Il rifugio dello scrittore

La fata dell’isola

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  1. Axum
     
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    C’era una volta una fata piccina, che viveva su un’isola piccina, vicino una terra grande, stretta e lunga più di mille miglia.

    Da piccola aveva ammirato la magia dei pensieri, e così andò a scuola fino a che alcuni stregoni, riuniti per ascoltarla, le diedero lo scrigno che conteneva la sapienza dei pensieri nascosti.
    Mentre studiava, pensava alle mille storie che le galoppavano nella testa come cavalli liberi, con criniere lucenti, e scriveva tutto con una macchina magica, regalo del suo papà.

    Per molti anni ebbe cura del nonno brontolone, un orco buono, che le sorrideva soltanto quando lei dormiva. Le zie facevano tante torte, però, loro stesse, le mangiavano subito!

    Artemina voleva tanto bene al suo papà, che catturava le immagini più belle e poi gliele mostrava, dicendole: «Sei tu, bambina mia, quando hai suonato il tuo violoncello davanti a quegli sconosciuti che ti hanno fatto “clap - clap” con le manine».
    La fatina non capiva, perché non sapeva com’era era brava quando suonava quello strumento celestiale. Col violino, invece, aveva bisticciato, perché quello strumentino si dava le arie e pretendeva, a voce alta, che Artemina suonasse le musiche che a lei non piacevano.
    Un giorno vide una fata grande mentre suonava una musica magica dell’Irlandrizia e ne restò come stregata, quindi volle il violino grande grande, così lo chiamava, ... ché parla soltanto quando suona!

    Artemina cucinava come fosse una cuoca, perché nella sua casetta c’erano tante bocche da sfamare; lo faceva senza magia né polverine, tranne quella di pepe scarlatto. A volte però si sentiva come la ragazza del libro che, grazie all’aiuto di una fata rinomata, era riuscita, dopo tutta la cenere maneggiata per anni, a sposare il principe azzurro.
    Un giorno, il cavaliere della terra dei rossi si presentò col suo destriero e con tutti i libroni che portava con sé. Ad Artemina, quel ragazzo piacque subito, però fece finta di nulla, per non farlo sentire troppo importante. Il bellimbusto insisté, perché aveva sentito l’amore della fatina con tutto sé stesso, perché era uguale al suo, e dopo un po’ la baciò; la fatina vide un ciuffo di stelle che non erano nel cielo.

    Passarono gli anni: il cavaliere studiava assieme a lei, per un altro scrigno, ma tante volte giocavano, e la stanza diventava come una nevicata di piume; dopo un po’ di stupore negli occhi di entrambi, scoppiavano a ridere, e poi si abbracciavano.

    Andarono a vivere insieme nella terra lunga e stretta, in una casetta piccina piccina, che sembrava grande grande.
    «Adesso è ora di andare a nanna!» borbottò lo stregone lontano, ma sempre vicino alla fatina.

    Edited by Axum - 14/12/2018, 12:26
     
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