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Guardo l’orologio: è quasi passata un’ora, e sono ancora seduta di fronte a te a parlare; se fosse per me ci farei notte nel tuo ufficio.
E’ sempre così quando sono con te: se dovessi smettere di parlare quando non ho più niente da dirti, non lo so dopo quante ore (o giorni, o mesi) esaurirei quello che vorrei raccontarti e chiederti, e ascoltare da te.
Ma sono una ragazza sensata, e lo so cosa devo fare, e quando guardo l’orologio decido che è ora di andarmene: è passata quasi un’ora, direi che per oggi basta così.
Sono contenta, e te lo direi quasi in faccia, a mo’ di saluto, che non sono più innamorata di te, che la follia è finita, che davvero siamo diventati solo dei simpatici e vecchi conoscenti che godono della compagnia l’uno dell’altra: ogni tanto, quando capita, quando ce n’è l’occasione.
E per me va bene così.
Tu sei pacifico e serafico come al solito: mi hai risolto la questione spinosa che ti ho sottoposto, e mi hai spiegato paziente e gentile quello che non avevo capito. Ad un certo punto mi hai fatto una domanda e io non ho saputo rispondere: non capisco niente di tutto quel casino che c’è scritto su quel foglio che ti ho portato e che tu paziente cerchi di spiegarmi, ma tu vedi il mio sguardo perso e mi dici:
“Guarda che non ti sto interrogando.”
Mi viene da ridere: Luca, non siamo più al liceo, da un sacco di anni; nessuno più interroga nessuno, e io l’ho sempre pensato che tu non eri un genio, ma eri di sicuro più intelligente di me, e nemmeno io comunque mi sono mai considerata una scema…
Ma non c’è tempo, mi devo concentrare: la questione spinosa che dovevo capire, forse l’ho capita, e allora possiamo tornare a parlare del più e del meno, di tuo figlio che è un deficiente che rischia anche quest’anno di essere bocciato, e dei miei che è meglio che lasciamo perdere…
E guardo l’orologio, e mi alzo mentre ancora sto parlando, e stiamo ridendo al solito di qualche cavolata e anche tu ti alzi, ma non ti muovi da dietro la scrivania: due passi e io posso raggiungere la porta che tu hai lasciato aperta.
Faccio un passo verso la porta e tu non ti muovi, e per me va bene così: non ho bisogno di baciarti e abbracciarti, siamo simpatici conoscenti e vecchi compagni di scuola, non servono smancerie.
Ma mentre sto facendo il secondo passo verso la porta, sei tu che ti avvicini e anche se non c’entra niente con quello che abbiamo detto finora, come se ti venisse in mente in quel momento, mi dici:
“Ah… neanche a me è piaciuto “Il filo nascosto”.
“Be’, potevi anche scriverlo sul gruppo, mentre tutti mi davano addosso per dire che capolavoro fosse quel film, e io invece sostenevo che fosse una sublime boiata…”
Ridi e ti avvicini di un passo, e anche io allora ti vengo incontro e ti dico:
“Viene Elena da Parigi la settimana prossima, l’ho scritto sul gruppo che faccio una cena da me venerdì, vieni?”
“Ma sì certo, chi se le perde le lasagne di tua mamma…”
Già, mia mamma... finché c’è e ha voglia di fare le lasagne come trent’anni fa, quando venivate a casa mia in campagna, e le sembra di vederci ancora al liceo che trangugiamo lasagne e affettati fino a scoppiare.
Ormai siamo vicini e ci dobbiamo salutare, e allora è facile baciarti leggera sulle guance mettendo la mia mano alla tua vita, sentendo la tua appoggiata alla mia spalla, e sai, sono talmente raffreddata che non so nemmeno se si sente o no il profumo che ho addosso, ma spero comunque che ti piaccia, e che il contatto con la mia guancia sia fresco e buono per te, come lo è per me.
E’ facile lasciarti questa volta: non ci sei mai stato, forse per questo non ti perdo.. -
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La poesia non ha bisogno di seguaci, ma ... di amanti
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Non so perchè, anche se so già di cosa parlerai nel tuo racconto, non riesco a non leggerlo e ne rimango una volta di più affascinato...sarà anche il tuo modo di scrivere, non lo metto in dubbio, ma è sopratutto la strana situazione della storia che racconti, ma che tu riesci a farla diventare attendibile. CITAZIONEche non sono più innamorata di te, che la follia è finita, che davvero siamo diventati solo dei simpatici e vecchi conoscenti che godono della compagnia l’uno dell’altra: ogni tanto, quando capita, quando ce n’è l’occasione.
Grande bugia! La protagonista lo dice a se stessa, ma è la prima a non crederci.. -
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Grazie Al, è un bel complimento che mi fai: in fondo è così anche la vita, monotona e imprevedibile allo stesso tempo! E la letteratura copia...
Per quanto riguarda il raccontarsela della mia protagonista... secondo me lei ci crede: ogni volta che se lo dice, ci spera davvero di non essere più innamorata di lui... magari prima o poi, a forza di dirselo, le succede davvero!
Ciao, e buon primo maggio.... -
BitFrau.
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Mi chiedo come mai ancora nessun regista ti abbia proposto di farne una fiction televisiva...
Ma prima o poi arriverà la proposta!. -
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Ahahah... certo, quando organizzeranno le paturniadi, giuro, mi iscrivo! Ciao! . -
BitFrau.
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Ahahah... certo, quando organizzeranno le paturniadi, giuro, mi iscrivo! Ciao!
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Comunque sappi che non cederei mai la mia storia per una banale telenovela. Sto preparando la trama per una tragedia greca. Attica per la precisione, V secolo avanti Cristo... . -
BitFrau.
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Comunque sappi che non cederei mai la mia storia per una banale telenovela. Sto preparando la trama per una tragedia greca. Attica per la precisione, V secolo avanti Cristo...
E come darti torto? La trama si presta molto di più per Attica! Le paturnie (rosa) sono una grande tragedia greca!. -
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Del resto, se ci pensi, tutto quello che accade può diventare oggetto di una narrazione di qualunque tipo: tragedia, commedia, farsa, melodramma, soap opera... Dipende dall'interpretazione che vogliamo dare agli avvenimenti... La mia Ester può diventare una grande eroina da tragedia greca (Medea o Antigone se preferisci...) oppure una Grecia Colmenares dei poveri... dipende da come raccontiamo quello che le succede... E come dico sempre: se io fossi Sofocle o Dostoevskij racconterei la storia che ho in mente, ma siccome sono solo io, mi accontento dei miei frammenti.
Ciao bella!. -
BitFrau.
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Del resto, se ci pensi, tutto quello che accade può diventare oggetto di una narrazione di qualunque tipo: tragedia, commedia, farsa, melodramma, soap opera... Dipende dall'interpretazione che vogliamo dare agli avvenimenti... La mia Ester può diventare una grande eroina da tragedia greca (Medea o Antigone se preferisci...) oppure una Grecia Colmenares dei poveri... dipende da come raccontiamo quello che le succede... E come dico sempre: se io fossi Sofocle o Dostoevskij racconterei la storia che ho in mente, ma siccome sono solo io, mi accontento dei miei frammenti.
Ciao bella!
Quoto!. -
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È sempre un piacere leggerti cara Amala . -
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Grazie Trammy, la tua approvazione davvero mi rallegra! Bye . -
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Cara Ester, mi sei mancata.
Il "Voglio ma non devo" della tua vita è il mantra che accompagna tutti noi, anche se nessuno, come te, lo ammetterà mai.. -
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Grazie del passaggio Sofi, mi mancavano i tuoi commenti. No, non è più il voglio ma non posso. Ma non so raccontarlo. A rileggerti. Smak . -
Liborio.
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Amalasunta,
nell'attesa che arrivasse un'idea per commento, ho letto le varie osservazioni. Ne rubo una: una trama per un racconto televisivo. Non è una provocazione tanto strampalata!
Sai, o dovresti saperlo dai commenti precedenti, che mi ha sempre compiaciuto la tua scrittura. Ma ancor di più il tuo forte senso di far la cosa giusta, sempre. È complicato da di'! Vabbe', lasciamo sta. Uno su tutti, ti riporto il passaggio che più mi piace: [e che il contatto con la mia guancia sia fresco e buono per te, come lo è per me]; mescoli dialoghi e considerazioni in una bella miscela..