Il rifugio dello scrittore

Mr Redwire

da Penna contro penna III

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  1. EmmeTi
     
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    Nel silenzio ovattato della camera oscura, scandito appena dal ticchettio di un orologio a muro e da sporadici clacson di automobili, Nik restava immobile, avvolto dalla luce inattinica rossa che gli rimarcava le ombre delle cavità orbitarie e delle guance smagrite. Gli occhi tondi e lucidi, sgranati e tremuli, fissavano le foto da poco appese ad asciugare, ancora gocciolanti.
    Dischiuse appena le sottili labbra ed allargò le narici per inspirare con forza: quelle foto l’avevano impietrito. Alzò una mano per sistemarsi gli occhiali leggermente discesi sul naso. E se la passò sulla bocca, come a trattenere uno sgomento che pian piano gli sarebbe sgorgato da dentro.
    Poi una voce lo raggiunse.
    «Ma dove diavolo sei finito? C’è gente su!».
    Così Nik sobbalzò. Si guardò intorno, uscì dalla camera oscura e chiuse la porta sbattendola.

    «Ci sono ancora queste da sviluppare».
    «Va bene». Nik non osava mai alzare lo sguardo verso Peter, il vecchio e grasso proprietario del negozio di fotografia nel quale lavorava da meno di un anno.
    «Alcune sono qui da tanto… dovrebbero esserci i nomi dei proprietari sopra, forse anche i numeri di telefono. Prima di svilupparle contattali. Se non le vogliono, non sprecarci del materiale perché costa. Se non hanno il numero buttale via».
    «Va bene». Nik raccolse le cinque buste che l’uomo aveva lanciato sulla sua stretta scrivania, e diede loro un’occhiata veloce.
    Tutte presentavano un nome e un numero di telefono, tranne una. Pensò di cestinarla. Ma qualcosa lo convinse a desistere e la ripose nel cassetto.
    La sera stessa, nell’abbassare la saracinesca del negozio, udì qualcuno avvicinarsi e fermarsi a meno di un metro da lui.
    «Perché le hai nascoste?».
    Nik ruotò la testa nella sua direzione.
    «Cosa, mi scusi?», disse con un certo disagio.
    Un ragazzo molto esile, di media altezza, con indosso dei pantaloni scuri attillati e un giubbottino di pelle rosso chiaro, espirava il fumo della sigaretta dalle narici e lo fissava con decisione.
    «Le locandine con i prezzi. Ogni volta che passo da qui, dopo il lavoro, cerco di leggere i vostri prezzi, ma li nascondete dietro la saracinesca».
    «Ah… beh mi spiace. Se vuole posso lasciarle dei volantini domani. Li infilo in una fessura della saracinesca».
    «Ti ringrazio». Disse il ragazzo facendo cadere la cicca a terra, per poi calpestarla.
    «Di nulla». Rispose Nik.
    Il ragazzo gli sorrise e si incamminò, gli passò accanto e proseguì oltre.
    Nel frattempo una berlina nera era sbucata da un angolo e slittando sull’asfalto bagnato per la pioggia incessante del pomeriggio, colse in pieno una pozzanghera e dell’acqua nericcia gli arrivò sui pantaloni.
    Tornato a casa, se li tolse rapidamente e li ficcò di forza nella lavatrice. Poi si fece una doccia, indossò il pigiama e mangiò un’insalata leggera. Si mise a letto e prese dal comodino l’ultimo volume di Michael Freeman sui suoi viaggi in Asia. Prima di addormentarsi, sotto la trapunta fiorita della zia, mise una delle sue mentine alla liquirizia e menta piperita in bocca e socchiuse gli occhi, facendola sciogliere lentamente sulla lingua.

    «Che diavolo stai guardando?». Peter era disceso al piano interrato e aveva beccato Nik a fissare una macchia sul pavimento a forma di donna danzante.
    «Buongiorno signore… mi scusi».
    «Hai contattato i proprietari delle foto che ti ho dato?». L’uomo arrancò con fatica verso la sua scrivania striminzita.
    «Sì. Mi hanno tutti confermato di volerle sviluppare».
    «Diamine, dovevamo buttarle e basta. Hai provato a dire loro che se non passano entro una settimana le smaltiamo per questioni di spazio in archivio?».
    Nik indugiò sulla sedia.
    «No… signore. Non ci ho pensato».
    «Ma porc… sei davvero un imbecille! Vuoi svegliarti o no? Se non passano a riprendersele te le detraggo dallo stipendio!» urlò, sbattendo un pugno sul ripiano instabile della scrivania. Poi tossì con tanta foga che il viso gli divenne di un intenso rosso vermiglio e pian piano si allontanò.
    Nik si strinse la camicia sul petto, umiliato e percosso come sempre. Un’ira silenziosa lo colse dalla viscere, ma non avrebbe voluto sfogarla, né farsi sentire da alcuno. Così si limitò a picchiarsi la testa con le nocche delle mani.
    Prima di andarsene, quella sera, infilò dei volantini con i prezzi del negozio nelle fessure della saracinesca, e allontanandosi a testa bassa, ripensò a quanto era stato difficile trovare un lavoro nell’ambito della fotografia: la sua più grande passione. Fin da bambino, infatti, avrebbe voluto girare il mondo e immortalare corpi, volti e luoghi con la sua Asahi Pentax ES del ’71, ereditata dal nonno. Ma la vita e quel suo carattere debole e remissivo non gli avevano mai permesso di osare, lasciare tutto e partire verso mete sconosciute.
    Ad un tratto si fermò dinnanzi a una vetrina che faceva angolo, e iniziò a fissare quel maglioncino rosso di filo di Scozia, che da circa un mese svettava luminoso su un manichino.
    «Bello, eh?». Nik si voltò di scatto.
    Un uomo sulla sessantina, con un cappello alla pescatora bordeaux, guardava il maglioncino con il suo stesso luccichio negli occhi.
    «Già… », rispose Nik.
    «Peccato sia troppo caro. Hanno dei prezzi davvero improponibili in questo negozio».
    Nik annuì con la testa. Poi si scostò di lato, abbozzando un tentativo di allontanamento.
    «Sai cosa mi piace anche? Quell’abito da ballerina lì, nell’angolo. Lo vedi?».
    Nik si fermò. L’abito era azzurro, non propriamente da ballerina, ma con gonna pomposa di tulle, corta, e corpetto aderente.
    «Le ballerine mi affascinano. Hanno quel modo così elegante di muoversi, sciolto ma al contempo rigido e impeccabile».
    «Sì… è vero. Sono molto belle. Da piccolo andavo spesso a guardare il balletto russo con mia nonna. Mi sembrava che volassero su quel palco, leggere come piume d’oca».
    E rimase sognante, per poi accorgersi che un commesso, nel negozio, si era fermato a fissarli dall’altra parte del vetro, mentre vestiva un manichino.
    Tornato a casa, consumò la sua cena leggera, lesse ancora qualche pagina del suo volume di fotografia e nell’addormentarsi, fece sciogliere la caramella alla liquirizia e menta piperita nella bocca, con un certo sollievo.

    Prima di sollevare la saracinesca anchilosata, Nik scorse i volantini con i prezzi lasciati nelle fessure la sera prima, sul bordo del marciapiede, umidi e stropicciati. Per l’intera mattinata e il pomeriggio egli sarebbe rimasto da solo in negozio, poiché Peter aveva delle commissioni da sbrigare. Gettò i volantini marci nel cestino e nel frattempo il telefono al bancone iniziò a suonare isterico.
    «Negozio di fotografia Thomson, mi dica».
    «Buongiorno… chiamavo per sapere se avete sviluppato le mie foto». La voce dall’altra parte del telefono era calda e profonda.
    «Sì… può dirmi il suo cognome?».
    «Redwire… ». Nik rovistò nella cesta delle foto sviluppate e passò e ripassò tra le mani le buste, leggendo con attenzione i nomi, ma nessuna di loro riportava la scritta Redwire.
    «Ehm… è proprio sicuro di averle lasciate qui?», azzardò con un filo di voce.
    «Sì, ma ora che ci penso, non credo di aver messo il mio nome sulla busta».
    Il ragazzo si fermò.
    «Quindi la sua busta non aveva nomi? Era celeste per caso?».
    «Sì, esatto».
    «Ah beh, non si preoccupi… non le abbiamo perse».
    «Perfetto, e quando posso passare a ritirarle? Mi servono con una certa urgenza, posso pagare anche di più se riesce a farmele avere entro stasera».
    Nik iniziò a sudare freddo. Le uniche foto che non aveva sviluppato erano proprio le sue. Sarebbe stato tentato a rifiutare ma poi pensò che se avesse lavorato in pausa pranzo, avrebbe potuto sviluppare le foto e ottenere un guadagno extra. E magari Peter sarebbe stato fiero di lui.
    «Va bene, nessun problema. Saranno pronte per questa sera».
    «Allora passerò per le sette».
    «Sì, a dopo… ». E calò il silenzio.

    Allo scattare delle 13:00, chiuse la porta d’ingresso e spense le luci. Scese nel seminterrato, prese la busta celeste ed entrò in camera oscura.
    Controllò i livelli dei liquidi di sviluppo, di fissaggio e di lavaggio, prese dei fogli di carta fotosensibile e si avvicinò all’ingranditore. L’ansia era diminuita e con essa le palpitazioni.
    Aprì la busta e delicatamente estrasse i negativi, ma quando mise a fuoco il loro contenuto, qualcosa lo spaventò e gli scivolarono dalla mano. Rimase per un istante immobile, incredulo per ciò che aveva appena visto. Allora riprese il primo negativo della serie e lo riportò nuovamente agli occhi.
    Realizzò che quanto aveva visto non era stato un semplice scherzo della mente, ma qualcosa di incredibilmente reale.
    Avrebbe potuto interrompere l’operazione e correre dalla polizia; rimettere i negativi nella busta e dire al cliente di averli persi, oppure svilupparli e fare finta di niente. Poi un dubbio atroce lo colse: il committente sapeva benissimo che lui avrebbe visto i contenuti delle sue foto, e sapeva benissimo che avrebbe rischiato la denuncia. Dunque, perché esporsi tanto? Perché lasciare addirittura il cognome per telefono?
    Poi una consapevolezza prese il posto del dubbio: quell’uomo lo stava di sicuro tenendo sotto controllo o spiando. Magari era fuori, in qualche auto, e controllava le sue mosse dal giorno in cui aveva lasciato la busta. E se avesse provato ad andare alla polizia o avesse visto la polizia arrivare al negozio, per avviare le indagini, gli avrebbe di sicuro fatto del male.
    Dunque decise di svilupparle, dargliele e fingere che nulla fosse accaduto.
    Quando le mise ad asciugare, ancora incredulo, rimase immobile a fissarle, dalla prima all’ultima, fino a quando quel: «Ma dove diavolo sei finito? C’è gente su!», di Peter, tornato prima dalle sue commissioni, non lo costrinse a uscire e raggiungerlo al piano superiore.

    Alle sette meno cinque minuti, Nik aveva già inserito le macabre foto nella loro custodia di carta e le aveva portate al bancone.
    Alle sette in punto il ragazzo iniziò a sudare freddo. Ad ogni apertura della porta: un tonfo nel petto, ad ogni “buonasera” di un uomo o di un ragazzo: un nodo alla gola.
    Verso le otto e dieci minuti, Peter gli ordinò di spegnere le luci e chiudere il negozio.
    “E se mi stesse aspettando fuori?”, pensò.
    Nell’abbassare la saracinesca, il panico raggiunse l’apice. Aveva deciso di portarsi le foto a casa, poiché non poteva nasconderle in negozio.
    Camminò svelto, a testa bassa. Si nascose più volte nelle rientranze dei portoni al passaggio delle auto. Corse lungo le scale, e infilò la chiave nella serratura con non poca difficoltà.
    Chiusa la porta, ciondolò fino al divano e si sedette, con il cuore ancora in gola, la vista offuscata e l’impermeabile chiaro addosso.
    Sfilò lentamente la busta dalla tasca e una voce di ignota natura lo spinse a riprenderle e riguardarle: una giovane donna, molto magra, giaceva nuda su un letto, legata per mani e piedi. In alcune foto piangeva, col trucco sciolto o si dimenava con sguardo folle, angosciato. In altre giaceva immobile, mentre un sangue scuro si addensava nella lacerazione al collo e colava lungo il petto. Gli occhi divergenti fissavano il vuoto ed erano drammaticamente vuoti.
    Nik scoppiò a piangere inorridito. Abbassò le foto e si alzò gli occhiali sulla testa. Si asciugò le lacrime con la manica dell’impermeabile, onde calmarsi, quando un dettaglio nella foto attirò la sua attenzione e lo costrinse ad abbassare gli occhiali per mettere meglio a fuoco. Avvicinò la foto e rimase senza fiato quando riconobbe una trapunta fiorata, sotto il corpo della giovane, davvero identica alla sua. Pensò: che assurda coincidenza.
    Prese un’altra foto e rimase nuovamente di stucco. C’era un libro, adagiato sul comodino, e si intravedeva un nome molto grande sulla copertina: Michael Freeman.
    Infine riconobbe un boccettino, riverso accanto al corpo morto, aperto, dal quale numerose mentine erano uscite e si accumulavano nei ricami della trapunta.

    Nik aveva smesso di piangere.
    Il suo volto era tornato serio e pacato, inespressivo.
    Posò le foto sul tavolino e andò in bagno a sciacquarsi il volto.
    Notò che gli abiti tirati fuori dalla lavatrice al mattino, riportavano ancora le macchie di sangue di quella notte. I suoi pantaloni erano rimasti appesi alla sedia mentre sgozzava la giovane ballerina conosciuta in una chat, ma non se n’era accorto. Li aveva indossati il giorno dopo per andare in negozio e solo all’uscita si era accorto di quegli schizzi rossi. E sorrise quando realizzò che nessuno aveva preso i volantini dalla saracinesca abbassata perché nessuno gliel’aveva mai chiesto. E che il commesso nel negozio si sarà chiesto con chi diavolo stesse parlando, dall’altra parte della vetrina, osservando il maglioncino rosso.
    Tornò in camera e prese il suo botticino di risperidone. Mise una compressa sulla lingua.
    Infine raccolse la busta contente le foto, arrivò al mobile in camera da letto, aprì un cassetto e la impilò dinnanzi alle altre.
    Tutte ugualmente belle, tutte recanti i suoi migliori scatti fotografici.
     
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    Ciao EmmeTi! Credo sia la prima volta che leggo qualcosa di tuo e che dire! Wow! Mi ha fatto venire i brividi. Sono proprio riuscita ad immaginarmi le scene e le ambientazioni cupe (tipiche della camera oscura ;) ).
    Avrò forse letto troppe storie dell'orrore, ma avevo intuito che quelle persone e quelle mentine non fossero effettivamente persone o mentine :D però ero davvero curiosa di sapere cosa rappresentassero quelle foto così paurose e terribili! Non me l'aspettavo :)


    ps: ho apprezzato molto la struttura "a cerniera" che inizia e si ricollega alla fine, molto brava!
     
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    Uno tra i miei preferiti EmmeTi. Abilissima nelle descrizioni. Credo siano uno dei tuoi punti forti. Davvero molti complimenti.
     
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  4. Liborio
     
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    Come una musicista, conosci bene i tempi e non li manchi.
    I conflitti non hanno segreti per te.
     
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  5. EmmeTi
     
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    Grazie mille a tutti!
    Sono contenta che abbiate trovato interessante il pezzo.

    @CuoreDiLuce
    Grazie! Sì, è la prima volta che ci leggiamo a vicenda e sono molto contenta di questo scambio!
    A presto :)

    @Emma
    Grazie mille! Le descrizioni sia dei luoghi che delle psicologie sono la cosa che forse mi piace fare di più e sono contenta che sia venuto fuori. :)

    @Liborio
    Ciao! Grazie mille! Le tue parole mi lusingano :)
     
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    "A trattar le persone secondo il merito, chi mai si salverebbe dalle frustate?"

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    Hai una scrittura fluida che permette di concentrarsi sulla storia, ma questo già lo sapevo. E anche se in effetti avevo intuito anch'io l'inesistenza del vecchio del maglione, il subconscio che si materializza come telefonata (probabilmente per aiutare il protagonista a prendere coscienza della sua seconda natura) mi è piaciuto. Testo e psicologia del personaggio andrebbero approfonditi sfruttando un numero maggiore di caratteri (Cosa farà dopo aver scoperto ciò che è? La personalità oscura prenderà il sopravvento? Accetterà la sua condizione e imparerà ad accettarla e usarla consciamente? Cercherà aiuto?) Insomma, lascia delle domande, ma ho colto tutto il potenziale.
     
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  7. EmmeTi
     
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    @Kishuseiko
    Ciao! Grazie!
    Sì, la storia lascia molte domande, che potrebbero ben riempire un seguito, ma non so quanto possa interessare :)
    Quello che volevo far emergere è proprio la materializzazione del subconscio (come hai giustamente detto tu).
    Mr Redwire (tradotto: filo rosso) si ricollega agli altri personaggi immaginari proprio per il colore rosso: giacca rossa nel primo e cappello rosso nel secondo. Il suo subconscio cerca, infatti, di prendere forma, ma vi riesce solo in parte, poiché fortemente distaccato dalla sua coscienza primaria. Ci riesce soltanto attraverso il "rosso", che è un qualcosa che lo attira, verso cui tende e che in qualche modo gli accende degli input nella testa.
    Grazie per aver colto il potenziale :)
     
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    Questo dettaglio del rosso non l'avevo colto! Perdo colpi. :)
     
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    Gran bel racconto Emmeti. Bella trama, bella scrittura. Brava sempre :)
     
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