Il rifugio dello scrittore

I cacciatori di Méi

Capitolo 1

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    "A trattar le persone secondo il merito, chi mai si salverebbe dalle frustate?"

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    Questo è il primo capitolo di un romanzo ambientato tra Italia, Germania, Cina è Giappone, tra passato e presente, che pensavo di scrivere qualcosa come quindici anni fa. Lo posto esattamente come lo scrissi allora (prima di imparare che per scrivere non basta solo...scrivere :) ). Quindi non badate allo stile o alla tecnica (lo riscriverò da capo a piedi), ma ditemi cosa ne pensate come storia.

    Il silenzio che avvolgeva quel luogo aveva qualcosa di innaturale; gli unici rumori che si potevano udire erano i pesanti passi degli uomini che partecipavano alla spedizione. A capo del gruppo, composto da sei soldati di nazionalità tedesca e da due giapponesi, uno scienziato e un esperto di storia antica, era il Tenente Koller, uno dei migliori elementi delle SS; non aveva scelto lui quell’incarico, ma era un soldato e avrebbe portato a termine la missione a qualunque costo, nonostante i suoi uomini cominciassero a mostrare segni di insofferenza.
    L’Ufficiale comprendeva perfettamente il loro stato d’animo; dopotutto, era già trascorsa una settimana da quando erano sbarcati sulla penisola di Chugoku, nel sud ovest dell’Arcipelago giapponese e, pur disponendo di informazioni piuttosto precise, finora i loro sforzi si erano dimostrati del tutto vani.
    La conformazione montuosa della zona, inoltre, non facilitava la ricerca in cui gli uomini erano impegnati e il terreno, in parte ancora coperto di neve a causa dell’inverno appena terminato, li costringeva a lunghe deviazioni per evitare le numerose insidie della zona. Il Tenente cominciava a pensare che sarebbe stato più produttivo attendere la primavera, ma sapeva perfettamente che si trattava di un diretto ordine di Himmler e che non avrebbe mai potuto opporsi. L’uomo conosceva perfettamente lo scopo della missione, ma non aveva mai compreso il motivo che spingeva Hitler a privarsi di alcuni soldati sul fronte europeo spedendoli in tutto il mondo a caccia di reliquie nonostante, in quel febbraio del quarantatre, il conflitto si stesse pericolosamente allargando.
    Finalmente, Koller alzò il braccio e la compagnia si fermò; avevano tutti bisogno di un po’ di riposo, ma uno dei due ricercatori non era d’accordo e, stizzito, si avvicinò al Tenente:
    “Non possiamo fermarci adesso” sbottò “dobbiamo continuare le ricerche!”
    Entrambi gli studiosi conoscevano il tedesco, per questo erano stati assegnati a quella spedizione, oltre che per la loro competenza.
    “No, passeremo la notte qui: gli uomini sono stanchi” ribatté seccamente il soldato “So bene che lei tiene molto al buon esito di questa missione, ma sono io al comando della spedizione!”
    “Accidenti!” insistette lo studioso, sfilandosi dal collo la pesante sciarpa che indossava “Questi soldati dovrebbero essere i più preparati del mondo e non resistono a qualche ora di marcia? Himmler ne sarà informato: non credo che sarà felice di sapere che la missione è fallita a causa della sua negligenza!”
    Offeso nel suo orgoglio di soldato, Koller lasciò cadere in terra il pesante zaino che aveva trasportato fino a quel momento e afferrò il suo interlocutore per il bavero della sua improvvisata uniforme:
    “Mi ascolti attentamente perché non glielo ripeterò: non tollero che un dannato muso giallo mi spieghi come gestire la mia squadra! Uno di voi due” sbottò indicando il giapponese e poi il suo collega “è più che sufficiente per proseguire la missione quindi, se osa ancora contraddirmi, io la uccido!”
    Le parole del Tenente avevano sortito l’effetto sperato e lo scienziato, non appena libero dalla presa del soldato, si allontanò di qualche metro e si sedette in silenzio su una roccia, cominciando a preparare la sua tenda da campo. Recuperato il controllo, l’Ufficiale scrutò il cielo per alcuni secondi, dopodiché chiamò a sé due soldati e li inviò in perlustrazione. Il sole sarebbe tramontato solo un’ora più tardi, quindi avrebbero avuto tutto il tempo di studiare il percorso migliore da intraprendere il giorno successivo.
    I due uomini camminarono per alcuni minuti e, una volta lontani dallo sguardo del Tenente, prima di proseguire si accesero una sigaretta; mentre avanzavano, si scambiavano commenti e considerazioni sull’inutilità di quella missione e sullo spreco di energie che aveva richiesto fino a quel momento.
    Com’era prevedibile, la coppia di soldati ispezionò in modo molto approssimativo la zona: prendendo sottogamba l’incarico assegnatogli, si limitarono ad aggirare un fitto gruppo di alberi e a portarsi a ridosso di una piccola cresta; imprecando alla vista dell’ostacolo che avrebbero dovuto superare entro poche ore, uno dei due si appoggiò alla parete di roccia, che il sole di quel pomeriggio aveva liberato dalla neve, analizzandola abbacchiato. Fu in quel momento che il suo sguardo scorse tra i massi un pertugio di circa un metro quadrato. Incuriositi, gli uomini si avvicinarono e, estraendo dai loro zaini due torce, iniziarono a controllare l’interno di quella che sembrava una piccola grotta.
    Squarciando il buio che lo avvolgeva, la luce prodotta dalle lampade confermò che oltre quello stretto passaggio si estendeva un ambiente non più grande di una stanza e di chiara origine naturale; avventurandosi all’interno, i soldati si resero poi conto delle reali dimensioni di quel luogo. Percorsi solo pochi metri, notarono uno strano oggetto sistemato in modo quasi casuale in un angolo della grotta e si avvicinarono per osservarlo più attentamente; passarono solo pochi istanti prima che sul volto dei due uomini si dipingesse un’espressione commossa, come se il rinvenimento di quell’oggetto simboleggiasse una vera liberazione.
    “L’abbiamo trovato, Hans!” gridò uno dei due “Torna indietro, vai dal Tenente e portalo qui.”
    Dopo un cenno di assenso, il soldato si precipitò fuori dalla grotta e si diresse verso il campo base, mentre il suo compagno sarebbe rimasto a vegliare sull’oggetto che i due ricercatori giapponesi avevano ordinato di non toccare per nessun motivo. Rimasto solo però, l’uomo si lasciò vincere dalla tentazione e raccolse il cimelio; si trattava di un piccolo cofanetto in cinabro, un minerale di colore vermiglio, su cui erano incisi antichi simboli taoisti di origine cinese; lo scrigno era sigillato da uno di questi ultimi, apposto con una colata di cera rossa, e sembrava contenere qualcosa.
    Essendo solo un gregario, le sue informazioni sulla vera natura di quella missione erano limitate: lo scopo della spedizione era di recuperare quella scatola, ma solo il Tenente Koller e i due scienziati erano a conoscenza del suo contenuto; neppure l’uomo stesso avrebbe saputo spiegare se si fosse trattato di semplice curiosità o di qualcosa di diverso, ma a quel punto nulla avrebbe potuto dissuaderlo dall’aprire il cofanetto, cosa che fece pochi istanti dopo.
    Pur continuando a reggere la torcia elettrica che aveva in dotazione, il soldato ruppe facilmente il sigillo, dopodiché aprì la scatola e illuminò il suo interno; il flebile fascio di luce prodotto dall’utensile svelò così i contorni di ciò che sembrava essere una semplice tavoletta d’argilla. Piuttosto deluso e in parte seccato, l’uomo posò a terra il cofanetto e si chinò per estrarre l’oggetto ed osservarlo con più attenzione, sperando forse di cogliere qualche dettaglio che giustificasse la faticosa spedizione a cui stava prendendo parte, dal momento che egli riteneva impossibile che un simile “soprammobile” meritasse una tale dedizione da parte di un esercito che mirava a conquistare il mondo intero.
    Improvvisamente, un debole rumore attirò l’attenzione del soldato che, trasalendo, lasciò cadere a terra la tavoletta; una volta ripresosi, temendo di aver danneggiato l’oggetto, il giovane tedesco puntò la torcia verso il terreno, cercando di individuare il punto esatto in cui questo era caduto, senza però trovarlo.
    “Porca…” imprecò.
    Improvvisamente, notò un’ombra spostarsi lentamente da una parte all’altra della piccola grotta e, con un gesto repentino, girò il braccio e concentrò la luce della torcia verso la figura che la proiettava.
    Non appena l’uomo illuminò la giusta porzione di grotta, non riuscì a credere ai suoi occhi: di fronte a lui distinse nitidamente una ragazza di origine orientale, forse la più bella che avesse mai visto, con indosso un kimono dai colori opachi; la giovane lo guardava con un sorriso che avrebbe potuto essere l’immagine stessa della dolcezza. Il soldato posò il cofanetto, lasciandolo aperto, e si alzò in piedi, quasi paralizzato da quella che per un istante reputò essere solo una visione dovuta alla stanchezza.
    Inaspettatamente, però, il sorriso della ragazza si spense e il suo sguardo si riempì di rabbia; trascorsero solo pochi secondi prima che l’uomo, confuso, vedesse la donna sollevarsi di circa mezzo metro da terra, come se fosse sorretta da invisibili fili, e scagliarsi contro di lui.
    Terrorizzato, il giovane spostò istintivamente la mano sul fucile che portava a tracolla e lo puntò verso quella sorta di spirito, riuscendo a sparare due colpi che sembrarono andare a vuoto e, contemporaneamente, compiendo qualche passo all’indietro urtò il cofanetto, facendolo richiudere; purtroppo per l’uomo, l’eco provocata dai proiettili in quell’ambiente così angusto aveva provocato una frana e non appena se ne rese conto, cercò di raggiungere l’uscita, disinteressandosi del fatto che la ragazza si fosse come volatilizzata, ma alcuni grossi massi si staccarono e crollarono su di lui, facendolo stramazzare al suolo e bloccando l’ingresso della grotta.

    Ormai ad una decina di metri dall’accesso, Koller e i due ricercatori giapponesi, guidati in un’affannata corsa dal soldato che aveva scoperto la grotta, udirono un sordo boato e videro il pertugio ostruirsi e ricoprirsi di neve fresca sotto ai loro occhi:
    “Ma cosa diavolo è successo?” domandò il Tenente rivolgendosi al suo sottoposto.
    “Non lo so, signore, ma dentro c’è Karl: non possiamo lasciarlo là sotto” rispose il giovane.
    “Al diavolo quell’idiota” commentò uno dei due giapponesi “dobbiamo recuperare il cofanetto! Tu! Torna indietro e chiama gli altri soldati! Digli che portino delle pale!” sbraitò riferendosi al soldato semplice.
    Il colore paonazzo del vecchio orientale, in parte dovuto al terrore di perdere ciò per cui aveva intrapreso quella spedizione e in parte dovuto al freddo pungente, lo avrebbe fatto somigliare ai più coloriti soldati tedeschi se non fosse stato per i suoi occhi sottili.
    Prima però che il militare potesse eseguire l’ordine, l’attenzione del gruppo venne richiamata da un altro soldato che, con passo svelto ma non affannato, si stava avvicinando; quando questi si trovò finalmente di fronte al Tenente, si mise sull’attenti:
    “Signore! Abbiamo ricevuto una comunicazione da Berlino!” disse.
    “Parla” gli ordinò Koller.
    “Gli ordini sono cambiati: dobbiamo rientrare immediatamente in Germania!”
    “Non prima di aver liberato Karl!” sbottò l’uomo voltandosi verso la grotta.
    Allora, il soldato lo afferrò per un braccio, ma non appena lo sguardo severo del Tenente lo raggiunse come ad ammonirlo di non ripetere mai più un gesto tanto insolente, il giovane lasciò la presa ed assunse nuovamente la posizione abbandonata pochi istanti prima:
    “Il Comando ha specificato di partire immediatamente…”
    Trascorsero alcuni secondi di silenzio in cui tutti i presenti, dal Tenente ai ricercatori, sembrarono aver perso le poche forze che gli erano rimaste dopo la lunga marcia intrapresa durante il pomeriggio: nessuno di loro sembrava voler accettare l’idea di dover rinunciare ai propri intenti, seppur così diversi.
    A malincuore, finalmente Koller fece un cenno al piccolo gruppo e si incamminò verso il campo base, subito seguito dal resto della comitiva; la loro missione era terminata.

    Edited by Artemis. - 16/12/2017, 23:22
     
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