Il rifugio dello scrittore

Le streghe di Belthram

parte I

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  1. EmmeTi
     
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    1486. Contea a sud di Bradford, Inghilterra.

    Poco dopo l’alba, le tre amiche Marione, Rohesia ed Elinor giunsero alla sponda del fiumiciattolo del villaggio con alcune ceste di panni da lavare. Il cielo era affollato da grevi nubi plumbee, l'aria settembrina era fresca ma non ancora gelida, sebbene un vento schietto e pungente si levasse a tratti.
    Le sorelle Agata e Amaranta stavano strofinando i panni nell'acqua limpida del fiumiciattolo già da un po', quando videro arrivare le altre e si raddrizzarono per salutarle. Avevano i capelli scomposti, le dita gonfie e violacee, gli orli delle vesti annodate vicino alle caviglie perché non si bagnassero e il respiro accelerato per l'affanno.
    «Ci siete soltanto voi oggi?», chiese Marione, lasciando cadere la sua cesta sul terreno umidiccio.
    «Le altre sono rimaste al villaggio». Agata si portò un ciuffo dei biondissimi capelli dietro l'orecchio destro, inumidendolo. Poi prese una veste, messa a mollo in un barile di legno, e la batté su una roccia per iniziare a strofinarla.
    Le cinque donne si disposero l’una accanto all’altra, come erano solite fare, e un silenzio dai toni sinistri le avvolse, interrotto soltanto dal cantare sporadico di uccelli e dal fragore costante del fiumiciattolo nel suo letto. Aleggiava, infatti, una sordida quanto severa drammaticità nell’aria, e la si poteva percepire dai loro sguardi assenti, dai loro gesti privi di naturalità, dai movimenti rallentati o sospesi a causa di un pensiero fugace o di un ricordo improvviso.
    «Sono ancora tutte scosse per il rogo di ieri?». Marione ruppe il silenzio.
    Aveva le guance arrossate, l’espressione severa e la bocca alterata da un broncio perpetuo. Portava una cuffia bianca in testa che le raccoglieva i capelli intrecciati, legata sotto il mento con una forza tale da renderle difficoltoso persino l’atto del parlare. Mai come in quegli ultimi anni, infatti, l’arancione intenso della sua chioma l’aveva esposta ai giudizi infausti della gente del villaggio, indottrinata da leggende ancestrali sull’indissolubile legame fra questo colore e la mano del Male.
    Le sorelle non risposero, abbassarono gli sguardi e proseguirono con il lavaggio dei panni, ancora intrisi di cenere e grasso.
    «Io non ci sono andata in piazza. Non ce l'ho fatta… ma posso dire di aver sentito le loro urla dalla mia camera da letto». Elinor, poco distante da Marione, aveva iniziato a dividere le sue vesti da quelle del marito, con un leggero tremore; in nemmeno tre mesi, era già la quinta esecuzione che il Consiglio organizzava nella piazza principale, e ogni volta che il massacro si ripeteva, ella si chiudeva in casa a pregare, e si torturava le dita con gli spilli, affinché il suo animo espiasse quei peccati che nemmeno sapeva di aver commesso.
    «Io ci sono andata, eccome. Avessi visto come fingevano di essere pentite, di essere cambiate. Come piangevano e si aggrappavano alla folla! Con gli occhi spiritati, iniettati di sangue, sudice e maleodoranti! Eppure, soltanto due settimane fa avrebbero giurato sui loro defunti di non aver mai copulato con il diavolo. Perché è questo che fanno le streghe, lo sapete? Le streghe sono lussuriose, sono provocatrici, vivono nude, si accoppiano tra loro e strillano incessantemente come le mie gatte in calore». Proseguì Marione con fare distaccato e altisonante, pronunciando ogni sillaba quasi a denti stretti perché emergesse schietto il suo disgusto.
    «Sotto tortura affermeremmo qualunque cosa, persino di essere state sulla luna». Ribatté Elinor, a testa bassa, col suo solito fare remissivo. Aveva il viso piccolo e tondo, di un bianco lattescente, cosparso da vene bluastre in rilievo, sul quale spesso prevaricavano, su naso e bocca, i grossi occhi cerulei, umidi e tenui, tanto da sembrare traslucidi.
    «No, io no! Io non potrei mai dire di essere una fattucchiera, perché nemmeno sotto tortura mi abbasserei a tanto! Nemmeno se mi infliggessero le peggiori sofferenze umane mi dichiarerei complice delle loro pratiche becere e immorali!». Marione era quasi sobbalzata per il forte disappunto provocatole dall’amica. In passato, spinta dal rifiuto verso il proprio rutilismo, aveva persino provato a rasarsi la testa, poi a tingersi i capelli di nero, a usare parrucche di crine di cavallo e, infine, a strofinarli con estratti di erbe urticanti, tanto da farsi sanguinare le mani e il cuoio capelluto.
    «Io… non so quanto potrei resistere. Sono convinta che cederei, cederei subito. Riesci a immaginare il dolore che si prova quando ti strappano le unghie? O quando ti schiacciano i seni con le pinze arroventate? Ho sentito che alcune le hanno messe in dei sacchi e le hanno lasciate dondolare appese agli alberi per dei giorni, fino a che non sono impazzite. Per non parlare delle sedie chiodate! O della punizione del topo! La conosci? La conoscete? Ebbene, ti cuciono un topo nella… », allungò una mano tremula tra le gambe, sfiorando appena la veste.
    «E quando questo inizia a dar di matto per uscire, ti scava la carne con le unghie! Ti lacera da dentro!». Elinor strabuzzò gli occhi cerulei e diede fiato a quell’ansia che le lievitava in petto da mesi. «Oppure ti legano a una sedia e ti fanno dei tagli sulle gambe e sulle braccia, tagli profondi, e ti lasciano morire dissanguata: “perché il male esce dal corpo attraverso il sangue”, è così che dicono! Io non potrei mai sopportare atrocità simili… mai! Ammetterei di essere colpevole senza nemmeno ascoltare le accuse». Lacrime di angoscia le si affollarono agli angoli degli occhi e sporadici spasmi iniziarono a percorrerle quel corpo poco sviluppato, da bambina.
    «Ma di cosa hai paura? Perché non provi a calmarti? Alle torture ci mandano soltanto le streghe! Le brave donne come noi possono stare tranquille! Non lo vedi? Tutte quelle che il Consiglio accusa e processa si rivelano colpevoli! Il Consiglio ci libera di quella feccia immonda e di tutti i loro vizi, le loro danze esoteriche, le loro risate volgari e desideri depravati! Ah, quanto gioisco ogni volta che ne trascinano una sulle cataste di legna e l’accendono come una torcia zuppa di pece!».
    Elinor, allora, scattò in avanti, come un piccolo criceto impazzito, e le strinse le braccia con le mani, avvicinandole il viso ormai scomparso sotto le enormi iridi vacue.
    «Nessuna di noi è al sicuro, lo vuoi capire? Nessuna di noi può sfuggire al Consiglio! Se solo un individuo del villaggio, anche il più stolto, il più inetto o il più inutile degli inutili andasse a raccontare in giro che tu raccogli erbe nel bosco, che vai al cimitero di notte o che parli chi sa quale lingua sconosciuta, il Consiglio verrebbe a prenderti nel letto mentre dormi e ti appenderebbe a una quercia dentro un sacco!».
    Marione rimase dapprima immobile, sopraffatta dall’incredulità del gesto, poi allargò le braccia e allontanò Elinor con le mani.
    «Il Consiglio sa quando una donna è onesta e innocente! Lo comprende appena la vede entrare in aula! E sa quando, invece, è corrotta e logora nell’animo. Ricordi quando è nato il figlio di Tommy? Ricordi la forma a zucca della sua testa? E le pecore di George Muller? Nate tutte cieche… chi credi che sia stato? Sono loro che hanno reso Molly e Lily sterili, che hanno fatto avere a mia sorella tre aborti! Per non parlare delle figlie del mugnaio, tutte morte perché troppo belle e desiderate! ».
    «Le figlie del mugnaio erano malate dalla nascita, si sapeva che non avrebbero raggiunto l’età fertile!». Rispose Elinor, scrollando il capo sconsolata.
    «Io dico che non tutte quelle che sono state portate al rogo, erano colpevoli. Dico che molte di loro erano innocenti, proprio come noi! E che potremmo finire sul rogo esattamente come loro se non stiamo attente!». Urlò, stringendo i pugni.
    «Non abbiamo mai udito alcunché di strano su Rosomond e la madre. Venivano al fiume, al mattino, a lavare i loro panni, ci incontravamo spesso al mercato, dove compravano il minimo indispensabile per sopravvivere. Non le ho mai viste col corpetto o con la scollatura abbassata, e da quando le conosco non hanno mai saltato una messa. Come puoi essere così convinta che fossero colpevoli? Forse non le vedevi anche tu in chiesa? Non le vedevi al mercato?».
    «La migliore strega è quella che sa camuffarsi a dovere, è quella che non provoca sospetti in nessuno! Pensi che le vere megere camminino per strada scollacciate o non vadano a messa? Sarebbero oltremodo stupide! E poi non spetta a noi riconoscere il male che covano, ma spetta soltanto al Consiglio. E il Consiglio non sbaglia mai».
    «È per questo che ti tingi i capelli di nero?».
    Agata, alle sue spalle, si era sollevata per svuotare il barile e non aveva esitato ulteriormente a intervenire nel discorso in modo lapidario.
    «Le streghe non esistono, sono un’invenzione dell’uomo. Come fai a credere al Consiglio? Pensi davvero che se esistessero si lascerebbero torturare come bestie al macello? Non pensi che invocherebbero il diavolo per liberarsi?», continuò.
    «Ma di cosa parli? In che mondo vivi?». Fu l’anziana Rohesia a prendere parola, raddrizzando la schiena anchilosata.
    «Le streghe non vengono protette dal diavolo, ne sono soltanto le serve, e quando finiscono nelle mani benedette del Consiglio, non diventano altro che inutile scarto. Cosa ci guadagnerebbe il diavolo a salvare le sue serve? Lasciarle ardere nel fuoco è un po’ come richiamarle a sé».
    Rohesia non aveva che una cinquantina d’anni, ma ne dimostrava almeno venti di più. Era una donna all’antica, molto rigida con se stessa e, soprattutto, con le figlie. Ne constatava, infatti, la verginità personalmente, ogni settimana, e le costringeva a lunghe letture della Bibbia, nonché a sporadiche frustate sulla schiena così da mortificare la carne e allontanare il peccato. Ormai vedova da più di dieci anni, aveva sposato le ragioni del suo credo cattolico in pieno, convincendosi dell’incontestabile capacità della donna di indurre l’uomo al peccato, agendo come arma intrinseca del demonio. Ella sosteneva che la donna fosse in difetto per indole naturale, poiché in grado di suscitare pensieri impuri nell’uomo già soltanto con le sue fattezze fisiche e che quindi dovesse censurarsi e imparare a camuffare la propria natura difettosa.
    «Io mi tingo i capelli perché ho avuto la sfortuna di nascere col più infausto dei colori, e non si dica che per colpa sua io debba essere associata alle streghe!», rispose Marione ad Agata, ormai in piedi e con il corpo rivolto nella sua direzione.
    «Dunque, vedi? Elinor ha ragione nel dire che siamo tutte in pericolo, dalla prima all’ultima. Persino noi che siamo le più corrette e insospettabili del villaggio dovremmo temere la follia dell’uomo, che senza alcun criterio sarebbe in grado di accusare la propria moglie o le figlie di stregoneria e assistere compiaciuto alla loro morte ».
    Agata era alta e longilinea, aveva un viso molto delicato, labbra carnose, di un rosso naturale e gli occhi di un celeste tanto chiaro che le iridi sembravano punte di spilli. La sorella Amaranta, che le stava di fianco, condivideva con lei la stessa figura slanciata e il chiarore degli occhi: erano le giovani più belle e contese del villaggio.
    «Invece di pensare alle ragioni degli uomini, dovreste impegnarvi ad essere meno appariscenti e coprirvi i capelli, soprattutto tu, Amaranta, che li hai più rossi di Marione. Il diavolo non aspetta altro che scovare anime innocenti e corromperle con le sue promesse. Le streghe, in fondo, sono donne deboli, senza spina dorsale, incapaci di rinnegare il loro seduttore e allontanarlo. Purtroppo sono ovunque. Finiremo tutti all’inferno se non avremo la forza di scovarle e segnalarle al Consiglio». Rohesia non vedeva di buon grado le due sorelle, forse perché le figlie avevano iniziato ad imitarle, lasciando i capelli sciolti o passandosi del colore sulle labbra, perché affascinate dal loro modo tanto femminile di presentarsi. O forse perché aveva sognato di avere il loro corpo giovane e rigoglioso, come germogli di riso ancora immersi nell’acqua; aveva sognato di giocare con dei lunghi capelli color fieno, di essersi specchiata nel ruscello, essersi morsa le labbra pulsanti di un rosso acceso, di aver incrociato lo sguardo di alcuni uomini vigorosi e di averne desiderato il tocco sulla pelle: fu quello il giorno nel quale si svegliò in un bagno di sudore e, convinta di essere stata sfiorata dall’alito del diavolo, aveva promesso a Dio di abbandonare ogni vezzo e ogni abbellimento del corpo, fino alla morte.
    Ad un tratto, la giovane Amaranta, rimasta in disparte fino a quell’istante, spinse la pesante botte di legno colma d’acqua sporca verso il letto del fiume, il quale si immerse e risalì a galla con un forte tonfo.
    «Se le streghe esistessero davvero, darebbero fuoco agli uomini prima ancora che questi abbiano il tempo di bussare alle loro porte. Le streghe non esistono e tutte le donne finite sul rogo a invocare pietà verso il cielo erano innocenti».
    Sua sorella Agata, Marione, Elinor e Rohesia le indirizzarono lo sguardo attonito, ognuna per un motivo diverso.
    «Dunque anche Rosomond e la madre erano innocenti? Non erano streghe? Sostieni questo?», le chiese Rohesia, alzando il tono della voce. Amaranta non rispose, si mise ritta e andò verso il barile, spingendo le gambe nude nell’acqua, per afferrarlo e trascinarlo indietro.
    «Sbaglio o eravate amiche, tu e Rosomond?». Intervenne Marione.
    Durante i discorsi precedentemente imbastiti dalle altre, la giovane era pian piano scivolata in una densa pozza di amarezza e nostalgia, lasciando che questa la smorzasse come la fiammella di una candela e la isolasse da tutto il resto. Gli occhi le si erano inumiditi e arrossati, il viso le si era gonfiato di una sordida mestizia e percepiva un forte bisogno di allontanarsi. Sapeva, però, che Agata non sarebbe stata d’accordo su tale dipartita, e aveva deciso di restare e sopportare.
    Tornò sulla riva, si rimise accovacciata e una lacrima le rigò il viso, ma repentinamente l’asciugò con la manica della veste arrotolata sull’avambraccio sinistro. Non rispose alla domanda di Marione con le parole, ma si limitò a fare un cenno di assenso con il capo: dopo il suo arrivo con la sorella nel villaggio, Rosomond era stata la prima e forse l'unica ragazza con la quale aveva legato. Erano diventate amiche e confidenti, avevano passato molto tempo insieme a ricamare o impastare pane al forno comune; inoltre avevano trovato il modo di esorcizzare le giornate uggiose e monotone, raccontandosi favole e aneddoti, proprio come due bambine. Il volto marmoreo, violaceo per il terrore e disfatto dall’angoscia per le torture subite, era stato l’ultima cosa che Amaranta aveva visto di lei, poco prima delle implacabili fiamme.
    «Non hai paura che ti ricolleghino a lei e ti accusino di qualcosa?», proseguì Marione accentuando sia il broncio, sia quel disprezzo che caratterizzava ogni sua parola.
    «Amaranta non ha nulla da temere. È una brava moglie, una brava massaia e tutto il villaggio lo sa», intervenne la sorella Agata, che aveva colto il tentativo di ripicca trasversale della donna per le insinuazioni sul colore dei suoi capelli.
    «Anche Rosomond sembrava una brava moglie, una fanciulla innocua, delicata e innocente. Chi mai avrebbe immaginato che aggiungesse sangue di serpente alle zuppe e recitasse messe nere nei cimiteri?».
    «Queste sono le baggianate inventate dai vicini per allontanare lei e la madre da casa e prendersi tutto l'orto confinante. Rosomond non ha mai fatto del male a nessuno. Era generosa con tutti e... ». Amaranta si zittì quando Agata le tirò il laccio della veste senza farsi vedere, e ingoiò le parole come densa melassa bollente.
    «Faresti meglio a non difenderla. Noi siamo tue amiche e ti conosciamo, non potremmo mai sospettare di te, però questo non vale per tutti. D’altronde le streghe si circondano di altre streghe», concluse Rohesia, ripiegandosi lentamente su se stessa per raggiungere le vesti bagnate.
    «Chi è fattucchiera, prima o poi, viene scoperta. È questa la verità!», concluse Marione scandendo ogni singola lettera con la bocca parzialmente sdentata, mentre Elinor mugugnava in disparte, farneticando tra sé e sé.
    Fu allora che le due sorelle iniziarono a raccogliere le loro cose, svuotarono le botti, slacciarono i nodi delle vesti per coprire le caviglie intirizzite e, dopo aver salutato le altre con forzata cortesia, risalirono lungo il leggero pendio del prato spoglio e raggiungere lo stradone principale.
    Intanto il vento spazientito raccoglieva energia negli anfratti delle rocce o negli antri vuoti di cave abbandonate e galoppava verso la valle, lasciando presagire l'arrivo d'una forte tempesta.
     
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  2. Obliter
     
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    Ciao EmmeTi!
    Sono curioso di scoprire se il racconto proseguirà nella direzione dell'orrore storico o virerà verso il paranormale. A breve leggerò anche la seconda parte, lì riceverai, ovviamente, un giudizio complessivo.
    Non segnalo sviste o errori grammaticali semplicemente perché non ne ho percepiti, vi è solo un aggettivo che non mi fa impazzire: biondissimi, riferito ai capelli di una ragazza.
    Il racconto mi è piaciuto, tuttavia, ho da sottolineare alcuni passaggi che non adoro:
    1. Il riferimento alla Luna trovo sia di connotazione molto moderna, mi ha decontestualizzato momentaneamente l'epoca del racconto;
    2. Alcune descrizioni (soprattutto nella parte iniziale) sono pesanti e ricche di aggettivi. Vi sono casi in cui adoro questo fenomento (Tolkien) e casi in cui sento un freno alla lettura, come se il ritmo si spezzasse momentaneamente;
    3. Questa prima parte è davvero lunga e priva di colpi di scena, non mi ha particolarmente incollato allo schermo.

    Lodo invece i dialoghi, ben scritti e comprensibilissimi. Si nota che hai effettuato numerose ricerche, hai la mia stima per questo, un buon racconto deve avere sempre un'ottima base conoscitiva.
    Ottimo lavoro! :D

    - Obliter.
     
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    “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi.” Albert Einstein

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    adoro questo tuo scritto, e l'ho riletto con molto(issimo) piacere

    grande pezzo.
     
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  4. EmmeTi
     
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    Ciao Obliter!
    Scusami se ti rispondo solo adesso ma non mi ero proprio accorta del tuo commento!
    CITAZIONE
    Il racconto mi è piaciuto, tuttavia, ho da sottolineare alcuni passaggi che non adoro:
    1. Il riferimento alla Luna trovo sia di connotazione molto moderna, mi ha decontestualizzato momentaneamente l'epoca del racconto;
    2. Alcune descrizioni (soprattutto nella parte iniziale) sono pesanti e ricche di aggettivi. Vi sono casi in cui adoro questo fenomento (Tolkien) e casi in cui sento un freno alla lettura, come se il ritmo si spezzasse momentaneamente;
    3. Questa prima parte è davvero lunga e priva di colpi di scena, non mi ha particolarmente incollato allo schermo.

    Ti ringrazio! Allora, per quanto riguarda la Luna, devo dire che scrivendo non ho percepito dei riferimenti "fuori luogo", nel senso che non mi sembrava decontestualizzata, poiché all'epoca (parlo di un basso Medioevo inoltrato) le persone sapevano della presenza della Luna e il fatto che per loro fosse impensabile arrivarci l'ho trovato plausibile. Poi, in effetti, rileggendolo, mi sono accorta che la nostra mente tende a proiettarsi verso contesti più moderni o "futuristici" quando si parla di viaggi sulla Luna, quindi comprendo la tua annotazione.
    Per quanto riguarda le descrizioni pesanti e la lunghezza della prima parte, devo dire che ormai rientrano in uno stile che mi accorgo di aver maturato nel tempo. Nel senso che ogni volta che scrivo qualcosa, mi viene fatto notare che la scrittura è pesante e i prologhi prolissi. Credo dipenda dal fatto che amo descrivere nel dettaglio le ambientazioni in modo articolato e che mi piace prolungarmi nelle fasi iniziali in modo da creare una solida base sulla quale costruire tutto il resto. Ma posso capire che non piaccia a tutti.
    Ad ogni modo sto cercando di modificare questi aspetti della mia scrittura perché noto che in generale non piacciono molto. :)
    Spero tu legga la seconda parte e mi faccia sapere cosa ne pensi, visto che sei un veterano della sezione horror!
    A presto.

    @Stonestein
    GRaaaaaazie! Come per le altre volte. Sei davvero gentilissimo.
    Mi fa tantissimo piacere sapere che la trovi una lettura interessante. :D
     
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3 replies since 19/10/2017, 11:26   46 views
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