Il rifugio dello scrittore

Prima uno, poi l'altro

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    È il mio primo tentativo di scrivere un testo horror, se così questo si può definire. Mi farebbe comodo sapere se è un pezzo che funziona.



    Ho gli occhi chiusi. Non voglio aprirli. La voce di mio padre è deforme, ricorda quella di un essere umano posseduto. Proviene dal piano di sotto. Io sono in camera, sdraiato sul letto e con la luce spenta. Cerco di estraniarmi il più possibile nelle lucine sfumate che prendono vita da sotto le mie palpebre calate. Ma il suo ruggito me lo impedisce. Le parole gli escono dalla bocca come fiammelle a contatto con la benzina: creano incendi. Mia madre è l’unica vittima del rogo, ma non reagisce. Il suo silenzio fa un rumore assordante.
    Mio padre cala due rapidi pugni sul tavolo. Le stoviglie ancora da sparecchiare si agitano. Mi stringo le braccia attorno al petto con la sensazione di essere un debole. Da sotto non si alza più nessun rumore. Il passo di mio padre ricorda quello di una marcia funebre. È sofferto, pesante come una nave da crociera. Sta venendo a prendermi. Riapro gli occhi e mi nascondo sotto il letto. Ho la sensazione di esser coricato all’interno di una cassa da morto. Sfioro un asse con un dito e subito dopo il materasso per rassicurarmi. Eccolo: ha aperto la porta. Sta cercando l’interruttore della luce ma non lo trova. Tira una bestemmia che inquina l’aria intrisa dall’odore di carta da fumetti e adolescenza. La luce si accende, compaiono i suoi scarponi rinforzati che indossa sul lavoro. Mi ricordano due cingolati che avanzano implacabili verso di me. Si sta inginocchiando e respira come un bufalo. Io non riesco a muovermi, rimango paralizzato in attesa di essere arpionato per un braccio dalla sua mano. Ma ciò non accade: improvvisamente mia madre entra in camera: riconosco i suoi piedi, nudi, dal collo pronunciato. Si muovono svelti verso mio padre. L’uomo caccia un grido soffocato a cui ne seguono altri segnati di dolore o dalla rabbia. I suoi scarponi si dimenano furiosi, mentre i piedi di mia madre si allontanano e raggiungono l’altra sponda della camera divisa centralmente dal letto.
    L’uomo si accascia con le ginocchia a terra, adesso rantolando. In pochi secondi, il suo busto cede e viene giù come il tronco di una quercia abbattuta. La sua faccia, di lato, affossata sul pavimento, ha guance spesse e cadenti e occhi inespressivi.
    All’altezza del collo ha un coltello conficcato nella carne, che riconosco come quello che mia madre è solita adoperare per tagliare la carne.
    Mi trascino fuori da sotto il letto e mi drizzo in piedi. Mia madre tiene le spalle e le braccia incollate contro il muro come una forsennata e dal suo viso traspare orrore. Ha gli occhi torbidi di lacrime e spaventati come quelli di un coniglio selvatico caduto in una trappola, i capelli raccolti in una coda sfatta e trema tutta. Si è fatta un affarino minuscolo. Mi avvicino ma lei non manifesta interesse, tiene gli occhi puntati sul corpo di mio padre e respira, respira, respira come un’asmatica. Improvvisamente, si volta verso di me e mi fa segno di fare silenzio. Poi spalanca le braccia e io comprendo il suo desiderio di abbracciarmi. Ci uniamo, madre e figlio, in un abbraccio colpevole e liberatorio.
    «Cos’ho fatto?» mi sussurra.
    Le lacrime che tratteneva negli occhi iniziano a fluirle con la stessa sprigionante energia di un fiume in piena, e tra un singhiozzo e l’altro ripete con incredulità mista ad arresa: «Siamo rovinati, Carlo».
    Poi, con uno scatto mi afferra per le spalle e mi guarda dritto negli occhi. I suoi, vibrano. «Promettimi che qualunque cosa succeda, tu ne verrai fuori. Promettimi, Carlo, che diventerai un uomo fatto e finito, con o senza di me».
    Io rimango in silenzio per un istante ma lei mi scrolla per le spalle con ossessione.
    «Promettimelo!»
    «Sì» le dico.
    «Te lo prometto».
    Si china un poco e appoggia le labbra umide sulla mia fronte, mentre con le mani mi circonda il viso. Rimaniamo così, immobili, fino a quando mia madre, scossa dalla vista del sangue che si è esteso, si erge dritta con la schiena e con lo sguardo rivolto verso il corpo di mio padre dice con voce nasale: «Ora devo pulire».
    «Continua» disse lo psicologo.
    «Io sono sceso giù, mi sono seduto sul divano, ho acceso la televisione e ho aspettato»
    «Cos’hai aspettato?»
    «Che lei finisse di pulire»
    «Ha pulito tutto?»
    «Dopo circa due ore sono crollato sfinito sul divano. Quando ho riaperto gli occhi, era mattina e mia madre mi era seduta accanto… mi osservava. Ho pensato avesse proprio un bell’aspetto. Si era fatta la doccia, i suoi capelli erano puliti»
    «Cosa vi siete detti in quei primi momenti, te lo ricordi?»
    «Mi ha detto che non ero più obbligato a entrare o a dormire in quella stanza, se non avessi voluto. Avrei potuto dormire con lei. Oppure, la sua camera sarebbe diventata la mia e lei avrebbe dormito sul divano. Non le serviva una camera»
    «Altro?» fece lo psicologo.
    «Le chiesi di mio padre»
    «Continua»
    «Mi ha risposto che mio padre non ci avrebbe più dato problemi. Nient’altro»
    «Come ti sentivi in quei momenti successivi al risveglio?» domandò lo psicologo.
    «Non lo so»
    «Prova a fare uno sforzo, Carlo»
    «Era… Era come se… »
    «Mia madre mi ha detto che avrei saltato la scuola, quel giorno. Ma solo per quel giorno»
    «Pensavi a tuo padre?»
    «Di continuo»
    «E tua madre? Come si comportava?»
    «Ha cucinato un buon pranzo. Sembrava di buon umore»
    «Quando hai trovato il corpo di tuo padre, che ore erano?»
    «Pomeriggio tardo. Il garage era l’unico posto in cui avrebbe potuto nasconderlo. Sentivo un peso che mi soffocava. Sono scappato e ho denunciato tutto»
    «Come ti sei sentito?»
    «Solo. Solo e abbandonato»
    «Prima di trovare il corpo di tuo padre e di decidere di volerlo denunciare alla polizia, cosa stavi facendo?»
    «Ero seduto sul divano credendo di impazzire»
    «E tua madre?»
    «Mia madre teneva il coltello tra le mani. Quel coltello. Lo stava lucidando con un panno. Canticchiava. Ogni tanto si fermava, mi lanciava un’occhiatina e mi diceva “È tutto a posto, amore”»
    «Ti faceva paura?»
    «Ero terrorizzato. Non sembrava più mia madre. Era fuori di sé»
    «Lo sentivo, lo sentivo dentro dottore. Io sarei stato il prossimo».

    Edited by Emma: - 14/4/2018, 20:03
     
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  2. BitFrau
     
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    Ti dico la mia impressione, ma tieni presente che non faccio testo perché non seguo il genere. A me, più che horror, sembra un racconto di matrice psicologica. Comunque, la storia attira :)
     
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    Ciao Emma,

    l'horror è sfiorato, nel senso che l'omicidio all'arma bianca, e la conseguente immagine del sangue potrebbero bastare, anche perché chi esagera in dettagli fa splatter, togliendo qualità all'opera.
    Effettivamente, come dice BitFrau, siamo più su un racconto del terrore e quindi sul psicologico, che dà spazio maggiore a sensazioni ed emozioni trasmesse.
    La bravura la trovo nel fatto che hai saputo celare i sospetti di un colpo di scena, e lo hai fatto velatamente, senza farlo supporre troppo. Ergo, hai usato bene la strategia de la falsa pista.
    Buono lo stato tensivo, senza ripetizioni né ridondanze che tradiscono: "Te lo spiego due volte, così lo capisci meglio". Chi lo fa, non sa che la lettura non è godibile quando l'autore, per incertezza personale, tenta di dire troppe cose che poi restituiscono l'effetto: "Caro autore, HO CAPITO!" Ora mi lasci libero di immaginare? :angry:
    ;)
    Nel contenuto c'è tutto: la struttura è completa, non lasci intuire che il ragazzo è in seduta terapeutica, e costruisci in modo attraente la sequenza che conduce all'apice narrativo. Hai dunque usato benissimo la prima al presente per poi appoggiarti sulla realtà ambientale.

    Ci sono parole e frasi che potrebbero rendere migliore l'esposto.

    Vado con l'editing completo.
    Legenda:
    in giallo: segnalazione che conduce a domanda o spiegazione
    in arancio: aggiunto per proposta o per compensazione sostitutiva
    in grigio: omesso con garbo e domande / commenti / spiegazioni topiche
    in azzurro: unicum

    Ho gli occhi chiusi. Non voglio aprirli. La voce di mio padre è deforme, (((È un aggettivo che si limita alla vista di un qualcosa che ha una forma comunque geometrica, e l'aggettivo ne risalta il contrario, la mancata armonia di forma o di linearità. La voce non è visibile; come possiamo darle una forma inversa? Il suono di quella voce meriterebbe qualcosa di più conforme, come: cavernosa, metallica, robotica, gracchiante, legnosa, catarrosa, asmatica, affannata, greve... ))) ricorda quella di un essere umano posseduto. (((Mio padre è sicuramente un essere umano; perché rafforzare quel qualcosa già ben esposto? posseduto, quando non è un participio pass, è un aggettivo che, in quasi tutti i casi, va ad esprimere il tuo concetto in modo autonomo; sfiora già da sé l'univocità di chi è preda demoniaca))) Proviene dal piano di sotto. Io sono in camera, sdraiato sul letto e con la luce spenta. Cerco di estraniarmi il più possibile nelle lucine sfumate che prendono vita da sotto attraverso le mie palpebre calate. (((Bella, perché tutti abbiamo lucine verdi, azzurre, viola e rosse che talvolta vediamo anche ad occhi chiusi, però: da sotto le palpebre potrebbe diventare meno macchinoso, con un semplice: attraverso le))) Ma il suo ruggito me lo impedisce. Le parole gli escono dalla bocca come fiammelle che vanno a contatto con la benzina: creano incendi. (((Ho aggiunto quella subordinata perché, altrimenti, le fiammelle che escono, sono già a contatto con la benzina già quando stanno in bocca))) Mia madre è l’unica vittima del rogo, ma non reagisce. Il suo silenzio fa un rumore assordante.
    Mio padre cala due rapidi pugni sul tavolo. Le stoviglie ancora da sparecchiare rimaste si agitano. (((Se lui li cala, tu esponi un gesto lento, che non può far agitare le stoviglie; ma le stoviglie, essendo fatte di materiali duri, non incontrano il massimo favore con agitare perché il verbo si presta in modo ancor più immediato alle acque, alle emozioni. Tutto per consigliarti, anziché agitare, qualcosa di più visibile: 1. batte (o sbatte) 2. traballano, sussultano, vacillano, tremano, si spostano, tintinnano... Con una di queste parole coinvolgi i sensi, e tu sai che l'uso della plurisensorialità è molto importante.)))
    Mi stringo le braccia attorno al petto con la sensazione di essere un debole. Da sotto non si alza più nessun rumore. (((l'intera frase esprime una locuzione dialettalistica, tipico-regionale, che non tutti possono afferrare all'istante. Vorrei consigliarti: dal pavimento non arrivano / non sento / più rumori))) Il passo di mio padre ricorda quello la cadenza / scansione ritmica / di una marcia funebre. (((Vero: esiste il passo da cemonia funebre (lento e costante), ma non quello della marcia funebre, che è una musica apposita))) È sofferto, pesante come una nave da crociera. Sta venendo a prendermi. Riapro gli occhi e mi nascondo sotto il letto. Ho la sensazione di esser coricato all’interno di in una cassa da morto. Sfioro un asse con un dito e subito dopo il materasso, per rassicurarmi. Eccolo: ha aperto la porta. Sta cercando l’interruttore della luce ma non lo trova. Tira una bestemmia che inquina l’aria intrisa dall’odore di carta da fumetti e adolescenza. La luce si accende, compaiono i suoi gli scarponi rinforzati che indossa sul lavoro. Mi ricordano due cingolati che avanzano implacabili, verso di me. Si sta inginocchiando e respira come un bufalo. Io non riesco a muovermi, rimango paralizzato in attesa di essere arpionato che mi arpioni per un braccio dalla sua mano. (((È solo la trasformazione di una forma passiva in una attiva))) Ma ciò non accade: improvvisamente (((pochi avverbi fanno uno scrittore; più di uno ne fanno mezzo, disse S. K., ma non solo lui.))) :D mia madre entra in camera: riconosco i suoi piedi, nudi, dal collo pronunciato. Si muovono svelti verso mio padre. L’uomoui caccia un grido soffocato a cui ne seguono altri, segnati di dolore o dalla rabbia. I suoi Gli scarponi si dimenano furiosi, mentre i piedi di mia madre si allontanano e raggiungono l’altra sponda della camera, divisa centralmente in mezzo dal letto.
    L’uomo si accascia con le ginocchia a terra, adesso rantolando. In pochi secondi, il suo busto cede e viene giù come il tronco di una quercia abbattuta. (((1. il busto, da solo, non può cedere né cadere; cade lui, o meglio: il corpo. 2. Per evitare la ripetizione dei possessivi (vedi successivo)))) La sua faccia, di lato, affossata sul pavimento, ha guance spesse e cadenti, e occhi inespressivi. (((Qui, sì che ci andrebbe a pennello deformata, perché è proprio così che compare il volto di chi si schianta inerme al suolo. Ma la vera ragione appartiene alla logica: la faccia affossata sul pavimento prevede un pavimento molle, spugnoso, fangoso, colmo di gelatina... Capito qual è il punto dell'immagine?))) ;)
    All’altezza del collo ha un coltello conficcato nella carne, che riconosco come quello che mia madre è solita adoperare per tagliare la carne. (((Non c'è nulla che non vada nella forma, fatta salva la ripetizione di carne, però, a volte, l'immediatezza non troppo discorsiva di un'immagine può fare più paura: Ha un coltello conficcato nel collo, che riconosco... Eviteresti anche la ridondanza.)))
    Mi trascino fuori da sotto il letto e mi drizzo in piedi. (((Altra forma dialettalistica, che potrebbe distrarre il lettore. Arranco sul pavimento per uscire dalla bara... Che si riallaccerebbe all'immagine iniziale, quindi potresti riformularla in qualche altro modo, tutto tuo.))) Mia madre tiene le spalle e le braccia incollate contro il muro, come una forsennata, e dal suo viso traspare l'orrore. Ha gli occhi torbidi di lacrime (((Lei non vede in modo chiaro, perché gli occhi sono annegati nelle lacrime, ma torbido esprime il punto di vista della donna, che vede torbido, e il ragazzo non è in quegli occhi. Potresti usare qualcos'altro, anche perché torbidi, se visti dall'esterno, diventano come se le sclere diventassero non più visibili in modo chiaro. Se si tratta del rimmel o del kajal (come si scrive?), allora resta il fatto che l'immagine non riesce ad emergere, e comunque quel nero cosmetico non va negli occhi, semmai va sul viso, e cola. Sono lacrime e dunque, dall'esterno, sono trasparenti. Visto cosa può fare un solo aggettivo? :) ))) e spaventati come quelli di un coniglio selvatico caduto in una trappola, i capelli raccolti in una coda sfatta, e trema tutta. Si è fatta un affarino minuscolo. (((potremmo privarci di affarino, facendolo diventare un affare, oppure di minuscolo, perché assieme fanno come quella forma, diffusa ma errata, che è: un piccolo bambino; difatti, il suo contrario, ossia bambino grande è soltanto una forzatura "casereccia".))) Mi avvicino, ma lei non manifesta interesse, tiene gli occhi puntati sul corpo di mio padre e respira, respira, respira come un’asmatica senza l'inalatore. (((È solo un'idea, che potrebbe completare l'immagine senza far sì che un asmatico possa sembrare una sorta di sostantivo della patologia))) Improvvisamente, sSi volta verso di me e mi fa segno di fare silenzio tacere. (((per evitare il doppio uso di fare, così ravvicinato))) Poi spalanca le braccia e io comprendo il suo desiderio di abbracciarmi. Ci uniamo, madre e figlio, in un abbraccio colpevole e liberatorio. (((Ridondanze come questa rappresentano un pleonasmo. Tranquilla: fare l'editing a sé stessi è una cosa ardua, che sfiora l’impossibilità; non riusciamo a vedere nemmeno una nave a un metro))) :)
    «Cos’ho fatto?» mi sussurra.
    Le lacrime che tratteneva negli occhi iniziano a fluirle fluiscono con la stessa sprigionante energia di un fiume in piena, e tra un singhiozzo e l’altro ripete con incredulità mista ad arresa: (((1. È una di quelle forme che appartenevano alla narrazione verbale, e nemmeno in tutta la penisola. Se qualcosa inizia, o comincia, allora la frase dovrebbe comprendere entrambe le azioni, altrimenti la frase perde efficacia, come se rimanesse sospesa. Se fossi in parlamento lancerei un referendum abrogativo, perché non sei stata l'unica ad usare quella forma, ma nemmeno + purtroppo, l'ultima. :( 2. Volevi scrivere a resa giusto?))) «Siamo rovinati, Carlo».
    Poi, con uno scatto mi afferra per le spalle e mi guarda dritto negli occhi. I suoi, vibrano. «Promettimi che qualunque cosa succeda, tu ne verrai fuori. Promettimi, Carlo, che diventerai un uomo fatto e finito, con o senza di me». (((Finito possiamo usarlo per distinguere una qualificazione lavorativa: tecnico finito e automunito, parrucchiere finito cercasi per apertura di... Un uomo completo? Un uomo autonomo? Un brav'uomo? Coscienzioso? Un uomo che sa badare a sé? Ho finito gli uomini che vorrei consigliarti... ))):D
    Io rimango in silenzio per un istante ma lei mi scrolla per le spalle con ossessione.
    «Promettimelo!»
    «Sì» le dico.
    «Te lo prometto».
    Si china un poco e appoggia le labbra umide sulla mia fronte, mentre con le mani mi circonda il viso. Rimaniamo così, immobili, fino a quando mia madre, scossa dalla vista del sangue che si è esteso, si erge dritta con la schiena e, con lo sguardo rivolto verso il corpo di mio padre, dice con voce nasale: «Ora devo pulire». (((Bella la voce nasale. Vedi cosa fa la scrittura sensoriale?)))
    «Continua» disse lo psicologo.
    «Io sono sceso giù, mi sono seduto sul divano, ho acceso la televisione e ho aspettato»
    «Cos’hai aspettato?»
    «Che lei finisse di pulire...»
    «Ha pulito tutto?»
    «Dopo circa due ore sono crollato sfinito sul divano. Quando ho riaperto gli occhi, era mattina e mia madre mi era seduta accanto a me... mi osservava. Ho pensato avesse proprio un bell’aspetto. Si era fatta la doccia, i suoi capelli erano puliti»
    «Cosa vi siete detti in quei primi momenti, te lo ricordi?»
    «Mi ha detto che non ero più obbligato a entrare o a dormire in quella stanza, se non avessi voluto. Avrei potuto dormire con lei. Oppure, la sua camera sarebbe diventata la mia, e lei avrebbe dormito sul divano. Non le serviva una camera»
    «Altro?» fece lo psicologo.
    «Le chiesi di mio padre»
    «Continua...»
    «Mi ha risposto che mio padre non ci avrebbe più dato problemi. Nient’altro»
    «Come ti sentivi in quei nei momenti successivi al risveglio?» domandò lo psicologo. Incalzò. (((C'è un punto interrogativo, quindi domandò si presenta ridondante, ne convieni?)))
    «Non lo so»
    «Prova a fare uno sforzo, Carlo»
    «Era… Era come se… »
    «Mia madre mi ha detto che avrei saltato la scuola, quel giorno. Ma solo per quel giorno»
    «Pensavi a tuo padre?»
    «Di continuo»
    «E tua madre? Come si comportava?»
    «Ha cucinato un buon pranzo. Sembrava di buon umore»
    «Quando hai trovato il corpo di tuo padre, che ore erano?»
    «Pomeriggio tardo. Il garage era l’unico posto in cui avrebbe potuto nasconderlo. Sentivo un peso che mi soffocava. Sono scappato e ho denunciato tutto»
    «Come ti sei sentito?»
    «Solo. Solo e abbandonato»
    «Prima di trovare il corpo di tuo padre e di decidere di volerlo denunciare alla polizia, cosa stavi facendo?» (((Il ragazzo denuncia la vittima dell'omicidio? Intendevi forse che tenta di crearsi un alibi, denunciando un padre violento? Se sì, allora occorrerebbe buttar giù qualche riga. Se invece scappa e denuncia la madre, allora il maschile in giallo genera un arresto alla scorrevolezza, perché fa fare ipotesi sul chi, come, dove, quando e perché)))
    «Ero seduto sul divano, credendo di impazzire»
    «E tua madre?»
    «Mia madre teneva il coltello tra le mani. Quel coltello. (((Ottimo, l'uso del corsivo su quel))) Lo stava lucidando con un panno. Canticchiava. Ogni tanto si fermava, mi lanciava un’occhiatina e mi diceva “È tutto a posto, amore”»
    «Ti faceva paura?»
    «Ero terrorizzato. Non sembrava più mia madre. Era fuori di sé» (((Nell'immaginario collettivo, quella locuzione indica una persona arrabbiata, che urla e si dimena... Era forse "strana"? Col volto rilassato, il sorrisino artefatto e gli occhi spiritati da assassina pazza? Se sì, se l'immagine è di tipo hitchcockiano, e perché no: felliniano, allora potrebbe bastare: sembrava un'altra, oppure: Lei... Non era lei... )))
    «Lo sentivo, lo sentivo dentro, dottore. Io sarei stato il prossimo».

    Edited by Axum - 15/4/2018, 01:38
     
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    Incredibile. Non posso far altro che ringraziarti, Axum.
     
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    Concordo con Bitfrau a riguardo del fatto che sia più un horror
    psicologico (in stile Shining) che uno basato sul sovrannaturale.

    Un altro punto su cui hai saputo giocare è la doppiezza della figura
    della madre, che da una parte sembra turbata e dice "siamo rovinati",
    dall'altra invece appare di colpo persino fin troppo lieta del suo gesto.

    Il fatto che tu abbia inserito una seduta di psicanalisi è interessante.
    Del resto, questa storia è una di quelle a cui avrebbe potuto pensare
    Freud quando scrisse il suo trattato "Il Perturbante"

    Un trattato giocato sull'opposizione apparente tra "heimlich" (ciò che
    è familiare) e "unheimlich" (ciò che è non familiare, alieno ecc.) e che
    sta alla base dell'horror. E per Freud, la famiglia era proprio il luogo
    in cui queste due categorie si confondevano a causa di conflitti tra i
    vari membri; non ultimo, quello tra marito e moglie e genitori e figli.

    La madre e il suo rapporto col figlio in effetti sembra quasi acquisire
    certi tratti "freudiani" XD

    Ok, forse sto sovra-analizzando il testo, mi sembra di essere uno
    dei miei vecchi professori al liceo...

    Come sempre la tua capacità di narrazione visuale è ragguardevole,
    e a livello formale non ho nulla da segnalare, salvo questo passaggio:

    «Prova a fare uno sforzo, Carlo»
    «Era… Era come se… »
    «Mia madre mi ha detto che avrei saltato la scuola, quel giorno. Ma solo per quel giorno»
    «Pensavi a tuo padre?»
    «Di continuo»


    La seconda e terza riga mi ha confuso per un attimo, e ho compreso solo dopo che era sempre
    Carlo a parlare. Magari in questo caso sarebbe opportuno metterle sulla stessa riga, separate
    da un passaggio narrato tipo (si strinse la testa fra le mani, assunse un'espressione ecc. ecc.)
     
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    Ti sei lanciata giovane avvocata!! *_*
     
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    Forse l'ho già detto, ma mi piace davvero tanto il tuo stile di scrittura. Lo trovo fluido, non spigoloso, come una barca cullata dalle onde. :D La storia la trovo interessante; in un racconto breve non è facile buttare giù un colpo di scena talmente forte da compensare quel che (ovviamente) non si può dare a livello di trama. Trovo azzeccato (sempre considerato che si tratta di un racconto breve) il momento in cui hai fatto cominciare la storia.
     
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    Perchè non lo posti anche su Creepypasta? Comunque se io,sè vabbè quando mai mi sarebbe venuta un'idea simile...ognuno di noi ha le sue uniche ed irripetibili, avessi scritto questo racconto non avrei aggiunto che la madre stesse per uccidere anche lui...questo perchè secondo il mio concetto personale le madri non uccidono i loro figli se non in un raptus di follia perciò ato che un racconto di qualsiasi genere esso sia, anche il più fantasy o fantascientifico ad esempio, deve mantenere la sospensione di creulità....ecco per me, ma è una mia opinione personale basata appunto su come io trovo verosimile o meno che una madr uccida, quello non sarebbe stato credibile e l'avrei escluso.
    Però sono un pochino gelosa di questo tuo racconto sai?Perchè Axum sembra straveere per esso....coè dai te lo ha persino corretto punto per punto pur amandolo molto già così a quanto si capisce. Eh be' sì ho un po' di invidia, non dovrei lo so ma è così!
     
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