando di aver sconfitto il male?”
    Io “Vivi una vita di speranze, sii degno del tuo agire. Semmai avresti bisogno di consigli… Lascia il tuo lavoro. Resta a vivere in questa casa. Lontano da occhi indiscreti, potrai vivere mille anni, se ogni giorno chiederai a questo quadro di farti ringiovanire di un giorno. Sarà anche un buon pretesto per tenerci in contatto… Qui in collina nessuno verrà a cercarti, ed avrai tempo per tagliare i contatti con tutti. Questo è il prezzo per l’immortalità. Avremmo ancora bisogno l’un dell’altro, d’ora in poi. Adesso vado. Grazie, Vero.”
    Vero “Grazie per cosa? Cosa ho fatto io?!”
    La chiamata terminò in quel momento. Vero restò tutta la notte a guardare il quadro. Erano immagini di esseri viventi nella loro quotidianità. Quando si domandava da dove provenissero, sfere che ruotavano sul loro asse suggerivano pianeti, cubi perfetti dispiegavano parole inconcepibili che ad una riflessione accorta del professore delucidarono il mondo onirico, il mondo delle onde luminose di una lampada o di una stella, la realtà degli specchi, le palpitazioni delle pietre e delle montagne, e via via verso comprensioni inusuali per una cultura storicizzata.
    Si fece l’alba, e Vero uscì per guardare i primi fasci di luce che svettavano le montagne circostanti. Il cielo era rosa ed arancione, e v’era una sola nuvola esattamente sopra la sua testa, bianca, ovattata, con un’insolita precisa forma di libro aperto.
    “Leggi il libro del Mondo.”
    Sussurrò a mezza voce.

     
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