Il rifugio dello scrittore

Che cos'è l'editing

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    Ho traslocato da lì anche questa disamina, perché ci tengo in modo particolare. Ho fatto una commistione con un tratto che avevo già scritto nel post di presentazione.


    Carissimi,

    non immaginate quante volte ho incontrato persone convinte che l'editor sia una sorta di critico, un secchione che stravolge i testi altrui e, che per farlo, usa i gusti personali. Ebbene no, l'editor non è un critico letterario: la prima regola, la prima cosa che impara colui che diventa editor (non ci nasce, purtroppo) è: Metti in una gabbia d'acciaio i tuoi gusti personali, altrimenti farai un lavoro pessimo.

    L'editing è un'arte e una scienza al tempo stesso. Un editor che fa "di testa sua" non è un editor, al massimo è un fantasioso intruso.

    L'editing non è la correzione di bozze, mansione ben affidabile a una persona attenta e competente che, spassionatamente, può rimuovere ogni sorta di imperfezione aliena alla buona sintassi.
    La lingua italiana è molto complessa, e sovente i creativi credono che i propri pensieri, così come sono esposti, siano di sicuro comprensibili a chiunque.
    L'editing è analisi approfondita delle congruenze, della logica narrativa, della verosimiglianza dell'esposto, la proposta di forme differenti che possano catturare un maggior numero di lettori, sia per il dono della scorrevolezza e sia per la mancanza di ridondanze tediose, o di descrizioni esposte come fossero la lista della spesa.
    Una cura particolare va dedicata ai cosiddetti dialettalismi, ché assalgono lo scrittore nei momenti più intensi, quando i pensieri fluiscono come ruscelli che convergono nel medesimo lago o nella grandezza del mare aperto. I dialettalismi sono traduzioni istantanee dalle forme con cui ci esprimiamo col dialetto locale o con quello che siamo costretti ad ascoltare ogni giorno. Non basta tradurre le parole: occorre trasformare la sintassi, l'uso spropositato di pronomi, aggettivi, i modi di dire che tanto fanno ridere i nostri concittadini, ma che lasciano di ghiaccio altri italiani. Abbiamo una lingua standard ed è a quella bella signora che dovremmo porgere il massimo rispetto, altrimenti chi scrive a Torino non farà capire nulla (della storia che racconta) a un lettore che vive e gioisce ad Agrigento. Sì, perché l'Italia è stretta ma è mooolto lunga, e talvolta bastano anche soli cinquanta Km per non capirsi, anche se due soggetti si sforzano di usare la lingua standard. La differenza sta nelle sintassi "locali" e persino nella semantica usata dai due.

    L'editing è ancora molto, molto più che questo. È la segnalazione di quel che risulta reboante, ampolloso, macchinoso, colmo di pleonasmi o di ossimori infelici.
    È concertazione delle eventuali anafore, e d'ogni altra figura retorica in cui l'autore si immerge compilando, a volte, autentici polpettoni, uno di quei cibi notoriamente avversi alla buona digestione.

    L'editor, quello vero, conosce, per l'esperienza acquisita e per gli studi specifici che fa prima di affrontare il "mestiere", tutto ciò che riguarda il comportamento del lettore, le reazioni automatiche, le forme che lo distraggono, la psicologia dei più. Più, cosa? Più numerosi, quelli che, attraverso studi approfonditi, basati su campioni, si sono rivelati, e si rivelano, con un comportamento esattamente uguale, fine a sfiorare l'identicità. Uguale a cosa?
    Uguale a centinaia di migliaia di altri lettori.

    La persona che "taglia e basta", non è un editor, al massimo è un redattore che sorveglia altri redattori minori, e insegna loro qualche piccolo passo in più per erudire i piccoli correttori di bozze, virgulti che mirano all'arte dell'editing. Senza la preparazione, senza i dovuti anni che portano a un titolo, si rimane correttori di bozze, perché nessuno può fare un bell'edificio, stabile, resistente e sicuro, se non ha studiato Architettura (per la creatività) e Ingegneria (per la sicurezza).

    L'editor sta all'autore come il regista sta all'attore, passando dal soggettista e dunque dalla trama/storia vergata in forma di sceneggiatura.
    Usiamo il termine editor perché in lingua non c'è ancora un lemma dedicato con precisione, e quindi molti credono che l'editor sia un redattore passivo o, peggio, un correttore di bozze. Un redattore passivo scrive quel che gli è stato dettato o addirittura imposto.
    Be', quello è un altro film.

    Faccio editing da 33 anni e, all'inizio, quando un canuto fece il primo editing al mio primo pezzo di prova creativo, ci rimasi di cacca, e pensai: "Ma cosa crede, questo qui, che io non sappia scrivere? O che io non sappia esternare i miei pensieri?".
    In seguito capii che con quell'editing mi aveva insegnato più cose di quante ne avessi apprese in 6 anni di università. Lui, quel "vecchio", mi aveva spinto a conoscere me stesso, a controllarmi, a immedesimarmi e soprattutto a non pensarmi come un giudice, e a tenere il tono basso, senza illudermi di sapere tutto, o di avere poteri sovrannaturali.

    Qui, in forum, quello che io concretizzo non è l'editing che faccio nell'ambito lavorativo; è una forma appassionata di libera trasmissione della conoscenza, quella acquisita negli ultimi 30 e più anni sul campo.
    In massima chiarezza, ciò che faccio è: mentre opero, tento - anche - di far capire ogni "perché" dell'operato, affinché l'autore ne possa trarre profitto intellettuale.

    L'autore, autonomamente, non potrà MAI e dico MAI, sapere che cosa c'è nel suo brano. O meglio: lui crede di saperlo, ma ciò che lui crede di aver espresso è, per il lettore, tutt'un'altra cosa, diversissima.
    L'editor prende "le parti" di entrambi: autore e lettore, al fine di mediare il messaggio originario dell'autore nel modo più cristallino possibile. Ergo: se senza editor, giunge al lettore un 20% degli intenti, al contrario, con un editor che media le due parti, avviene che la trasmissione originaria dell'autore giunge al lettore con un buon 80%. Di più non è possibile, perché persino due persone che si parlano direttamente, si trasmettono (se sanno intendersi) un max di 60 - 70 % degli intenti comunicativi e gli annessi contenuti.

    Un editor non fa "atti soggettivi"; li fa col massimo dell'obiettività, basandosi su cose lampanti, condivise ad ampio raggio e, come direbbe il figlio di mia nipote: "aggiusta le cose per farle capire a tutti".

    Non vorrei essere nei tuoi panni, O tu che sei arrivato fino a questa riga, ma il caffè fa miracoli!

    Edited by Axum - 28/1/2018, 16:26
     
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    La poesia non ha bisogno di seguaci, ma ... di amanti

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    Ci sono arrivato a quella riga caro Axum, e non ho bisogno di caffè, perchè mi ha allertato non addormentato.
    Ora ho l'idee più chiare e non posso che approvare tutto ciò che hai detto.
    Ecco perchè molto spesso leggendo dei romanzi, trovo difficile seguire ciò che lo scrittore sta dicendo, ecco perchè mi tocca a tornare indietro pagine per capire; credo, anzi ne sono certo, che questi signori non hanno avuto un buon editor.
    Ho studiato diversi anni fa scienza delle comunicazioni, ed hai ragione! Spesso quello che una persona dice credendo che il suo pensiero sia comprensibile, arriva invece in maniera completamente diversa a chi ascolta o legge!
    Grazie per questa breve ma importante precisazione.
     
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    Bellissimo e chiarissimo!
    Finalmente delle precisazioni e un po'di luce su cosa fa l'editor. Troppo spesso passa per correttore di bozze, ma è come dare del sarto di alta moda a un chirurgo: ci sono sempre di mezzo un ago e un filo, ma il resto...
     
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    Ho una profonda ammirazione per chi fa questo lavoro.
    In queste righe, che ho letto fino alla fine senza bisogno di caffeina, si sente tutto l'amore per il tuo lavoro.
    :abbraccio:
     
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3 replies since 31/10/2017, 23:43   68 views
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