Il rifugio dello scrittore

Case editrici

Dissertazione generale sulle ce e differenze tra esse

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    CITAZIONE (Xarthin @ 27/6/2018, 08:30) 
    [...]

    Ora, quel genere di "fanatici" non potranno mai essere davvero soddisfatti, ma sono più che capaci di beccarti se non hai fatto adeguatamente i "compiti" e farti passare per un ignorante.

    [...]

    Ecco dunque uno dei punti chiave: la cultura non è un optional, perché c'è sempre qualcuno un po' più a nord di noi, e dunque apparire come incolti è facilissimo se non ci si immerge profondamente in una materia (meglio se in più campi che, sovente, coincidono o si compenetrano).
     
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    Scusate ma qualcuno di voi (non ricordo chi) non diceva che prima di tutto è importante scrivere qualcosa di innovativo? O me lo sono inventato io?
    In ogni caso, seppure non l'abbia detto nessuno, credo fermamente che quella sia, assieme ad altri fattori, una caratteristica fondamentale del progetto di uno scrittore.
    Se vogliamo seguire le regole del marketing, la creatività e il "differenziarsi" sono la chiave di tutto. E, anche se non vogliamo scrivere solo per vendere, non possiamo prescindere dalle dinamiche del mercato editoriale, a meno che non vogliamo lasciare tutto nel cassetto.
    Io in realtà non sono contro l'informazione, anzi. Non conosco persona più curiosa e assetata di cultura di me. Perciò, farmi un'infarinatura su un argomento qualsiasi per scrivere un romanzo o una short story o quello che sia, non sarebbe affatto un problema, al contrario, sarebbe un piacere.
    Quello di cui però sono estremamente nemica invece è il fanatismo, proprio come quello di cui parlavano alcuni di voi. Che ci siano persone che conoscono persino l'angolazione che prende una spada medievale quando viene sferrato un colpo, mi fa pensare buon per loro. Non credo però che l'esistenza di questo tipo di persone debba costringere l'autore ad informarsi anche nei minimi particolari riguardo quell'argomento.
    Semplicemente, non mi piace l'idea del rendere la preparazione della scrittura di un romanzo o di un testo qualsiasi equivalente a una preparazione per un esame universitario. Non concepisco sinceramente l'idea di studiare cinque o sei libri (storici, scientifici, o comunque riguardanti il campo d'interesse) per poi andare a scrivere. Ditemi che bisogna informarsi, farsi almeno un'infarinatura perché non si è riusciti a scuola ad acquisire una conoscenza adeguata al riguardo, ma non di studiare, di appesantire la scrittura, che è già un lavoraccio come credo tutti voi sappiate, con dell'eccessivo lavoro. Solo perché non ci si deve sentire minacciati neanche da quelli che conoscono l'angolazione di una lama medievale in caduta?
    Ma un'opera d'arte non è un qualcosa di personale, unico e diverso da qualsiasi altra cosa? Si devono necessariamente seguire delle regole (a parte quelle grammaticali che sono d'obbligo) definite da qualcuno prima di noi? E se io volessi scrivere un fantasy dove non c'è nessuna guerra? Non sarebbe un fantasy? Chi lo dice che dev'esserci per forza una guerra in un fantasy? Non sarebbe comunque un'opera originale, creata dal mio intelletto e da quello di nessun altro? Chi potrebbe affermare il contrario?
     
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    Ma un'opera d'arte non è un qualcosa di personale, unico e diverso da qualsiasi altra cosa? Si devono necessariamente seguire delle regole (a parte quelle grammaticali che sono d'obbligo) definite da qualcuno prima di noi? E se io volessi scrivere un fantasy dove non c'è nessuna guerra? Non sarebbe un fantasy? Chi lo dice che dev'esserci per forza una guerra in un fantasy? Non sarebbe comunque un'opera originale, creata dal mio intelletto e da quello di nessun altro? Chi potrebbe affermare il contrario?

    La vera domanda, a parer mio, è: vuoi scrivere per la soddisfazione di mettere un libro su uno scaffale o per tirare tante copie/vivere di rendita?
    Se uno scrive perché vuole diventare scrittore e quindi campare di rendita, la soluzione sta nel compromesso, di un incontro con il cliente (il lettore) ma mai nella cultura, perché quella ci vuole, e tanta anche. Quindi studiare, e tanto. Cioé non limitarsi a informarsi semplicemente, perché per scrivere una cosa devi saperla bene, anche se poi magari non la usi. Uno deve capire quali regole possono essere scavalcate, se e come farlo, perché essere semplicemente "originali" non basta, bisogna saperlo fare e conoscere chi ci ha provato prima e come. E non deve scrivere unicamente quello che piace e come piace a lui, ma trovare un punto d'incontro con quello che può piacere agli altri, perché se non ti leggono gli altri, non ti legge nessuno.
    Saper scrivere è un'arte, ma non è arte in tutti i casi, non va a gusto personale del singolo, ma a gusto di massa: se vuoi farlo diventare un lavoro, la dimensione puramente artistica e dell'ego dell'artista passa in secondo paiano. In primo ci stanno le vendite, perché se quello che fai non ti permette di vivere decorosamente significa che o hai fallito nell'intento o campare con la scrittura non era il tuo intento principale.
    Io, qui, do per scontato che si parli di scrittura come un lavoro, al pari di quelli retribuiti mensilmente. Solo che a retribuire sono i clienti. Se i clienti capiscono che uno scrive senza sapere bene di cosa tratta - e chi legge lo sente, se una cosa la sai o l'hai messa lì solo per far sapere che le hai dato appena un'occhiata - difficilmente compreranno il secondo libro.
    Da quello che ho imparato io, informarsi serve solo a gettare delle nozioni in pasto al lettore. Studiare serve a renderlo partecipe, a fargli vedere le cose come stanno, tracciandole bene anche con soli pochi dettagli - pochi ma sapienti. I dettagli non si acquisiscono solo informandosi, ma richiedono studio.
    Se poi uno vuole solo la soddisfazione di mettere un libro sulla mensola e farsi leggere da una manciata di lettori, è tutta un'altra faccenda: è chiaro che, a quel punto, non ci sono da seguire regole di marketing e promozione, non serve sapersi vendere e non serve trovare punti di incontro col lettore, così come non serve sapere niente delle materie che uno va a trattare prima di mettere mano sul foglio.

    Edited by Artemis. - 28/6/2018, 17:04
     
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    EDIT: @ HAVEN
    Purtroppo l'ambiente è mooolto più concreto e persino gretto di quanto si possa immaginare. L'essere innovativi è una cosa che l'ambiente ti permette soltanto se sei già qualcuno, ma solo a piccolissime dosi (sennò gli altri, che fanno, scompaiono?). Sto dicendo che, all'atto pratico, è una leggenda inventata da chi non ha mai avuto a che fare con l'ambiente medesimo. Immaginare è un conto, ed è facilissimo; conoscere l'ambiente è un altro, diversissimo. L'autopubblicazione sta minando la letteratura medesima, perché senza gli esperti che sanno valutare il prodotto, si crea un nuovo mostro, che ci porterebbe indietro di mille e mille anni, parlando e scrivendo in "gutturale" e gesti elencati.
    E poi, il parallelo con l'opera d'arte non è applicabile alla letteratura in sé, semmai alle arti figurative, all'architettura, all'abbigliamento ecc. Non a caso, si chiamano best seller, non "miracoli linguistici".
    Nel campo della letteratura narrativa è come dover parlare a una piazza, ma tramite un altoparlante. C'è chi crede che, invece, bisogna stare sul palchetto, come i politici ai comizi. Fatal error, perché il lettore si innamora del libro, della storia, del come è costruita e narrata, non dell'autore (che il lettore incontra di persona, e sembra un estraneo più estraneo di un alieno, dunque si fa firmare la copia soltanto nella speranza che quella copia sia rivendibile a qualche soldo in più, 'un giorno').
    In questo campo, parlare di innovazione è come dire che domani mi metto a parlare una lingua inventata da me, e pretendere che tutti (già) la conoscano. Chi l'ha fatto, è rimasto nella storia in due sole versioni: un pazzo da ricordare o un grande coraggioso 'incompreso' (magari era soltanto 'incompiuto'). ;)
    Sto dicendo, in sostanza, che se salto fuori con un prodotto che non ha nulla del già noto (aspettative del lettore), voglio solo farmi del male. La letteratura si innova alla stessa stregua dell'evoluzione, non "da un giorno all'altro", altrimenti avrò tre fan (parenti) e un oceano di persone che mi vorranno alla neuro. Sarebbe come imporsi e pretendere di comandare il mondo. ;)
    Ma è anche possibile che io abbia travisato il senso del tuo ultimo post.
     
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    Temo che qui oramai rischiamo di andare seriamente off-topic.

    Forse sarebbe opportuno aprire un post in merito.

    Ad ogni buon conto.

    CITAZIONE
    Semplicemente, non mi piace l'idea del rendere la preparazione della scrittura di un romanzo o di un testo qualsiasi equivalente a una preparazione per un esame universitario.

    Un insegnante di matematica delle elementari non imporrà certo ai
    suoi alunni il calcolo degli integrali, ma lui o lei dovranno CERTAMENTE
    sapere di cosa si tratta.

    Quindi per scrivere/insegnare UNO su un argomento/genere, dovrai saperne
    MILLE (e forse di più).
     
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    Azz... stavamo scrivendo in contemporanea, in tre (tu, Artemis ed io). :lol:
    Sì, l'OT c'è, ma sentiamo cosa dice HAVEN, e poi ci pensiamo.
     
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    CITAZIONE (Axum @ 28/6/2018, 17:10) 
    Azz... stavamo scrivendo in contemporanea, in tre (tu, Artemis ed io). :lol:
    Sì, l'OT c'è, ma sentiamo cosa dice HAVEN, e poi ci pensiamo.

    Sì, ho visto! :schianto:
    per l'OT non ci sono problemi: è una cosa nata dal post principale. Se le case editrici mancano in alcuni ambiti, c'è da chiedersi anche se pubblicano romanzi per una cerchia ristretta di persone, se hanno mirato al target sbagliato, e che parte di colpa abbia l'autore in tutto questo - perché ce l'ha sempre, secondo me: una compartecipazione nelle scarse vendite.
    Prendiamo, per esempio, una casa editrice piccola (come la stragrande maggioranza di quelle italiane), alla quale arrivano poche proposte. Pubblicherà il meglio del peggio, probabilmente. Mettendomi nei panni di un editore, io farei così: mi accontenterei di quello che mandano gli autori, a un certo punto. Se poi arrivano tanti manoscritti, la cosa cambia. Ma se gli autori, tutti convinti di aver scritto il capolavoro del secolo, tirano fuori cose astruse e io, editore, ricevo solo cose astruse? Le pubblico, e poi non vendo. Allora vorrà dire che pubblico ancora, sì, ma magari dedico meno fondi alla pubblicità. Io credo che in un libro che non vende la colpa non sia solo dell'editore, ma anche di autori che propongono romanzi mediocri o pubblicabili, ma che non tirano per diverse carenze.
    Sarò cattivella, ma secondo me la carenza di cultura è uno di questi fattori: il libro è ok, lo scrittore sa il minimo indispensabile - quello che serve - e ok, tutto nella media. Carino, ma niente di eccezionale.
    Quindi, col fatto della cultura e delle persone fissate, in realtà ci si riaggancia. Io non dico, in realtà, di essere fissati. Ma avere tanta passione per una cosa, così che studiare anche 100 libri sull'argomento non sia un peso per lo scrittore.
    Uno scrittore che non si interessa in modo approfondito di quello che va a inserire nel libro, almeno a me trasmette questa sua voglia di far presto, di buttare una cosa su carta e fermare lì la sua conoscenza in materia.
    Poi, è vero che siamo tutti diversi e forse puntiamo tutti a obiettivi diversi. Ma penso che per fare successo e farlo fare anche all'editore, che poi investirà di più sulla promozione e altre cose anche di altri autori, la cultura serva, tanta. Fa bene a tutti, per come la vedo io.

    PS: concordo pienamente con Axum, che dice che essere originali al 100% oggi è impossibile. I temi principali sono sempre gli stessi, ogni storia calca uno stereotipo narrativo già scoperto dagli studiosi, perché ogni storia si rifà a uno dei pochissimi pattern possibili e esistenti, che non cambiano mai, da millenni. --> https://en.wikipedia.org/wiki/The_Seven_Basic_Plots
    Alcuni dicono che ne esistano di più (pochi di più) ma sono sempre quelli.
    Al massimo puoi essere originale nell'ambientazione o nella creazione dei personaggi o nella sequenza degli eventi - che però avrai preso in parte da qualcun altro in ogni caso.
    L'originalità, oggi, sta nel saper dire le stesse cose che sono già state dette, ma in modo diverso e accattivante.
     
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    Per me l'originalità non è tanto lo chef che propone gengive di
    scarafaggio alla mongola, ma è capace di prenderti un piatto
    di penne all'arrabbiata e di sapertelo miscelare in maniera così
    unica da rendere unica anche l'esperienza di assaggiarlo.
     
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    Oddio, mi ci vorrà un'eternità per processare tutte queste informazioni :wacko: tutti contro uno (o peggio, una) non vale però :P

    Non eguaglierò i vostri lunghi messaggi, anche perché da cellulare mi ci vorrebbero giorni per rispondere a tutto, ma dirò l'essenziale, che poi è quello che mi piace fare.

    Allora...non intendevo dire che lo scrittore dev'essere un ignorante qualsiasi che scrive di qualunque cosa gli venga in mente sapendo poco o nulla al riguardo. Lungi da me affermare ciò.
    IMO semplicemente, la scrittura non dovrebbe essere uno sforzo disumano verso la sapienza assoluta, ma un reinventare quella sapienza, anche se questa non dovesse essere perfetta.
    Molto probabilmente farei meglio a chiarire l'utilizzo di alcuni termini. Nel mio messaggio precedente intendevo studiare come il riempirsi la testa di nozioni, molte volte anche poco utili, perché obbligati a farlo per via del nostro senso del dovere. Invece con informarsi non volevo intendere un apprestarsi a conoscere superficialmente qualcosa, ma venirne a conoscenza in modo totalmente libero e "leggero". O meglio, apprendere perché lo si vuole e si è veramente interessati, e non perché si pensa che lo si debba fare perché se no nessuno ci terrà mai in considerazione.

    Per quanto riguarda il discorso sul diversificarsi, certo non dicevo che si debbano stravolgere totalmente le regole della narrativa (anche se alcuni grandi autori lo hanno fatto, ma certo noi non vogliamo, o meglio non possiamo, aspirare a quei livelli, anche perché a questi non interessava affatto di vendere, si accontentavano di fare letteratura e basta), ma che siano imposti dei paletti a seconda del genere, come a dire che in un fantasy ci debba necessariamente essere una guerra, mi sembra andare contro al concetto stesso di arte, che non dovrebbe avere limiti, se non quelli della forma (anche se abbiamo esempi di stravolgimento anche di questa).
    Spero di essermi spiegata meglio stavolta...molto probabilmente no :rolleyes:
     
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    Sì sì, ti sei spiegata bene! ^_^
    E stima a te anche solo perché riesci a scrivere col cellulare :schianto: come faaaaaai?
    Io tiro fuori boiate ogni mezza parola, sono proprio negata.
     
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    CITAZIONE (*HAVEN* @ 3/7/2018, 18:31) 
    ...
    Non eguaglierò i vostri lunghi messaggi...

    Un giorno, anni fa, lessi che qualcuno scrisse un racconto basandosi sulla propria esperienza in un paese lontano, senza mai esserci stato. Penso che un nativo di quel paese o un geografo avrebbero potuto scovare l'imperfezione geografica, di costume, di lingua...
    Ma è narrativa, non un saggio.
    Regole fisse - credo - non ce ne siano. Certo, fantasia sì, ma non troppa: q.b.
    I fantasy non mi piacciono molto - riconosco che è un limite - (saranno i nomi strani dei luoghi e personaggi, ho pensato), ma anch'io faccio fatica a credere a una conditio sine qua non sui generi.
     
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    Aggiungo solo una precisazione: guerra ha molte accezioni e non intendevo soltanto quella che si riferisce a eserciti che si affrontano sul campo con le spade, mazze chiodate e alabarde. Ergo un fantasy non può non contenere almeno una guerra, altrimenti diventa un Rosa con cose magiche. Persino ne "Il piccolo principe" c'è una guerra: un cobra inganna un bambino alieno, lo riempie di falsità e infine lo mangia. Il rettile dichiara tacitamente guerra, usa strategia interpersonale (manipolazione) per poi vincere la guerra contro una vittima ingenua. Se l'autore avesse voluto fare di quel serpente un rettile qualunque che si sfama col primo vivente capitatogli a tiro, allora non gli avrebbe dato la voce, quindi una testa pensante.
    Con i generi è un po' come dire: questo gioco l'ho inventato io, dunque i giocatori dovranno seguire le regole da me stabilite. Chi non rispetta quelle regole (le regole di quel genere) è fuori dal gioco.
    In lingua, grazie proprio a tutte quelle accezioni di guerra, anche un conflitto interpersonale, una faida famigliare, un conflitto atavico, e persino un modesto bisticcio tra litiganti di peso sono guerre, e nel fantasy, per poterlo definire tale, una o tutte quelle versioni/accezioni di guerra, non possono mancare.
    Una guerra è anche: Padre pragmatico impone matrimonio figlia con esponente di fazione estranea e/o avversa. Figlia combatte padre con ogni mezzo a disposizione, fino a vincere o a perdere quella guerra sentimental-civil-sociale contro il parente.
     
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    La componente ludica-di piacere nella stesura di un testo ci deve
    essere da parte dell'autore, è il primo requisito.

    Altrimenti diventa vuoto manierismo e ne abbiamo innumerevoli
    esempi nell'"industria" dell'entertainment di oggi.

    Ciò detto, questo non vuol dire che non ci si possa impegnare ugualmente
    per rendere la cosa al meglio.

    Conosco una persona che è un giocatore amatoriale di scacchi. Non è un
    Kasparov, non lo fa per "mestiere", eppure si è divorato manuali su manuali
    e ha partecipato a tornei su tornei per arrivare ad un livello sempre maggiore.

    Lo fa per il suo piacere, ma anche per offrire un grande spettacolo agli altri
    quando partecipa ad un torneo: vuole fare sempre meglio perché è un servizio
    a sé stesso e agli altri.

    Scrivere penso sia lo stesso.

    Se scrivo un romanzo storico sulla Dinastia Qing cinese o sulle campagne di Traiano
    in Dacia, la storia mi DEVE piacere, così come deve essere un piacere per me informarmi
    quanto più possibile su quei periodi storici: come la gente viveva, mangiava, si vestiva,
    ragionava, con che armi combatteva...

    Nessun bravo autore di romanzi storici poi riverserà tutto quell'enorme fiume di informazioni
    sul lettore (mai farlo, o è infodump assicurato), ma doserà i dettagli per saper far vivere al
    lettore quell'epoca in cui l'autore si è esso-a stesso-a immersa fino a respirarla fino all'ultima
    molecola. Trasmetteranno, insomma, lo stesso piacere che hanno avuto nella ricerca di quel
    mondo.

    Mi è capitato di leggere un romanzo su Gengis Khan, scritto da un autore che ne era affascinato
    da bambino, ed è stata una lettura molto appassionante. Lo stesso autore, messo a scrivere una
    storia su Annibale e Scipione, non è riuscito a rendere la stessa "passione" Ma, attenzione, si è
    comunque rigorosamente documentato sul periodo delle Guerre Puniche. E' stato un "compitino"
    rispetto a quello su Gengis per lui, ma un compitino per cui aveva studiato molto bene.

    Anche il Fantasy è un genere che ha molte affinità col romanzo storico (e non solo), più di quante
    se ne pensi. Non solo gran parte dei mondi fantasy sono ispirati ad epoche "reali" (Medioevo, Età
    Vittoriana per lo Steampunk o persino preistoria per certi generi), ma l'autore deve comunque
    saper trasmettere un intero mondo "ricreato" nella sua testa.

    E se mi leggo un libro sull'arcieria, male non farà quando dovrò creare il mio o la mia protagonista
    che tira con l'arco. Scoprirò che magari dovrò fare in modo che il suo braccio destro risulti più muscoloso,
    perché tirare con l'arco richiede una notevole forza fisica.

    Sarà pure una ciliegina sulla torta, in questo caso, ma rende la torta sicuramente più succulenta
    e chi la mangerà magari se ne ricorderà più a lungo.

    Non è un dettaglio da poco, specialmente in un ambito come l'High Fantasy che è iper-stra-ultra-super
    inflazionato. Può essere quel "plus" che fa la differenza e ti fa risaltare rispetto al tuo "competitor"
     
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    CITAZIONE (Artemis. @ 3/7/2018, 18:38) 
    Sì sì, ti sei spiegata bene! ^_^
    E stima a te anche solo perché riesci a scrivere col cellulare :schianto: come faaaaaai?
    Io tiro fuori boiate ogni mezza parola, sono proprio negata.

    Infatti mi ci vuole un bel po' per mettere insieme qualcosa di comprensibile :P

    Ahahah hai proprio ragione @Liborio, ho finito per scrivere anch'io troppo, non sono riuscita rispettare il mio buon proposito di essere breve, come al solito.

    @Axum, la tua precisazione ha chiarito tutto. Non posso quindi darti torto, il termine guerra inteso in quel senso è un po' dappertutto e quindi non vedo perché non dovrebbe essere presente in un fantasy. Senza un conflitto, o una parvenza di questo, non c'è intreccio e quindi niente storia.

    Sono d'accordo anche con te @Xarthin, mi sembra giusto che in una competizione debba vincere il migliore, in questo caso, quello che ne sa di più.
    Mi premeva solo precisare che non sempre il migliore è il più informato (trattandosi di scrittura) e che non sta tutto lì, nell'informarsi e studiare. Non è produttivo soffocare la propria creatività con una gran quantità di informazioni per sopperire alla mancanza di essa. Molto meglio lasciarla viaggiare libera per poi potenziarla con una sana, e ben venga dettagliata, informazione ;)
     
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