Il rifugio dello scrittore

Lettera da un mezzo busto di marmo

racconto in forma epistolare dedicato all'Italia

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  1. Esterella
     
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    Lettera da un mezzo busto di marmo

    naz

    racconto scritto per il concorso Cara Italia... e inserito nella omonima antologia. Sono passati sette anni e sembra ieri...


    2 Giugno 2011

    Tricolori di ogni dimensione appesi alle finestre. Fissati alle aste sventolano sui balconi.
    Trasformati in coccarde, sono ostentati orgogliosamente da petti di uomini e donne.
    Sono ovunque. In ogni città e paese che appartiene al suolo italiano.
    Una ventata di tricolori, partendo dalle cime imperiose delle Alpi prosegue nel verde degli Appennini, raggiunge i fianchi sinuosi dei litorali, si spinge in giù per abbellire la punta e il tacco dello stivale, e infine si tuffa nelle fantastiche isole, generose di sole e di mare.
    È la festa dell’Italia; la gente è in fermento. Nelle piazze principali sono state organizzate manifestazioni, parate in pompa magna. Parleranno persone importanti: uomini di governo.
    Tutto è pronto.
    In una piccola città c’è un lembo di piazza dove un mezzo busto di marmo e una panca di pietra vivono un momento di solitario abbandono.
    Il sole è caldo; sulla panca è proiettata una macchia d’ombra.
    Arriva una ragazza, uno zaino sulle spalle.
    Siede sulla panca. Tira fuori un notes e una penna che rigira tra le dita.
    Osserva, assorta, il mezzo busto con i suoi grandi occhi neri. Sembra cercare un’ispirazione.
    “Che sguardo triste e desolato, amico mio” pensa.
    Per alcuni minuti la ragazza penetra il personaggio come a voler leggere attraverso quello sguardo fisso nel tempo.
    Un raggio di sole colpisce il marmo e si rifrange all’ombra della panca, avviene un contatto; poi la penna scorre lesta sul foglio e Dolores scrive:
    Cara Italia…
    Un raggio di sole mi colpisce, non posso sentire il suo calore, sono solo un mezzo busto di marmo, ma un desiderio prorompente m’ha preso di parlarti. Italia mia!
    Quanti anni passati a veder scorrere il tempo, a vedere affievolito lo spirito e sminuito quel fervore che portò alla nascita della tua unità.
    Io, giovane barbuto, un tempo infiammai gli animi, incitai alla rivolta, con tutte le mie forze, con animo sincero, e sostenni le mie idee con tenacia.
    Sognai libertà e cantai i cori del Manzoni, perfino carbonaro fui, perché volevo la mia patria unita.
    Mi rivolsi ai giovani perché formassero un’Italia nuova, spinti da idee d’uguaglianza, con lo scopo di realizzare il progresso della nostra nazione.
    Altri portarono a compimento il mio fine, senza di me, anzi contro di me, lasciandomi nell’amarezza.
    E quando sei nata non ho potuto guidarti, avevano già tracciato il percorso del tuo cammino.
    Ma ti ho sempre amata e il tuo nome sulle mie labbra ha sempre avuto un dolce sapore.
    Giorni or sono ho sentito qualcuno che ti chiamava:
    « Italia. Italia…»
    «Oh, chi chiama la mia dolce amica».
    Un uomo rincorreva una ragazza, esile come un filo di seta. L’ha raggiunta e le ha afferrato le mani.
    «Come ti sei ridotta, Italia mia!»
    Lei aveva gli occhi rossi, forse era malata.
    «Basta! Reagisci, non vedi che ti stai distruggendo?»
    Meno male che sono di pietra altrimenti mi si sarebbe stretto il cuore. Il mio pensiero è andato a te, a quello che sei diventata oggi.
    Quanti avvenimenti ti hanno dilaniato in tutti questi anni: rivolte, guerre. Sangue sparso da chi ti portava nel cuore, vittime innocenti e distruzione, bilancio d’ogni guerra.
    In seguito, sei dovuta risorgere dalle macerie Eri giovane e piena di risorse e il tuo popolo aveva forti braccia, ha saputo costruire, ti ha rimessa in sesto.
    Un giorno mi sono ritrovato, - mezzo busto-, in una piazza che mi hanno dedicato, intrappolato nel marmo, col nome mezzo cancellato, anche se, alcuni dicono che sono stato un padre della patria. Sosta nei miei pressi gente d’ogni tipo.
    Ieri due turisti hanno chiesto a un gruppo di studenti chi fosse il personaggio rappresentato.
    «E che ne so!» fa uno, il nome è scolorito.
    «Vi dico io chi è, sta a pag. 53 del libro di storia. È quello che ha fondato la Giovane Italia.»
    «Si, ora ricordo» dice l’altro.« Il suo slogan era: Libertà, Uguaglianza, Umanità.»
    I turisti hanno riso compiaciuti. “Piazza Mazzini” c’era scritto sulla targa all’angolo della piazza, la donna l’ha indicata al marito.
    I ragazzi di oggi hanno uno spiccato senso del vago, ma sanno essere molto precisi, quando vogliono. Incidono sulla pietra in maniera così sorprendente da sembrare tutti artisti.
    Su questa pietra hanno inciso cuori, nomi, disegni.
    A volte scrivevano frasi.
    Con me, parlava un tempo Gerardo il netturbino.
    «Io lo so che sei importante, anche se non sono andato a scuola. Ma i miei figlioli si, tutti e tre.»
    Ogni mattina mentre spazzava, con la sua scopa di saggina, mi raccontava i fatti che accadevano.
    «Siamo messi male, amico mio. Il lavoro non si trova più, le risorse sono poche, e i politici gridano sempre più forte.»
    Ogni tanto cancellava con pazienza qualche scritta offensiva.
    «Meno male che non puoi vedere quello che c’è scritto.» Ma io vedevo lo stesso.
    È da un po’ di tempo che non viene più. Un anno, o forse dieci, non so, per me il tempo è sempre uguale. Si sono accumulate cartacce qua per terra, c’è un senso di abbandono, ma dai discorsi che sento anche in tanti altri luoghi italiani è così.
    Di gente ne vedo tanta, le cose cambiano continuamente. Ci sono etnie diverse, gente che arriva da paesi più poveri del nostro.
    I nostri giovani scelgono a loro volta l’estero, come meta di un futuro promettente, perché da noi non ci sono mezzi.
    Anche ai miei tempi il giovane di belle speranze andava all’estero, ma poi tornava. Le proprie radici sono qualcosa d’innato che non si cancella, si perpetua nei secoli e tiene avvinti gli animi sensibili. La patria è il luogo che ti fa sentire essere umano, che ti da un’identità, ovunque andrai aspetterà sempre il tuo ritorno.
    Cara Italia, quando ti lasciai eri giovane e di belle speranze, il futuro stava avanzando e si prospettava glorioso e prospero.
    E adesso, devo forse pensare che dopo un progresso, c’è una fase di regresso?
    In quale uguaglianza, quale umanità si può sperare, se ne vedo sempre meno attorno a me?
    E vorrei gridare: «Sciacalli, che avete fatto alla mia bella amica».
    E come alla ragazza esile e disfatta dico anche a te: «Reagisci, ancora ci sono persone che s’infiammano di amor patrio, che lavorano e lottano per il bene comune.»
    Tu Italia, perché non rispondi? Troppo dolore ti ha scosso.
    Le tue bellezze sciupate, nell’incuria. Le tue risorse sfruttate solo per il bene di pochi, che s’industriano per far fruttare il proprio tornaconto.
    Dopo tanta ricchezza sperperata, adesso ci sono i nuovi poveri, che devono risparmiare anche su beni di prima necessità.
    Offesa, sporcata, porto d’arrembaggio per disperati che arrivano su gommoni e tu , madre, accogli…
    Una sera uno straniero ha passato la notte sulla panca di pietra qui ai miei piedi. Mi guardava a lungo interrogativo, mentre addentava un panino.
    “Questo offre dunque la tua patria: una panca di pietra e un tozzo di pane? Non è certo una buona padrona di casa” egli pensava.
    Egli non sa di cosa è capace lo spirito italiano.
    Questo popolo pacifico, ospitale fino al punto di adeguarsi all’ospite, capace di andargli incontro.
    Ma che adesso, senza risorse, poche prospettive, ha un'unica sicurezza quella di non avere guerre in corso.
    Sei stata dilaniata da squali che hanno affondato i denti nella polpa carnosa e ti hanno ridotta all’osso. Vecchia mendicante logora ti aggiri per le città spaurita. I tuoi figli sono colpevoli di matricidio e non lo sanno.
    Vorrei vedere per te lo stesso entusiasmo di, quando sventola il tricolore, sulle auto e le moto dei ragazzi del pallone, che esultano per la gioia di una vittoria e mettono la mano sul cuore cantando l’inno nazionale, come hanno fatto in passato grandi personaggi.
    Eroi e gente del popolo uniti da un unico amore: la patria.
    E allora ti chiedo. Tienti desta figlia cara e mira a un nuovo risorgimento, perché il tuo è un popolo meraviglioso che ha in se radicato l’amor patrio, risveglia le coscienze, non deludere le aspettative e sarai ancora più bella di prima e io, mezzo busto di marmo non ti avrò dato invano il mio cuore, non avrò dedicato a te la mia vita senza speranza.
    Oggi è un tripudio di tricolori nelle case, nelle piazze e lo sparano nel cielo gli aeroplani alla parata.
    E quest’oggi un calore invadente è esploso in questo cuore rigido, mi sento pervaso da un sentimento che infiamma.
    E ancora lo vedo nel futuro.
    Tenero del bianco delle spose che conducono per mano i bambini, verde speranza di domani.
    Rosso nell’amore di ogni uomo che ha in te le sue radici.
    Apri gli occhi cara amica e lo vedrai anche tu.

    Dolores Brandelli
    Finito di scrivere la ragazza alzò gli occhi. Sarà stato l’effetto del sole, ma il mezzo busto di marmo sembrò sorridere.
     
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  2. GiorgioFochettini
     
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    Sublime. Poetico. Coinvolgente.
     
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  3. Esterella
     
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    Grazie ,Giorgio. Contenta che ti sia piaciuto. Poetico dici? In effetti io la poesia la metto da tutte le parti. :fiori:
     
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  4. BitFrau
     
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    Brava, Esterè. Una dedica bella e opportuna! :abbraccio:
     
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  5. GiorgioFochettini
     
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    Sì, decisamente!
     
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  6. Esterella
     
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    CITAZIONE (BitFrau @ 4/6/2018, 21:13) 
    Brava, Esterè. Una dedica bella e opportuna! :abbraccio:

    Grazie :abbraccio:
     
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5 replies since 31/5/2018, 17:31   117 views
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