Il rifugio dello scrittore

Un libro rosa non rosa

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  1. Artæ
     
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    Salve a tutti ragazzi! Come promesso, inizio a pubblicare in questo nuovo forum! Presto passerò a leggere e commentare le vostre cose, tranquilli... è solo che ho poco tempo, le 24 ore di una giornata non mi bastano per fare tutto quello che vorrei!

    Questo è un pezzetto del mio terzo romanzo, "Storia di un viaggio in America". In realtà non è proprio rosa, anche perché probabilmente è l'unico genere che posso dire di non amare :lol: . Diciamo che analizza un personaggio (Cheyenne), e per farlo ho messo come sfondo una storia con il protagonista, ma era solo un espediente per introdurla da un punto di vista esterno. In ogni caso il pezzo tratta di un appuntamento, quindi direi che è la sezione giusta! Spero vi piaccia!


    ****

    Si era infilata in un vestito elegante. Niente di particolare, un tubino nero. Un tubino nero vecchio, potevo vederlo da metri di distanza, ma per i suoi soliti standard era addirittura esagerato. Nessuna traccia di tutte le lunghe collane che portava di solito, degli anelli, delle fasce in fronte. I capelli li aveva raccolti, sempre alla meno peggio. Aveva de-agghindato i sopracitati dreadlocks, e quasi non si notavano in mezzo al groviglio castano. Trucco per nulla esagerato, solo un po’ di matita per far vedere che, se non altro, ci aveva provato.
    “Allora, Yankee? Come sto?” mi accolse quasi saltellando, dopo avermi abbracciato senza alcun ritegno.
    “Da sollievo” scherzai. Ma a dire la verità, non mi piaceva messa così.
    Mi prenderete per incontentabile. Non è vero: lei stava bene con tutto. E più passavano i giorni, più mi importava solo di quanto mi piacesse, non come apparisse. Quella sera, poi, era vestita adatta e non avrei potuto chiedere di meglio. Però vedevo, sentivo che quello non era il suo stile. Infatti stonava con il suo modo di comportarsi. Mi sentivo quasi di averla imprigionata in un involucro non adatto, ero colpevole di averle tolto la libertà.
    “Yankee, l’ho fatto per farti un piacere. Sappi che non puoi cambiarmi, quindi abituati all’altra, vera me, perché se è questo quello che cerchi, non posso accontentarti”
    Lo mise in chiaro e ne fui immensamente felice. Per un attimo, avevo quasi avuto voglia di accompagnarla a casa e farle indossare tutti suoi vestiti colorati e la chincaglieria. Glielo dissi, lei rise felice e mi disse che no, per una volta poteva sacrificarsi.
    Un’altra cosa che mi dava fastidio di quel vestito corto e seducente era che mostrasse con brutalità quanto più giovane lei fosse di me. O, perlomeno, apparisse. Non sapevo quanti anni avesse, ma contavo almeno una decina in meno di me.
    “So che non è charmant chiederlo, ma posso sapere quanti anni hai?”
    Le buttai lì la domanda mentre ci incamminavamo verso la mia auto. Il posto era un po’ fuori mano.
    “Non puoi chiederlo, ma non perché non è charmant”
    “E quindi perché?”
    “Perché mi piace farti ipotizzare”
    Rise sotto i baffi e, di nuovo, mi lasciò nell’incapacità di replicare. Poi, però, aggiunse:
    “Maggiorenne, comunque, se è questo che ti stavi chiedendo. Largamente maggiorenne. Ed è l’unica cosa che a te deve importare”
    Lo disse sempre ridendo, per nulla offesa o sulla difensiva. Io lasciai perdere.
    Come per tante delle cose che non sapevo di Cheyenne, davo in qualche modo per scontato che lei, col tempo, mi avrebbe reso partecipe, per questo gettavo la spugna facilmente. Anche qui, mi sbagliavo, ma di questo si parlerà in seguito.
    Per ora rimaniamo alla cena.
    Quando arrivammo, eravamo in perfetto orario. Come piaceva a me. E come non piaceva per niente a lei: provò a farmi perdere tempo con la scusa di sistemarsi il trucco in macchina.
    Quando entrammo, comunque, erano già tutti lì. Ovviamente: perché erano tutti mie copie sputate e nessuno si sarebbe permesso di arrivare qualche minuto dopo.
    Il posto, effettivamente, era parecchio di classe. Sui toni scuri, luci soffuse blu, camerieri gentilissimi e vestiti di tutto punto. Avevamo una sala privata. Eravamo tantissimi, almeno una trentina di persone.
    D’improvviso, vedendoli tutti lì assieme di fronte a noi, afferrai la mano di Cheyenne. Non so perché. Volevo trattenerla o volevo salvarmi io stesso?
    “Sudi freddo, Yankee” mi fece notare barbaramente.
    “Lo so”
    “Calmati. È solo una diavolo di cena”
    Annuii ma non la mollai, e lei non diede segni di insofferenza. Semplicemente, dopo pochi passi, aggiunse:
    “Dio mio, tutti così impettiti… dovevo portare la chitarra e farvi sciogliere un po’. Scommetto che se uno di voi cade si frantuma”
    Non aveva moderato il suo solito volume di voce, ma nessuno parve fare caso alla sua osservazione. A parte me, che ridevo e cercavo di darmi un contegno.
    “Non credo che avresti trovato un pubblico entusiasta”
    “Il pubblico non è entusiasta di per sé, lo si entusiasma. Avrò tanti difetti, Yankee, ma questo lo so fare”
    E non lo mettevo in dubbio, effettivamente.
    A quel punto, si avvicinò a noi la prima invitata ad essersi accorta della nostra presenza. Da quel momento, fu un boom: molti dei miei colleghi vennero a chiedere chi fosse la mia compagna e a scannerizzarla, neanche fosse una pratica legale. I superiori vennero a stringerci la mano e a dirci di accomodarci.
    Non so bene chi osò porre la domanda, ma qualche disgraziato lo fece, e io mi sentii sprofondare nel pavimento:
    “Come si chiama la fidanzata?”
    Primo: non era la mia fidanzata. Non che ci fosse nulla di male, ma provavo il tipico disagio imbarazzato della nuova relazione, tra l’altro non dichiarata, per cui avrei voluto prendere a schiaffi quello che lo disse. Solo col senno di poi so che, comunque, il disagio non era corrisposto: a lei non interessava o, forse, l’aveva sempre dato per scontato, dal momento in cui per la prima volta le avevo buttato una moneta nel cappello.
    Secondo ma non meno importante: non avevo idea di come Cheyenne si chiamasse. E avvedermene lì, davanti a tutti, boccheggiando come un pesce, non è stata certo una bella sensazione.
    Fu lei, come al solito, a venire in mio tempestivo soccorso e a salvarmi:
    “Maria” rispose, tutta felice.
    Gli altri le strinsero calorosamente la mano e io tirai un sospiro di sollievo.
    Per un attimo, mentre andavamo a metterci seduti, ero anzi addirittura contento di aver saputo il suo nome.
    “Maria, eh?” le sussurrai all’orecchio.
    Lei alzò le spalle.
    “Ovvio che no. L’ho inventato”
    Ci rimasi male, ma allo stesso tempo ero divertito. Anzi, col passare dei minuti, ero contento che non avesse detto il suo nome: perché a questo branco di sconosciuti avrebbe dovuto rivelarsi con tanta facilità e a me invece no?
    Non si chiamava Maria, quindi, e già dopo una manciata di istanti ne ero sicuro fin dentro l’anima.
    La conferma arrivò presto, perché nel corso della serata, con qualsiasi persona si presentasse, diceva di chiamarsi in modo diverso. Quando me ne accorsi, ero imbarazzato. Lei invece passava con tutta tranquillità dall’essere Maria a Elenoir, da Betty a Sara.
    “Ma di che ti preoccupi? – mi rise lei nell’orecchio – questa gente si scorda il mio nome tre secondi dopo che lo dico”
    Ero shockato e divertito al tempo stesso. Avevo creduto che cambiarla d’abito le avrebbe impedito di burlarsi del mondo? Grosso sbaglio.


    Eravamo seduti vicini e la serata andò molto meglio di quel che credessi.
    Cheyenne era vivace e intratteneva tutti i nostri vicini. Davvero: rideva, scherzava con tutti, sempre spontanea, gesticolava all’inverosimile e i miei colleghi non parevano scandalizzati, come invece avevo ipotizzato. Credo tuttora fossero ingannati dal suo vestito elegante.
    Quel che li divertì di più, fu che lei aveva dato un soprannome a tutti. Aveva iniziato con:
    “Per favore, mi passi l’acqua?” rivolta al biondino che avevamo di fronte, un ragazzetto che tra l’altro mi stava particolarmente antipatico. Lui lo fece e Cheyenne tuonò:
    “Grazie, Jack!”
    Lui rise.
    “Jack? E da dove l’hai tirato fuori?”
    Intervenni io.
    “Le piace… inventare soprannomi”
    E lo fece davvero per tutta la sera, con qualsiasi persona le rivolgesse la parola.
    Ero sconvolto. Non dal suo comportamento: quello ormai me lo aspettavo. Ma dal fatto che gli altri la trovassero divertente. Avevo avuto paura che la compatissero, invece nessuno si comportava male con lei. Anzi: Cheyenne pareva avere il dono di trasformarli tutti in persone normali, di tirarli fuori da quella loro natura di automi in cui anche io ero intrappolato. Quella sera, iniziai ad ammirarla. E a vederla per quello che era: uno spasmo di vita in mondo di malati terminali.


    Fece appena un passo fuori dal locale, e già si era slegata i capelli e tolta le scarpe.
    “Oddio, che fai?” ridevo a crepapelle. Credo c’entrasse anche il vino.
    “Questi tacchi… se trovo chi li ha inventati lo mangio”
    E camminò a piedi nudi fino alla macchina, incurante della ghiaia del vialetto.
    “Dovresti provare anche tu! Massaggia i piedi!”
    Inutile dire che non provai e, anzi, tentai di inseguirla pregandola di rimettersi le scarpe. Non lo fece.
    Mentre eravamo in macchina, le chiesi se si fosse divertita.
    “E tu?”
    “Io? Più del dovuto”
    “Mi fa piacere, Yankee. C’è speranza, allora. Anche per i tuoi colleghi. Sono tipi a posto”
    Risi, mentre mi godevo le vie cittadine deserte nella notte.
    “Non hai mangiato niente” le feci notare, sentendomi un po’ in colpa. In realtà, ho sempre avuto questa tendenza ad un senso di colpa congenito ed imperituro.
    “Deve ancora venire il giorno in cui io mangerò lumache”
    Risi, ancora. Stavo ridendo decisamente troppo per i miei standard.
    “Non erano male”
    “Ma per piacere! E quelle porzioni da uccellino, poi? Ho bisogno di cibo, non di scatolette per cani”
    Credo si riferisse al paté.
    Effettivamente, Cheyenne non era tipo da porzioni di lusso, nemmeno un po’: era snella, ma di certo non scheletrica. In quel momento pensai che avesse un bel culo. E vidi di tenermelo per me, nonostante il Château Latour in circolo.
    “Vuoi che ti porti a mangiare qualcosa?”
    Lei mi picchiò forte una mano sulla coscia.
    “Sarebbe epico, Yankee!”
    “Dove vuoi andare?”
    “Esattamente lì”
    Ed indicò fuori dal finestrino un venditore ambulante di panini. Eravamo nella zona dello stadio.
    Frenai e la accontentai senza fare domande. Lei non volle rimettersi le scarpe, quindi ci presentammo dall’incredulo venditore in vestiti eleganti e a piedi nudi. Entrambi, sì… mi aveva obbligato a toglierle parlando di ventilare i piedi, o qualcosa del genere. Non so ancora come riuscì a convincermi, ma di nuovo, credo che l’alcool c’entrasse qualcosa. Avevo bevuto troppo. Lei aveva bevuto troppo. Avevamo bevuto troppo.
    Comunque, ordinò due panini giganteschi e ci fece mettere dentro tutte le schifezze che le capitavano all’occhio. Credo che se solo avesse sbagliato, inserendo gli ingredienti in ordine diverso, quei due affari sarebbero anche potuti diventare esplosivi e tramutarsi in armi improprie.
    Ci accomodammo sulle panche davanti al venditore, venendo ogni tanto raggiunti dalle urla di giubilo provenienti dall’interno dello stadio. Doveva essere una bella partita, ma non ero amante dello sport.
    Lei, intanto, aveva ben deciso di riaprire il panino e schizzarci dentro quasi l’intero tubetto di ketchup che aveva trovato sul tavolo. Quando addentò quel mostro, dai bordi iniziò a uscire tutto il ripieno.
    E io ridevo come se non avessi mai riso in vita mia. Quella sera vedevo tutto ciò che faceva tremendamente bello. Anche il suo modo disgustoso di nutrirsi.
    “Sai – le confessai ad un certo punto – non capisco come fai”
    “A fare cosa?” chiese lei a bocca piena, pulendosi l’angolo delle labbra da una goccia di salsa.
    “A essere così… spontanea. A non curarti di quello che pensano gli altri”
    Inghiottì. E, a quel punto, mi guardò fisso. Portò i suoi grandi occhi marroni nei miei e mi disse qualcosa che non dimenticherò mai:
    “Preferisco rischiare che gli altri mi ritengano stupida piuttosto che infelice”
    Nel momento in cui lo disse, la invidiai. Volevo anch’io pensarla così. Ma mi era impossibile.
    “È così importante mostrarsi felici?”
    “Oh, certo, Yankee! È il senso della vita”
    In quel momento, le persone iniziarono a uscire dallo stadio e venimmo interrotti.
    Cheyenne si mise a festeggiare insieme a gruppetti di tifosi della squadra vincitrice. Che, ebbe cura di dirmi quando dopo ci ritrovammo di nuovo in macchina, non era nemmeno la sua squadra.
     
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  2. Liborio
     
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    È semplice notare la tua familiarità con lo scrivere.
    Avanzo un ipotesi, è l'inizio di quel che dovrebbe essere qualcosa di interessante, non rosa: no, non credo.
    Un appunto personale; shock è una parola inglese, la lascerei tale, inserendone un'altra nel contesto. Ma, ripeto e sottolineo, è solo una mia riflessione.
    Brava!
     
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  3. Artæ
     
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    Grazie mille di tutto! :rolleyes:
    Sì è vero, rileggendolo quel termine non piace nemmeno a me, cambierò!
    E no, come ho detto non è fondato sulla storia romantica. Avrei potuto mettere tranquillamente una storia tra due amiche, ad esempio. È più che altro psicologico, direi!
     
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    La poesia non ha bisogno di seguaci, ma ... di amanti

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    Vista la premessa del rosa, inscurito dallo psicologico, mi sono apprestato a leggerlo, dicendomi: " perchè lo fai? Poi lo lasci a metà! "
    E invece no! L'ambientazione, la buona per non dire ottima rappresentazione della stessa, della scorrevolezza dei colloqui e sì, per il gioco psicologico dei due personaggi, sono arrivato fino alla fine e per questo di debbo fare i miei complimenti.
    Come dice Liborio non sei certo alle prime armi come scrittrice!
    Ad maiora!
     
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  5. Artæ
     
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    CITAZIONE (al44to @ 12/11/2017, 00:49) 
    Vista la premessa del rosa, inscurito dallo psicologico, mi sono apprestato a leggerlo, dicendomi: " perchè lo fai? Poi lo lasci a metà! "
    E invece no! L'ambientazione, la buona per non dire ottima rappresentazione della stessa, della scorrevolezza dei colloqui e sì, per il gioco psicologico dei due personaggi, sono arrivato fino alla fine e per questo di debbo fare i miei complimenti.
    Come dice Liborio non sei certo alle prime armi come scrittrice!
    Ad maiora!

    Grazie mille! Scusa il ritardo, davvero, non ho risposto subito e poi mi è passato di mente! Ma ti sono veramente grata di tutto! :)
     
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  6. Obliter
     
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    Ciao Artae! :)

    CITAZIONE
    Niente di particolare, un tubino nero. Un tubino nero vecchio...

    Personalmente, non apprezzo questa ripetizione.

    CITAZIONE
    “Yankee, l’ho fatto per farti un piacere.

    Anche qui non adoro la ripetizione. Qui però c'è una differenza. Se hai voluto enfatizzare il modo di esprimersi della ragazza, alquanto grossolano, ti faccio i complimenti, in caso contrario modificherei.

    CITAZIONE
    “Sudi freddo, Yankee” mi fece notare barbaramente.

    Io avrei optato per un altro avverbio.

    Questo capitolo fila liscio e i dialoghi sono ben scritti. La trama generale del romanzo è facilmente intuibile a meno che non siano presenti colpi di scena alla Christopher Nolan.
    Diciamo che non sono riuscito ad apprezzare fino in fondo il brano, è comunque un capitolo intermedio di un romanzo, credo sia normale.
    Mi piacerebbe leggere altro, magari il primo capitolo, per farmi un'idea migliore.
    Seguirò sicuramente i tuoi prossimi scritti.

    Ottimo lavoro, a rileggerci! :lol:
     
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  7. Artæ
     
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    CITAZIONE (Obliter @ 2/12/2017, 01:11) 
    Ciao Artae! :)

    CITAZIONE
    Niente di particolare, un tubino nero. Un tubino nero vecchio...

    Personalmente, non apprezzo questa ripetizione.

    CITAZIONE
    “Yankee, l’ho fatto per farti un piacere.

    Anche qui non adoro la ripetizione. Qui però c'è una differenza. Se hai voluto enfatizzare il modo di esprimersi della ragazza, alquanto grossolano, ti faccio i complimenti, in caso contrario modificherei.

    CITAZIONE
    “Sudi freddo, Yankee” mi fece notare barbaramente.

    Io avrei optato per un altro avverbio.

    Questo capitolo fila liscio e i dialoghi sono ben scritti. La trama generale del romanzo è facilmente intuibile a meno che non siano presenti colpi di scena alla Christopher Nolan.
    Diciamo che non sono riuscito ad apprezzare fino in fondo il brano, è comunque un capitolo intermedio di un romanzo, credo sia normale.
    Mi piacerebbe leggere altro, magari il primo capitolo, per farmi un'idea migliore.
    Seguirò sicuramente i tuoi prossimi scritti.

    Ottimo lavoro, a rileggerci! :lol:

    Grazie mille del commento!
    Inizio col dire che concordo con le segnalazioni!
    E poi ti tranquillizzo: sì, i colpi di scena alla Nolan ci sono ahahahahahahah :D non fantascentifici, come genere rimaniamo sempre sulla narrativa generica, ma psicologici sì, e io ho cercato di dare del mio meglio! Nolan è il mio regista preferito proprio perché ha un gusto molto affine al mio e crea trame che avrei voluto inventare io. Anche le mie, quindi, sono sempre permeate da questo stile, con colpi di scena, finali a sorpresa con indizi durante il libro, analisi psicologiche e spesso anche un tipo di narrazione non lineare. Magari è più palese con trame fantascientifiche, ma si può fare tranquillamente anche con cose più "terra a terra" :D (o almeno ci ho provato!)
     
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  8. Obliter
     
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    Un motivo in più per leggere questo romanzo. :P
     
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7 replies since 19/10/2017, 12:37   80 views
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