Il rifugio dello scrittore

Una storia vissuta...

... e adattata per un racconto incompleto

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    Avevo iniziato il racconto qualche mese fa, in un thread con cui un utente propone un'immagine e gli altri si ispirano e scrivono una storia basata sull'immagine.

    parigi

    Scoprire Parigi


    Bei tempi, quelli delle Citroën Pallas e delle Deux Cheveaux, gli anni 70 del Novecento. Le due auto rappresentavano i poli opposti: i benestanti spocchiosi e la povera gente, ricca di spirito, così dicevamo.
    Ero uno dei poveri, turista apparente che, dopo un bel migliaio di chilometri in autostop, aveva raggiunto la città dei pittori scapestrati, degli artisti di strada e del romanticismo. Peccato che ciò che cercavo concretamente fosse un lavoro, anche da sguattero, per sbarcare il lunario e magari guadagnare qualche franco per poi raggiungere Londra.
    Adocchiai quella che sembrava una caffetteria: Chez Marcel e fu il mio primo obiettivo; entrai ed esordii.
    «S'il vous plaît, un café».
    Marcel era dietro al banco, col grembiule umido e un sorriso artefatto; strofinava per bene un bicchiere. Dopo avermi squadrato, mi invitò. «Asseyez-vous, j'arrive». Non c’era nessun altro.
    Appoggiai il mio zaino in tela militare accanto la sedia di legno e lo sistemai in modo che non cadesse, o che io stesso non ci inciampassi, tanta era l'emozione di quel momento. In silenzio, mi gustai i profumi del locale, e tentai di dimenticare l'umidità che ormai mi aveva avvolto fin nei calzini, e oltre...
    Non avevo mai visto la torre, e ne ero rimasto inquietato: sembrava una ragnatela aliena, un corpo estraneo al paesaggio, che non mi permetteva di tenere lo sguardo al suolo; Mi ci abituerò, pensai tentando di consolarmi.
    «Ệtes-vous allemand?»
    «Non, monsieur, je suis italien, par Verona»
    «Veronà? Oui, je la connais bien: Juliette et Roméò!» disse soddisfatto, come avesse scoperto l'America.
    Poggiò il caffè sul tavolino, e pensai che quella brodaglia era la pena da scontare a favore di quel che non riuscivo a dire a Marcel. Lui, come se mi avesse letto nel pensiero, urlò verso la tendina che dava sul retro. «Carlò?».
    Spuntò un uomo calvo, coi baffetti, panciuto e non più alto di un metro e mezzo, che si aggiustò alla meglio il grembiule a pettorina, piuttosto macchiato.
    «Uagliòne, tu si italiano?»
    Sollevato, a causa del mio francese da strapazzo, trattenni la voglia di abbracciarlo.
    «Sì, Carlo, di Verona».
    «E comme te chiami?»
    «Gli amici mi chiamano Axum...».
    «Comme? Axumme? E ca'nomm fosse?». Senza ritegno, guardò Marcel e poi scoppiò in una risata da platea. «Io song napulitane». Marcel si girò da un'altra parte, come intimidito.
    «O'bbuò nu cafè 'e casa mia, fatto cu 'a caffettièr?»
    Ero sicuro che me lo avrebbe domandato... Carlo era convinto che io, in quanto italiano, capissi il suo esternare partenopeo, e in quel momento era così: lo capivo. Non ebbi modo di rispondere, e lui continuò.
    «Arò vai stanotte? Hai pigliato 'na pensione? Staje in albergo?».
    «No, Carlo, ho il sacco a pelo, dormo dove mi capita...».
    «Uagliòne ma staj pazziànn? Comme faj si chesta notta chiove n'ata vota?».
    Già, aveva ragione, perché di sole, lì a Parigi, non ce n'era già da tre giorni. Mi lanciai a capofitto.
    «Carlo, io sto cercando un lavoro, e magari un angolino al coperto, per dormire tranquillo...»
    «Marselle ha levato o' cartiell propeto ieri, isso cerca nu' lavapiatti, ma nun ha trovàt nessuno, io song cuoco...» Quella volta lo interruppi io, e gli chiesi di mettere una buona parola.
    Gettai giù la brodaglia ormai fredda, feci una smorfia, poi gli mostrai tutto l’interesse che meritava.
    «Davvero glielo chiederesti?».
    «Cà problema c'è? Jé dico ca' si mie nipote! Tu me vorresti comme zio? Ma si, ppe dormì c'è 'o magazzino. Mo vaco a parlà cu 'o capo.».
    Non fece in tempo a voltarsi e, con la coda dell’occhio, scoprì che Marcel lo stava interrogando con lo sguardo, e Carlo cambiò espressione. Si avvicinò a lui, poi presero a bisbigliare in francese. Carlo gesticolava come fosse alle olimpiadi di nuoto, e Marcel annuiva, poi si illuminò, e mi chiamò a sé con un cenno della mano. Mi alzai di scatto e lo raggiunsi. Mi disse che dovevo accettare la paga, senza discutere, e che potevo dormire nel magazzino delle verdure, così avrei fatto anche da guardia notturna; se avessi sentito rumori strani, avrei telefonato alla Gendarmerie. Aggiunse che con la prolunga mi avrebbe messo il telefono accanto l'orecchio. Dovevo essere pronto alle sette in punto, già lavato e pettinato. D’istinto mi toccai i capelli lunghi e cercai di immaginare come fossero conciati in quel momento; non li pettinavo da una settimana, mi bastava un po' d'acqua, e sarebbero diventati invisibili. Noi biondi abbiamo i capelli sottili, che non si arruffano mai, e farci una coda è questione di tre secondi; ci basta un elastico qualsiasi.

    Continua... forse.

    Consulenza linguistica sui discorsi diretti di Carlo a cura della nostra Alessia Mignola
     
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    Gran pezzo. Ricorda un pò l'epoca in cui i diari di viaggio costituivano una parte
    centrale del panorama letterario, in questo caso condito da una atmosfera alla
    Jack Kerouac in salsa Bohemienne...

    Ok basta darsi arie da critico da quattro soldi. Mi è piaciuta davvero tanto e
    riuscire a tirar fuori una storia da una semplice immagine è una impresa notevole.

    Ma per curiosità è una storia davvero "vissuta"? Si dice che la vita reale fornisca
    i migliori ingredienti e se così fosse, questo ne sarebbe sicuramente ulteriore prova.
     
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    Altroché, Xartin: hai fatto centro, perché a quell'epoca, ispirati da On the road, noi capimmo che era realmente possiibile viaggiare per l'Europa anche senza soldi, facendoli "lungo la strada", giusto per nutrirci e comprare cose utili.

    Eravano anzitutto avversi alle mode, che costringevano molti giovani a sentirsi "pezzenti", o sfigati, solo perché non vestivano alla moda. Quindi ci inventammo il Casual, ovvero pochi stracci, solo per non andare in giro "nudi". Per stracci intendo un paio di jeans che durava "mille anni", una camicia usata e soltanto ritoccata per farla diventare aderente, una giacca pesante in inverno, di quelle che i militari dismettevano; al posto dei fregi mettevamo spillette fatte da noi stessi. Poi: scarpe di cuoio a stivaletto, indistruttibili, capelli senza pettinature né "tagli comandati" dalle mode. Quando vedevamo quelli che andavano dal parrucchiere, ci sganasciavamo dalle risate, e così facevamo con quelli "tutti in tiro", coi "basettoni lunghi", il loden e le scarpe a punta.
    Infatti, sebbene abbigliati in stile boémien, le ragazze preferivano noi, non "loro", anche perché eravamo sinceri, spontanei, sempre gentili, generosi senza secondi fini, senza "maschere di atteggiamento". La nostra forza era dentro, non in un vestito o in un modo di atteggiarsi, e funzionava. In una frase: eravamo noi stessi, non "qualcun altro da emulare" solo perché compariva sui giornali o in TV.
    A noi, quel modo di proporsi, faceva sganasciare dalle risate.
    Ovvio: eravamo una buona metà, non eravamo "tutti" così. L'orientalismo c'era anche allora, ma guardavamo l'India.

    Sì, è tutto vero, tranne un dettaglio: non sono mai stato biondo (semplice desiderio irrealizzato). ;) Marcel era "François", ma il cuoco era così.
     
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    Eh eh penso di poter, in parte, condividere questo desiderio di volere
    "essere sè stessi", specialmente in confronto a "loro"

    La mia generazione è stata però più sfortunata, visto che le ragazze
    hanno sempre preferito "loro" Mala tempora currunt (sed peiora parantur)
    per dirla alla latina. Dopo di noi non c'è ancora stato il diluvio però,
    a dispetto dei cambiamenti climatici.

    E sempre per citare un altro romano, Marziale, "vive due volte chi sa godere
    del passato" Mi farebbe molto piacere poter leggere altre avventure
    "On the road" (o sur la rue) quando dovessi postarle.

    Edited by Xarthin - 13/11/2017, 09:04
     
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    “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi.” Albert Einstein

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    Gemello, condivido ogni singola tua affermazione, con una profonda nostalgia, ma con la felicità nel cuore nel poter dire: c'ero anch'io!
     
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  6. Liborio
     
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    Sei un maestro!
    Con sacco a pelo e pochi soldi, ma sempre mitico.
    Mi era sfuggito 'sto post. In questa fase di sterilità, sono queste le letture che mi aiutano.
     
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    Purtroppo non ho fatto queste esperienze, le ho vissute con i racconti di mio marito che ha suonato la chitarra e cantato Guccini per i parchi di Londra. Erano altri tempi, immagino. I giovani di oggi non partono senza una poste pay nel borsello e senza chiamare la mamma ogni sera (posso aggiungere, da mamma, per fortuna?)
     
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    CITAZIONE (Tramontana @ 13/11/2017, 17:00) 
    Purtroppo non ho fatto queste esperienze, le ho vissute con i racconti di mio marito che ha suonato la chitarra e cantato Guccini per i parchi di Londra. Erano altri tempi, immagino. I giovani di oggi non partono senza una poste pay nel borsello e senza chiamare la mamma ogni sera (posso aggiungere, da mamma, per fortuna?)

    Bé erano i tempi prima della globalizzazione, di Internet, e dell'amorevole abbraccio di Papà Erasmus e mamma UE.
     
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  9. Giulia Glorani
     
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    Ma che bel pezzo! Spero sarà solo l'inizio di qualcosa che proseguirà in modo ancora più speciale! Aldilà che io sia di Verona =), ho appezzato particolarmente questa nota retrò che dai al tuo testo, un po' vintage, un po' color seppia, come una vecchia fotografia in bianco e nero. Mi piace il taglio che gli hai dato...spero di leggere presto il seguito! I dialoghi sono molto ben riusciti e la punteggiatura morbida e fluida conferisce una bella "melodia" di sottofondo. Ti auguro una buona giornata!
     
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    La poesia non ha bisogno di seguaci, ma ... di amanti

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    Io non c'ero, anche se avrei potuto, ma non era lo spirito di avventura che mi mancava era la mia incapacità poi ad adattarmi alle situazione impreviste e poi a 18 anni appena diplomato, lavoravo già e pochi anni dopo, compiuti i ventitrè anni ero già sposato e l'anno dopo ero già papà! Come era diversa la vita, allora venivamo messi troppo presto di fronte a responsabilità alle quali non eravamo preparati ...oggi pare, per contro, che ai nostri giovani non si voglia permettere di diventare adulti.
    Comunque il racconto l'ho apprezzaro tantissimo e mi piacerebbe, dato che sembra il prologo di un romanzo, leggerne anche il prosieguo; mannaggia ecco il brutto dei racconti, sul più bello finiscono!

    Edited by al44to - 21/11/2017, 10:32
     
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9 replies since 23/10/2017, 19:57   80 views
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