Il rifugio dello scrittore

Frittelle salate

Racconto noir

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    Aveva appena finito di segnare le righe per terra, Isa batté insieme le manine sporche di gesso, provocando una nuvoletta bianca che la fece sorridere. Da lì a poco la sua amica Susanna sarebbe arrivata e avrebbero giocato a campana.
    Con attenzione cercò un sasso che facesse al caso suo; non troppo grande né troppo piccolo, levigato ma non liscio perché si potesse fermare al momento giusto, nella giusta casella. Decise di fare un giro di prova; lanciò il sasso nel primo quadrato e cominciò a saltare su una sola gamba: 2 3 4 5 6 7 8 9 10 e poi indietro, si fermò sul 2, raccolse il sasso, sempre su una sola gamba e tagliò il traguardo. Era la numero uno a quel gioco, Susanna non l'avrebbe mai superata.
    Guardò oltre la siepe, quei teppistelli, i figli dei vicini, giocavano a pallone, roba da maschi. Isa stava lontana da loro, già una volta, tornando da scuola, l'avevano rincorsa deridendola.
    "Scema, scema ... " Le gridavano dietro, facendola arrivare a casa in lacrime. Isa sapeva di non essere come gli altri, aveva faticato molto e ancora, anche se era in terza elementare, aveva difficoltà a leggere. Ma non con i numeri! Con quelli era la numero uno! Proprio come a campana. Costanza si affacciò alla finestra e Isa la salutò con un gesto della mano. Dopo l'episodio dei vicini, la mamma era ancora più apprensiva, la voleva sempre sotto controllo. Aveva anche parlato con la maestra e i bulli erano stati costretti a scusarsi con lei davanti a tutta la classe. Isa aveva accettato le scuse ma aveva capito benissimo che i ragazzi non erano affatto dispiaciuti. La dicevano lunga i loro sguardi in tralice e le battutine che facevano quando erano sicuri che nessun altro oltre Isa li potesse sentire.
    Ma quel giorno, finalmente, Susanna aveva accettato di andare a giocare da lei. Isabella aveva chiesto alla mamma di preparare le frittelle salate e di comprare il succo di frutta, quello alla pera che alla sua nuova amica piaceva tanto, se lo portava sempre a scuola e quando non lo aveva, Isa le dava il suo. Susanna era la più simpatica della classe, tutte ambivano alla sua amicizia e quel giorno, dopo averci pensato un po', Susy aveva acconsentito a passare il pomeriggio con lei. Chissà se avrebbe accettato di essere chiamata Susy, Isa lo sentiva già, sarebbero diventate grandi amiche!
    Susanna camminava senza fretta verso casa di Isabella, non ne aveva voglia, tutto avrebbe preferito fare tranne passare un pomeriggio con quella deficiente che ancora non sapeva nemmeno leggere, ma la maestra glielo aveva quasi imposto “Suvvia, Susanna, prova a diventare amica di Isa, vedrai che ti piacerà! Inoltre potrai aiutarla a inserirsi meglio con i compagni di classe.”
    Sì, ma che palle! Si era riproposta di farlo solo per una volta o due, poi, al diavolo la maestra, l'avrebbe lasciata al suo insulso destino di scema. Sorridendo sotto i baffi, scorse con la coda degli occhi la testa nera della sua compagna, che saltellava nel cortile sotto casa. Le treccine, fermate con due vistosi fiocchi di raso rosso rimbalzavano sulle spalle esili. Il muretto le impediva di vedere più in basso ma Susanna immaginò che stesse giocando a campana. Almeno non le avrebbe imposto le bambole!
    Susanna, chioma bionda e viso d'angelo, odiava le bambole. Aveva sempre preferito giocare con i maschi; a palla o nascondino, mai con le Barbie o Cicciobello.
    “Un punto alla scema per la scelta del gioco!” pensò.
    Due ragazzini con i capelli color carota e il viso pieno di lentiggini si avvicinarono, erano identici ma Susanna li distingueva dato che li aveva nella stessa classe sin dall'asilo.
    Ermanno era leggermente più magro, mentre Giulio aveva lo sguardo sfuggente, quasi temesse che qualcuno potesse leggergli dentro. Ermanno teneva sotto braccio una palla da calcio e le propose di giocare assieme. Susanna scosse la chioma di riccioli biondi: purtroppo aveva promesso alla maestra che avrebbe passato il pomeriggio con Isabella, e non avrebbe potuto giocare con loro.
    “Vedrai! Diventerai scema anche tu!” disse Giulio, deridendola.
    “Potremmo divertirci un po'. Chiedile se le va di giocare a palla con noi” aggiunse Ermanno strizzando l'occhio alla ragazzina. Susanna non se lo fece ripetere due volte, si strinse nel cappottino blu e si avviò a passo spedito verso il cancello che divideva i due cortili.
    Isabella era delusa, sperava di avere Susanna tutta per lei, quel pomeriggio. Non le andava di giocare con quei due ma l'amica aveva insistito tanto e non voleva sembrarle capricciosa, proprio il primo giorno della loro amicizia.
    Si allontanò senza dire niente alla mamma, che di certo non le avrebbe permesso di andare al campetto senza un adulto.
    Il cielo era bianco, grosse nuvole minacciavano neve ma non faceva troppo freddo, erano le tre del pomeriggio e c'era ancora un'ora buona di luce per poter restare fuori.
    Isa prese per mano Susanna che si affrettò a divincolarsi, Ermanno e Giulio l'avrebbero presa in giro per tutta la vita se l'avessero vista tenere la mano a Isabella.
    Raggiunsero i ragazzini nel campetto che delimitava il paese su quel lato. Dietro una rete fittizia c'era un dirupo e, in fondo, il fiume che scorreva rumoroso e gonfio, in quel periodo dell'anno.
    I quattro decisero di giocare a palla chiamata, tutti evitavano di prendere in giro Isa che dopo pochi minuti si sentì a proprio agio, forse avrebbe invitato anche Ermanno e Giulio per la merenda, in fondo, non erano così male. Dopo qualche corsa, i bambini si tolsero le giacche ammucchiandole su un grosso sasso e continuarono a giocare. Toccava a Isabella chiamare la palla ma questa, lanciata a gran forza da Giulio, superò la rete e finì nella scarpata.
    “Tocca a te andarla a prendere!” dissero alla bimba “la palla era tua e non l'hai presa! Imbranata!”
    Isabella si mise a piangere, non voleva scendere nella scarpata, la mamma le aveva detto di non avvicinarsi al fiume, soprattutto in inverno.
    “Non possiamo tornare a casa senza la palla! Devi andare, forza! Fifona!” I gemelli insistevano, Susanna li incoraggiava annuendo.
    “Vai su! Sbrigati che tra poco nevica e dobbiamo rientrare! Tua madre starà già friggendo le frittelle!”
    Isa non poteva tirarsi indietro! Quello era il momento di dimostrare che poteva essere loro amica. Tirò su col naso e cacciò indietro le lacrime, si avvicinò alla rete mentre Giulio la teneva abbassata per farla passare dall'altra parte. Appena scavalcata la recinzione vide la palla, era vicina, un cespuglio l'aveva fermata a pochi passi da lei, poco più in basso. Mise il piede e sembrò che il terreno, seppur fradicio per le recenti piogge, tenesse, quindi, con più sicurezza scese anche con l'altro piede. Ma le scarpe inadatte la fecero scivolare e si ritrovò seduta nel fango, si girò verso gli amici per chiedere aiuto ma questi la incitarono a raggiungere la palla, dopo l'avrebbero aiutata a risalire.
    Così fece, ormai era sporca, certo la mamma l'avrebbe sgridata, tanto valeva portare a termine la missione. Scivolando sul sedere raggiunse il pallone e lo tirò con forza verso gli amici, che lo presero al volo.
    I primi fiocchi di neve iniziavano a cadere, Isa cercava di risalire ma continuava a scivolare sempre più in basso, aveva oltrepassato il cespuglio e non c'erano altri appigli a cui tenersi. I tre ragazzi, dall'alto la guardavano, ridevano e battevano il cinque l'uno con l'altro, soddisfatti dell'impresa. Si diressero verso il sasso, dove avevano lasciato le giacche, e si vestirono, il freddo iniziava a farsi sentire.
    Susanna avvolse un sasso con il giacchetto di Isa e lo lanciò verso di lei, gridando che sarebbe andata a cercare aiuto, da soli non potevano farcela. La bimba intanto sentiva il fiume minaccioso sotto di lei, il giacchetto era finito in acqua e la corrente lo stava portando via assieme a tronchi e rifiuti di vario genere. Ogni movimento che tentava la faceva scivolare sempre più in basso, il freddo le attanagliava lo stomaco e la paura di essere abbandonata in quel posto si tramutò in certezza quando vide i tre andarsene, con molta calma. Ermanno e Giulio accompagnarono Susanna a casa e dopo si rintanarono nella loro, a guardare dalle finestre la neve che intanto scendeva cambiando il paesaggio e rendendolo quasi magico.
    Costanza scese in cortile, da un po' non sentiva la bambina giocare e andò a controllare se si fosse rifugiata nel garage. La sua amica Susanna alla fine non era venuta e sicuramente Isa stava piangendo di delusione in qualche angolo. L'avrebbe rinfrancata con le frittelle e quella sera stessa avrebbe fatto un discorsetto al marito, ché voleva andare a vivere in una grande città dove Isa avrebbe potuto avere più aiuti e forse, più amici.
    La chiamò, dapprima piano, poi con voce sempre più forte e allarmata. La cercò in ogni angolo del cortile e del palazzo, suonò a tutti i vicini ma nessuno l'aveva vista. Dopo un'ora di ricerche, con il cuore pesante come un macigno si recò in caserma, per denunciare la scomparsa della figlia e chiedere aiuto.
    Ormai era buio, Isa si era raggomitolata sul bordo del fiume, non aveva più la voce per gridare, il rumore dell'acqua, comunque, copriva le sue urla. Il suo corpicino, scosso dai tremori del freddo si arrese alla stanchezza. Isa chiuse gli occhi e sognò di essere a casa, con la sua mamma, a mangiare le frittelle salate e bere il succo di pera.

    L'inverno passò, la neve si sciolse, arrivò la primavera e con lei arrivarono perfino le rondini. Costanza cercava la sua bambina, il marito era stato inquisito, e anche lei, per un certo periodo. La sua vita, la sua casa, erano state rivoltate come tasche vuote ma Isabella non era stata trovata.
    Il dolore si faceva ogni giorno più forte, l'incertezza, il dubbio su tutto e su tutti, erano pesi che non riusciva più a portare. Non si toglieva la vita solo perché in cuor suo, proprio in fondo al cuore, sperava di vederla riapparire, con le sue treccine nere trattenute dai fiocchi di raso rosso, le stesse che portava il giorno in cui era scomparsa.
    Costanza lo vide per caso, un barbone appoggiato alla porta della chiesa. Con la mano teneva il bastone come uno scettro, il ramo di un albero, forse di un olivo, intarsiato con cura e abbellito con due nastri di raso rosso.
    Luigino non ricordava nemmeno cosa volesse dire essere sobrio, da anni viveva per le strade, un po' zingaro e un po' randagio. Non capiva perché i carabinieri lo avevano arrestato: le manette gli davano il prurito e stare chiuso in una stanza gli toglieva il respiro.
    Gli facevano strane domande, su una bambina sparita. Lui non aveva visto nessuna bambina, lui amava i bambini, ne aveva avuti anche, in un'altra vita. I nastri rossi? Glieli aveva portati il fiume, anzi, erano rimasti impigliati in un ramo trasportato dal fiume e lui li aveva presi, ma se appartenevano a qualcuno poteva restituirli. "Non sono mica un ladro!" Aveva detto al maresciallo.
     
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    La poesia non ha bisogno di seguaci, ma ... di amanti

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    L'ho riletto pur ricordandomi di averlo già letto. E mi ha fatto star male per la seconda volta! Pur se tutto può sembrare assurdo, ha in sè il grande dramma della nostra società odierna, il bullismo, che porta in sè il più grande spregio nei confronti di coloro che sembrano diversi, fino alla violenza che si può manifestare in mille modi, dalle percosse, o alla indifferenza della sofferenza altrui, fino alla morte che viene percepita con una superficialità che lascia esterefatti! Perchè? Ce lo stiamo domandando da tempo in tanti, ma il fenomeno sociale prosegue imperterrito, e spesso sfugge alla attenzione degli insegnanti e degli stessi genitori.
    La triste verità è che la violenza, per alcuni ragazzi e no, sembra essere diventata un banalissimo gioco. Una specie di "sport estremo", di divertimento alternativo da praticare senza preoccuparsi troppo.
    Oggi basta accendere la televisione per essere travolti da un'ondata di violenza incessante, presente in numerosi film, telefilm e perfino nei cartoni animati.
    Molti ragazzi, ma io penso anche molti adulti purtroppo, assimilano questo tipo di messaggi e non riescono più a rendersi conto della differenza tra realtà e fantasia.
    Relativismo sociale, socialnetwork, educazione famigliare e scuola sono alle basi di tutto ciò! Bisogna incominciare ad educare in maniera diversa i nostri figli; dobbiamo far sì che imparino a conoscere gli altri e non a rifiutarli se vogliamo che fra gli stessi nasca empatia.
    Ma come, in una società che predica e pratica il contrario?
     
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  3. Liborio
     
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    CITAZIONE (Tramontana @ 4/11/2017, 17:40) 
    [cut]...
    anche se era in terza elementare,
    [cut]...
    Sì, ma che palle!

    Ho capito bene? Chi frequenta la 3^ elementare dovrebbe avere 8 anni.
    Usano (o meglio, usavano) già quei paroloni? Sono scioccato.
    Piacevole lettura, ripropone problemi sempre attuali; ieri come oggi.
    ______________________
    Perdona, lo stavo rileggendo. Un'altra osservazione, ma non so se corretta
    CITAZIONE
    2 3 4 5 6 7 8 9 10 e poi indietro,

    Tra i numeri avrei messo la virgola. Ma senti gli altri che ne pensano. ^_^
     
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    @Al44to, grazie per le rilettura :) ho ambientato questo racconto pensando ai tempi della mia infanzia, quindi circa quarantanni fa. Non c'era internet, né cellulari, io non avevo nemmeno il telefono in casa ;) Per dire che certe cose sono sempre esistite, forse se ne parlava meno o magari i nostri genitori ci rispondevano con una scrollata di spalle, non perché non gli importasse ma perchè ritenevano che dovevamo cavarcela da soli. I tempi sono cambiati ma certe dinamiche sono rimaste le stesse, forse con altri mezzi, più immediati e a talvolta più estesi, meno circoscritti per via delle moderne tecnologie.

    @Liborio, grazie anche a te per l'attenta lettura. Non so, forse c'è da considerare che vengo dalla profonda Maremma. Certo, stavo bene attenta a non farmi sentire dai miei, ma certi termini li usavo eccome! ;)
    Ho corretto sul file mettendo un trattino tra un numero e l'altro, grazie :)
     
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    Questo è il brano che, al tempo, mi ha fatto capire la tua potenza di narratrice, poiché riesci a colpire forte già dall'incipit.

    Con una perizia magistrale, esponi immagini così vivide da permettermi di sentire gli odori, le sensazioni infantili, persino tattili, i trascorsi che mi riportano, come fosse un viaggio a ritroso nel tempo, a quei momenti in cui ricordo i miei coetanei come fossero stati già adulti, navigati e crudeli, anche se attorno gli otto-dieci anni.

    La tenerezza che provoca Isa è una di quelle emozioni che fanno scattare la lacrima in un modo incontenibile, prepotente e spontaneo. Talvolta, la stessa emozione, la provo quando vedo persone anzianissime in difficoltà motorie o cognitive, palesemente arrabbiate con la crudeltà del tempo, ché non permette più di fare le cose in modo naturale, così come sono avvenute per molte manciate di anni trascorsi nell'incredulità della senilità personale.

    La tua bravura consiste soprattutto nella capacità di toccare le corde senza che tu debba esagerare con frasi noiose o ritrite, di quelle piene di parole tristi, messe di proposito, in modo "facile", come molti fanno, illudendosi che scrivere "paura" o "disperazione" siano sufficienti per trasmettere quelle emozioni. Tu dimostri che non è così, e che per trasmettere le emozioni occorre, di base, un vero sentimento provato, e che nessuno può inventare le sensazioni o la trasmissione dei sentimenti. Funziona soltanto se non c'è costruzione, se non c'è intenzione "lirica", ma semplice esternazione di quel che si prova nell'anima.
    La stessa cosa avviene in poesia, sede in cui scorgo immediatamente se i sentimenti sono veri oppure costruiti tramite forzature, che talvolta provocano l'effetto inverso, con uno "strazio" fatto di mere parole accostate, architettate, persino deludenti, quando non ridicole poiché false e stucchevoli.

    Verissima la specificazione del bullismo senza tempo, che fa parte di chi non riceve un'educazione sentimentale, fatta di carezze e attenzioni, anziché giocattoli usati come alibi del bravo genitore che "paga" i doveri, illudendosi di poter - con quelli - sostituire ciò che non sa mettere in pratica. Trattasi di bambini mai cresciuti, che si ritrovano genitori ma non sanno cosa significhi, perché loro medesimi non hanno avuto genitori adulti, davvero maturi, come quelli dei tempi andati.
    Soltanto un genitore maturo è in grado di trasmettere la tenerezza fatta di "nulla", di sguardi sinceri, di attenzioni, di ascolto e consolazione autentica, poiché spontanea, umana primordiale.
     
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    Grazie Axum, mi hai lasciata senza parole :wub:
     
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  7. EmmeTi
     
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    Concordo con gli altri.
    Avevo letto questo brano all'epoca, e l'ho riletto con piacere. Le sensazioni forti che smuove non sono scemate, anzi. Conoscendo il terribile epilogo, le rileggi con maggiore "orrore" negli occhi.
    Quello che apprezzo molto è l'uso di nomi così comuni, di ambientazioni così familiari, che ti sembra di aver udito questa storia dalla tua vicina di casa, dunque la percepisci molto vicina e la vivi con maggiore trasporto.
    Complimenti :)
     
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    Molto bello. Mi era piaciuto molto all'epoca. L'ho gustato a maggior ragione rileggendolo. :)
     
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  9. Brigata Kobra
     
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    Bello, semplice, e il finale mi è piaciuto, io non avrei saputo chiuderla così bene!
     
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    Grazie Brigata Kora, per la lettura e per il commento :)

    Edited by Tramontana - 25/1/2018, 12:33
     
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    "A trattar le persone secondo il merito, chi mai si salverebbe dalle frustate?"

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    Una storia che ha nella semplicità la sua forza. Oggi in effetti non ci si stupisce più nel leggere storie di bullismo anche peggiori, ma nel periodo in cui l'hai ambientato, avrebbe fatto scalpore il sadismo e soprattutto l'omertà dei tre ragazzini. Molto ben scritto e ti faccio solo due piccolissimi appunti: sempre ripensando a com'era essere bambini negli anni '70 e '80, non mi suonano espressioni come "Sì ma che palle" e “Un punto alla scema per la scelta del gioco!” dette da una bimba di allora: sembrano leggermente più "adolescenziali". Oggi no, si sente anche di peggio...
     
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    “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi.” Albert Einstein

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    @Tramontana
    sono senza parole e ringrazio Brigata Kobra e K che l'hanno
    "riesumato"!
    Confesso che non lo avevo ancora letto, e perderlo mi sarebbe dispiaciuto molto.
    Veramente un pezzo scritto da professionista del racconto, a dimostrazione che hai
    una qualità al di fuori del comune.

    Bravissima.
     
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    Grazie Kishu e Stone, troppo buoni.
    Vorrei mandare questo racconto a un concorso:poi vi racconto ;)
     
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  14. Esterella
     
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    Ciao tramontana, questo è il tuo primo racconto che leggo. Devo dire che hai grandi capacità narrative, hai catturato l' attenzione fin dalle prime righe.il tema è molto attuale, hai saputo con uno stile molto semplice, ma molto efficace raccontare una storia di bullismo che porta addirittura alla morte di una bambina. Complimenti, a rileggerti. :fiori:
     
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    Ciao Esterella. Grazie per la lettura e per l'apprezzamento :)
     
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16 replies since 4/11/2017, 17:40   197 views
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