Il rifugio dello scrittore

Lampi di Luce

vecchio racconto cyberpunk

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  1. Anemonephobia
     
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    Voglio premettere alcune cose: questo racconto è stato scritto circa 16 anni fa sotto l'influenza di "Neuromante" di William Gibson, del quale, per molti versi, può essere considerato una brutale scopiazzatura. Avevo fretta ed ansia di buttare giù qualcosa in quello stile e l'ho fatto, senza pensare troppo. Ribadisco che la storia non ha nessuna pretesa di essere "buona" letteratura. Spero comunque che troverete qualcosina di piacevole nel mio raccontino. Grazie


    LAMPI DI LUCE

    PRIMA PARTE

    Josè si sveglio da un sogno di aria surriscaldata della metropolitana, bossoli di proiettili caduti sul ciglio di una strada asfaltata, urla di rivoluzione.

    E si ritrovò in mezzo ad un mare di cemento grigio sotto i suoi piedi, e i neon multicolori dei locali notturni già pieni intorno a lui. Una venditrice di scarpe fatte a mano stava preparando la sua bancarella per portarla a casa. Altri volti tipicamente venezuelani si allontanarano in fretta, inseguiti da due agenti della Guardia Nacional. Josè si accese la prima Belmont della serata, ed era certo che non sarebbe stata l'ultima. Sentì l'odore del suo sudore nell'aria, mentre ologrammi pubblicitari della birra Polar tremolavano convulsamente sul cielo oscuro della sera.

    Josè si nascose in un vicolo buio, appena affianco alla stazione di Sabana Grande, e comprò tre fiaschette di X nera da un venditore con una protesi al posto della mano sinistra. Un innesto, pensò Josè. Probabilmente di quelli che facevano a Ciudad Bolivar o a Valencia. Si allontanò in fretta, mentre una vampata di vento caldo soffiò su dalla stazione. Il resto del tempo che trascorse mentre si allontanava verso casa sembrava essere sfumato via a tempo di musica, una musica che non udiva, scandita dal progressivo svanire degli ologrammi nel cielo, lo spegnersi dei neon dei negozi, la fuga in massa dei venditori ambulanti.

    Caracas era diventata una città piuttosto caotica, ribollente dell'energia di milioni di persone e mille culture tenute sotto stretto controllo dal pugno di ferro della Guardia Nacional. C'era stata sempre una divisione piuttosto netta fra la fascia povera della popolazione e quella medio-alta. I primi vivevano ai margini della città, campavano vendendo sigarette o X nera, e passavano la loro vita a scappare dalla Guardia Nacional e dalle pallottole del sabato sera nei bassifondi. I secondi, invece, andavano a fare shopping a Las Mercedes, scortate dai gorilla, rigorosamente in Ferrari o in Bentley. A tutto questo si aggiungeva un'altra fascia di popolazione, difficilmente classificabile: era formata da persone che avevano subito innesti chirurgici per la sostituzione di braccia, gambe, occhi, naso, orecchie, o anche organi interni. Josè si era sempre chiesto che cosa facesse questo genere di persone per vivere, e aveva concluso che si trattava di persone in giro per il sottobosco criminale della città, membri dei Suburbani, ladri mercenari che sbeffeggiavano la polizia e gli organi del potere, e ladruncoli di strada, o semplicemente ubriaconi da bar di quattro soldi. Il commercio illegale di organi era diventato piuttosto redditizio, così come ogni affare che potesse essere concluso nei corridoi urbani del mercato nero, dove i soldi di milioni di persone circolavano e ricircolavano in negozi illeciti, come una danza tribale che non si fermava mai. Potevate trovarci di tutto: vestiti, profumi, software, sistemi informatici, droghe, chip di credito falsificati. Bastava chiedere, inserirsi bene nell'ambiente e disporre del denaro necessario.

    Josè vidè se stesso come un punto luminoso nel monitor di un computer d'una qualche multinazionale, e si sentì, insieme agli altri abitanti di Caracas, un semplice ammontare di denaro, un capitale economico gestibile a piacimento, ed eliminabile in caso di inutilità o negligenza. Aveva seguito da vicino la guerra fra multinazionali, quando era nei Suburbani, mentre si contendevano Caracas come una sorta di El Dorado. Lui stesso era stato spesso incaricato di compiere attentati a danni di altre multinazionali, ed era questa la ragione che spiegava le posizioni di preminenza assunte da certi conglomerati rispetto ad altri.

    E mentre vagava per la strada, facendo una passeggiata senza scopo lungo il perimetro di sicurezza del porto di La Guaira, l'X nera lo colpì con la furia di un toro impazzito. Strane immagini serpeggiarono di fronte ai suoi occhi, del tutto senza senso. E poi fissò il cielo sopra la città, e nella sua oscurità esplosero mille neon, e nuvolette multicolori si formarono sui residui di luce, illuminandolo come le luci di una discoteca.

    E corse via, fra alcuni pezzi di ricambio delle barche. Vomitò. Trovò la chiave della sua gabbia. I suoi sensi si schiarirono, la sua mente dissipò le nebbie. Annebbiata dall'X nera, gli aveva concesso un momento di pace, ma non poteva sapere quanto sarebbe durato. Corse verso il suo piccolo appartamento in affitto in una zona residenziale giusto prima del porto. Aprì la porta con il proprio codice di sicurezza, e una volta dentro, si accasciò sul letto, senza forze.

    Dieci Belmont volarono via sul pavimento in fretta. A Josè non rimase altro che la opprimente malinconia che lo colpiva quando finiva le sigarette, e a lui non rimanevano che gli sprazzi del loro fumo bluastro davanti agli occhi. Era come se ogni volta che comprava un pacchetto nei chioschi del centro stesse facendo un passo verso l'autotortura. Fumava per rilassare il corpo e la mente, e una volta che aveva raggiunto il suo scopo, disteso su un morbido letto di quiete e silenzio, rimpiangeva di non averne più.

    Si addormentò dopo mezz'ora, i suoi occhi si chiusero da soli, appesantiti da una estenuante giornata di lavoro. E mentre la sua mente smetteva di lavorare per riposare, si sentì portare in una strana ma fedele riproduzione della realtà. Si trovava all'esterno di un edificio, la zona era lussuosa, con edifici illuminati al neon bianco e blu, con piccoli vasi di piante esotiche davanti ai balconi. Si guardò intorno, cercando di orientarsi. E la porta dell'edificio di fronte a lui si aprì da sola. Entrò. Una voce lo chiamò dall'alto, e lui corse per le scale, cercandola.

    Raggiunse un appartamento aperto, costosamente arredato, dipinto di blu. Una ragazza dagli occhi e i capelli castano chiaro lo scrutò da un divano. Josè notò il sorriso della ragazza. Lo invitò ad avvicinarsi. Josè obbedì, sentendosi vagamente stordito. E mentre si sedeva accanto a lei e lei gli appoggiava i piedi sulle gambe, la sua vista sembrò ricoprirsi di un denso strato di olio, e lei volò via come la polvere spazzata via dal vento, lasciandolo da solo in un'immensa oscurità onirica.

    Si alzò il mattino dopo, sul presto. I sogni del giorno prima sparirono dietro una cornice di luce del colore del cielo notturno, costellato da leggere luci colorate al neon. Si affacciò alla finestra: stessa città, stesso posto, stesso rumore di sempre. La grande città si era già svegliata, insieme a ricordi lontani della vita di Josè.

    Josè raggiunse l'ufficio del suo datore di lavoro, un uomo che si era arricchito con l'import-export con gli USA. Lo trovò chiuso, quindi fece rotta direttamente verso il porto. Il cemento grigio del porto lo accolse rivestito dalla luce arancione chiaro del mattino, mentre si avvicinava alla nave mercantile della Gutierrez Import-Export, costruita ufficialmente in Giappone. Trovò i suoi compagni di lavoro che stavano già iniziando la loro giornata, vestiti con le loro tute da lavoro blu scuro. Felipe Gutierrez, il suo capo, era davanti alla stiva della nave, e sembrava notevolmente innervosito. " Dobbiamo andarcene, Josè " disse. Sembrava preoccupato. " Mi hanno detto che ci saranno degli attentati in questi giorni, sto portando l'ultimo carico in Colombia, non possiamo rischiare di mandare tutto all'aria ". Josè non volle proseguire oltre, ne tantomento era interessato alle ragioni di quanto Gutierrez gli aveva detto. Caricò le restanti casse sulla nave e si allontanò verso il ristorante La Giralda, dove usava pranzare i fine settimana.

    Il momento di quiete che gli aveva regalato l'X nera stava durando più del previsto. Si concesse un pranzo non troppo abbondante, tornò alla sua casa, nei pressi del porto.

    E, nel buio della sua stanza, illuminato dai colori lontani della sua infanzia, la pace che sentiva dentro di sé inizio a tramutarsi in ansia, attesa per qualcosa che sarebbe arrivato, ma non sapeva cosa. Il suo cervello sembrava vecchio ed ammuffito, come se fosse stato fuori uso per anni interi. Scovò una vecchia fiaschetta di X nera in un cassetto…

    Niente realtà. Niente ricordi. Solo vaghe luci stroboscopiche, che si muovevano in ogni direzione alla velocità della luce, distese su un enorme piano incolore. E improvvisamente, come raggi di elettricità multi colore che si espandevano all'infinito cancellandosi uno al secondo, il vago profilo di una città si formò lontano, davanti ai suoi occhi, avvicinandosi sempre di più. Sembrava disegnata su un foglio nero con inchiostro bianco, e un po' alla volta comparvero il cielo blu, le luci impazzite e ardenti, le insegne dei locali, il rumore della folla. Josè si ritrovò catapultato in mezzo alla folla ritmata e sincopata, i venditori di sigarette e bigiotteria urlavano, mentre un barista buttava fuori tre ubriaconi. Iniziò a correre senza sapere dove andasse, come se una voce nascosta gli avesse urlato di fuggire a gambe levate. Si scontrò con un negro alto e muscoloso, con in mano diversi pacchi di calze e vestiti contraffatti. Corse finò a quando il sudore gli offuscò la vista, e poi, continuò, all'infinito, a correre.

    Una leggera pioggia portò via le luci ed il cemento, ed ancora una volta, niente realtà, e niente ricordi. Ma quello che sentiva, il vago odore metallico di una sala operatoria, gli sembrava più vero della sua stessa vita.

    Una figura in passamontagna squarciò la violenta luce blu che lo accecava. Affianco a lui, comparvero tre chirurghi in camici blu, della tonalità del cielo di Caracas. Uno di loro iniziò a discendere su di lui, con uno strano oggetto metallico fra le mani…

    E l'immagine riesplose, come se una sorta di energia protettrice avesse voluto preservarlo dal dolore del bisturi. Il suo cervello analizzò mille pensieri, cercando quello che gli aiutasse a spiegare la situazione. La violenta impeto dell'X nera finì, e, con la mente immersa in vaghe allucinazioni, il suo cervello sembrò essere tornato allo stato di prima. Un denso strato di muffa si era formato sulla superficie grigia del suo cervello, le informazioni erano deboli filamenti incolori, fermi ed inutili per la mancanza di stimoli reali. La noia, sempre più forte. E di fronte agli occhi del suo inconscio si riformarono i profili di volti di gente sconosciuta che lo fissavano con attenzione. Dietro di loro, il cielo oscuro e i neon ammiccanti. Qualcuno farfugliò qualche parola, ma Josè non capì. L'immagine cambiò di nuovo, diventando una strana versione amplificata del porto, infinita, senza orizzonte. E non c'erano barche, soltanto il mare e il cielo plumbeo. Una mano gli toccò la spalla. Si voltò, e si trovò davanti la stessa ragazza che aveva visto nell'appartamento dei suoi sogni, il suo ampio sorriso sembrò accendere l'oscurità del porto. E mentre fissava il suo sorriso, perso in una strana ed improvvisa quiete, credette di aver capito chi fosse quella ragazza. Voleva dire il suo nome, ma non riusciva a ricordarlo. Ma bastò qualche secondo, e lo ricordò. Ma lo tenne dentro. I ricordi si riaffacciarono nella sua mente. Josè esplose dalla rabbia. Si lanciò sul pavimento e picchiò con violenza sul pavimento grigio, ma poi il sogno scomparve come se non fosse mai esistito.

    Era ancora nella sala operatoria. L'odore metallico si fece più forte, ma ora nessuno lo osservava. Li sentiva parlare da qualche parte, vicini, ma non riusciva a vederli. Nella schiena, un lancinante dolore, come se lo avessero pugnalato. Nello stomaco, un vuoto gelido.

    Non si chiese dove fosse, né perché si trovasse lì, ma iniziò a chiedersi cosa fosse in realtà la sua vita. Concluse che in realtà non era vivo da molto tempo, e la sua vita non era altro che una insensata successione di episodi terribilmente somiglianti alla realtà, che si riproducevano e cancellavano velocemente. Erano tutte allucinazioni, i neon, le strade, il porto, la sua casa, il sole del mattino, l'odore di polvere da sparo. Tracce di una realtà che si era lasciato alle spalle. Così, non si preoccupò di trovarsi in un posto sconosciuto, ma era certo che prima o poi tutto sarebbe finito, e quel posto, insieme ai suoi volti e alle sue luci, sarebbe scomparso come tutti gli altri, come la polvere al vento.

    Un uomo in passamontagna e tuta mimetica, lo stemma del FCLV su un braccio, si avvicinò a lui e gli disse di alzarsi. A fatica, Josè obbedì, mentre violente fitte violacee di dolore lo colpivano alla schiena. Resistette. Venne accompagnato in una stanza buia, che puzzava di sigarette, arredata soltanto da uno stemma ingrandito del FCLV, e da una sedia. Si sedette. Nella stanza entrarono altri due uomini in tuta mimetica e si fermarono di fronte a lui, con l'uomo che aveva visto nella sala operatoria al centro. Josè decise di non chiedersi niente, perché in fondo non era in grado di rispondere ai suoi dubbi.

    E, finalmente, l'uomo parlò.

    Finalmente ti sei svegliato, amigo - disse l'uomo, accendendosi una sigaretta - Ti abbiamo trovato mezzo ubriaco in mezzo alla strada. Ti dai alla bottiglia, eh, Josè?

    E così, sapevano anche il suo nome. Ma Josè non lo conosceva.

    Stavi allucinando - proseguì - Hai esagerato con le dosi di X nera, muy mal -

    Josè giudicò tutto senza alcun senso. Non volle nemmeno domandarsi cosa ci facesse in quel posto, ne come mai quel tipo in tuta mimetica conoscesse il suo nome.

    Puoi dormire un altro po', poi verrà a trovarti il capitano -

    L'uomo in tuta mimetica e gli altri due andarono via. Le ultime parole che Josè aveva ascoltato sembravano risuonargli costantemente in testa. E ora i dubbi si fecero più forti, tanto forti da richiedere assoluta risposta. Il suo pancreas sembrò esplodere in mille pezzi, sotto la carica detonatrice dell'X nera. Ma non provò alcun dolore, seduto su quella sedia, sudando. Ogni volta la sensazione era diversa, ma l'effetto era uguale. E dopo l'esplosione, il vuoto completo, come la polvere che si alza dalle macerie di un edificio crollato. Vaghi frammenti di ricordi coperti dalle nebbie della sua incoscienza. E il volto della ragazza. Il suo sorriso. I suoi occhi scuri, immagini che riaffioravano da sogni che somigliano alla realtà. Terribilmente.

    Il capitano era un uomo sulla quarantina, alto e muscoloso, con folti baffi scuri. La sua andatura militare lo faceva apparire ancora più imponente. Josè individuò uno strano innesto nella sua bocca, una sorta di microfono, fatto in plastica grigia. Il capitano sorrise, e iniziò a parlare con una voce modulata, irriconoscibile. L'innesto era una sorta di sintetizzatore vocale che gli permetteva di travestire la propria voce.

    Non capisco come tu faccia a sopravvivere in quell'inferno -

    Disse il capitano. Si riferiva a Caracas, probabilmente.

    Hai ingerito abbastanza X nera da fotterti il pancreas e aumentare vertiginosamente il battito del tuo cuore - proseguì - brutta fine per un ex soldato governativo.

    Tempi lontani. Josè era stato un paracadutista delle FAN, le Fuerzas Armadas Nacionales. Poi, era entrato nei Suburbani, lavorando come mercenario. Avrebbe potuto benissimo fare una bella vita, ma non era stato così intelligente, ed aveva commesso l'errore di farsi andare dietro l'X nera, le sigarette e la birra nei bar da quattro soldi, e si era ubriacato mille volte, fissando i neon che si riflettevano nelle bottiglie arancione scuro delle Polar.

    Farai bene a riprenderti in fretta -

    Continuò il capitano.

    C'è del lavoro da fare.

    E così dicendo, se ne andò anche lui. Gli dava fastidio il fatto di ascoltare le parole di qualcuno, non rispondere, e vederlo poi andare via, senza che le cose cambiassero davvero. Ma forse stavano per cambiare.
     
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  2. BitFrau
     
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    Non conosco il genere... non so se possa rispondere o meno al cyberpunk, ma posso dire che la storia mi piace e anche la scrittura... :)

    Edited by BitFrau - 11/5/2018, 22:01
     
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  3. Anemonephobia
     
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    Grazie! Se ci sarà interesse posterò le altre parti.
     
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2 replies since 11/5/2018, 16:09   39 views
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