Il rifugio dello scrittore

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    L'amena cittadina di Bloomburg, nella contea di Boerland, Pennsylvania, sarebbe stata certamente un'ottima località di villeggiatura per gli aristocratici e i ricchi della vicina Harrisburg: candidi e lussuosi edifici in stile vittoriano, gente ospitale e accogliente, verdeggianti colline punteggiate qua e là da pittoreschi mulini a vento... Ottima davvero.
    Solo un piccolo neo da niente: la nebbia.
    Una grigia, sottile, impalpabile nebbia che spirava dai canali paludosi dietro Halsmore Hill e avvolgeva puntualmente nelle sue fredde e umide spire le case, le ville aristocratiche, la chiesa di St. Frederick, il municipio, le scuole... Una scuola in particolare.
    Una vecchia scuola privata, un collegio per i giovani rampolli altolocati della città, sita sulla sommità della collina di Halsmore Hill e ormai abbandonata.
    Non senza motivo.
    Gli abitanti di Bloomburg evitavano come la peste il vecchio Holy Cross Institute, ormai da tutti ribattezzato Never-Back Institute; persino gli stranieri arrivati in città per caso o per curiosità imparavano prima o poi a ignorare quel rudere così inquietante e spettrale, che con la sua torre dell'orologio incombeva sulla città simile a un'enorme forca da impiccagione.
    Là dentro, qualcosa di spaventoso e raccapricciante era accaduto, qualcosa che ormai si era perduto nelle memorie del tempo, ma che nonostante ciò ancora trasudava da quelle scialbe pareti scrostate spingendo gli incauti visitatori a segnarsi o a mormorare scongiuri ogni qualvolta capitavano nei paraggi.
    Gli abitanti di Bloomburg semplicemente si limitavano a non parlarne, alzando sinceramente le spalle di fronte alle insistenti domande dei curiosi e rispondendo con calma che non avevano idea di cosa fosse accaduto in quel rudere.
    Del resto era vero: nessuno sapeva nulla del Never-Back Institute e nessuno voleva saperne nulla. Fin quando quella specie di lugubre stamberga malandata se ne stava lì appollaiata sulla collina come un sinistro uccello del malaugurio senza dare fastidio a nessuno, andava tutto bene.
    Fin quando la gente se ne stava al sicuro a Bloomburg senza bazzicare nelle vicinanze di Halsmore Hill e ficcanasare, allora non c’era di che preoccuparsi.
    I problemi si presentavano se il tetro rintocco della campana dell'orologio risuonava improvvisamente dalla sommità della collina, spandendosi come un'ombra fosca sulla città ogni qual volta qualcuno si addentrava in quei meandri fatiscenti.
    E mai, mai nessuno aveva fatto ritorno dopo quella campana.
    Tuttavia erano anni ormai che il grande orologio diroccato non suonava più. Ma tutti sapevano che, prima o poi, quei rintocchi oscuri sarebbero tornati, annunciando l'ennesima vittima di quella scuola maledetta...


    "Wow" mormorò London, gettando un'occhiata al di là dell'antico cancello arrugginito e serrato da catene "Visto da vicino questo posto mette un'allegria..."
    Pony annuì, accennando un vago sorriso alla battuta ironica del ragazzo.
    In altre circostanze avrebbe riso di cuore, senza curarsi se la battuta fosse o meno divertente: London era divertente già di suo, gli bastava semplicemente dire qualcosa di insensato per far scoppiare a ridere l'intera compagnia.
    Tuttavia, la giovane sentiva una sorta di peso dentro, come una voragine di ghiaccio all'altezza del petto che inghiottiva qualsiasi tentativo di distrazione.
    'A quanto pare il Never-Back si mangia anche le risate, oltre alle persone...' pensò, rabbrividendo al solo pensiero del luogo in cui si trovava.
    "E dai, Pony... È un comunissimo rudere, non una sedia elettrica!" esclamò London, accompagnando il tutto con un sorrisone a trentadue denti che implorava l'amica di scoppiare a ridere e mettere fine all'angoscia irradiata da quell'edificio.
    A peggiorare il tutto, ci si metteva anche la nebbia delle paludi lì dietro, in quel punto decisamente più fitta e impenetrabile che in città.
    "Magari scopriamo che un'organizzazione criminale usa questo posto per nasconderci i bottini delle sue malefatte... E con dei macchinari strani produce la nebbia che serve a rendere spaventoso e spettrale il tutto!"
    "E la gente che sparisce da due secoli entrando lì dentro?" ribatté Pony, incrociando le braccia con aria scettica.
    "Beh... I criminali fanno fuori quelli che entrano... Perché non dicano in giro cosa hanno visto..." azzardò l'altro, in difficoltà.
    La ragazza sbuffò.
    "Da due secoli? E chiaramente i criminali vivono tra queste quattro mura fatiscenti, senza acqua, luce, riscaldamento, cibo... Ti ricordo che non si è mai vista una luce dietro quelle finestre, London! E non esistono auto capaci di arrivare fin qua su senza il minimo rumore, né macchinari in grado di produrre nebbia senza fare un casino allucinante... Piantala con le stronzate: ne hanno dette abbastanza in duecento anni, non serve aggiungerne altre!" sbottò prendendo a gesticolare come faceva di solito quando perdeva la pazienza e si innervosiva.
    London stette in silenzio.
    In quel momento, l'unica cosa che realmente voleva era andarsene, tornare a casa e continuare a ignorare quelle rovine così inquietanti, come facevano tutti.
    "Senti... Se Hoppels non arriva entro cinque minuti ce ne andiamo, ok?" propose, sperando di calmare l'amica.
    Lei annuì, lanciando l'ennesima occhiata timorosa alla torre che incombeva sopra di loro.
    Assomigliava a una sorta di versione più piccola e diroccata del Big Ben, in linea con lo stile neogotico della scuola, con il grosso quadrante biancastro rotto e spaccato in più punti, le guglie annerite e corrose dal tempo e le statue orribilmente sfigurate dalle intemperie.
    'Non suonare... Ti prego non suonare... Giuro che se lo fai me la dò a gambe!' pregò tra sé, rivolta alla campana in agguato nella cella del campanile.
    Come se potesse realmente sentirla.
    "Un minuto... Ancora un minuto..." mormorò London, preferendo il rassicurante e luminoso orologio del suo Iphone a quello cupo e minaccioso cinquanta metri sopra di lui.
    "Un minuto a cosa?"
    I due ragazzi trasalirono e si voltarono di scatto, prontamente inondati dal fascio di luce di una grossa torcia.
    "C-chi è l-là?" gridò London battendo le palpebre e con il cuore a mille.
    Una risata maschile risuonò dietro la torcia sempre più vicina.
    La luce si abbassò, rivelando la sagoma di due persone ancora immerse nella nebbia.
    "Tranquilli, ragazzi... Sono io!"
    Entrambi emisero un sospiro di sollievo: davanti a loro, il professor Hoppels emerse dalla nebbia seguito da un'altra, imponente figura.
    "Nero? Anche tu vieni con noi?" chiese Pony meravigliata.
    "Così pare..." brontolò Nero, visibilmente turbato.
    Anche lui, intuì Pony, doveva sentirsi a disagio di fronte a quei cancelli arrugginiti e insidiati dai rampicanti che incombevano dietro di loro.
    "James alla fine ha accettato di unirsi a noi per la nostra ricerca" spiego Hoppels, avanzando verso le sbarre corrose e piegate dal tempo e gettandovi attraverso un'occhiata distratta. "Non voleva lasciarvi andare soli soletti nel tenebroso Never-Back…"
    Il professore ridacchiò e cominciò ad armeggiare con le pesanti catene arrugginite avvolte attorno alla serratura del cancello.
    London, Pony e Nero lo raggiunsero, ciascuno con il battito cardiaco alle stelle.
    I loro corpi sembravano volerli trascinare via da lì, come percepissero un pericolo che poteva porre fine alla loro vita...
    "Prof... Le catene tengono chiuso il cancello..." osservò London, aggrottando le sopracciglia confuso.
    "Sì... E allora?" rispose Hoppels, continuando a svolgere le catene tra mille stridii sinistri e raccapriccianti.
    "Se sono entrati altri prima di noi... Com'è possibile che il cancello sia chiuso?" domandò il ragazzo, spostando lo sguardo dal professore a Pony, ma evitando accuratamente di guardare Nero.
    "Scusa... In che senso?" chiese l'amica, dubbiosa.
    London sbuffò spazientito.
    "Quale intrepido avventuriero sano di mente entrerebbe là dentro e si chiuderebbe il cancello alle spalle... Preoccupandosi addirittura di incatenarlo?"
    L'ultima spanna di catena si infranse con un violento clangore sul selciato, echeggiando nella calma innaturale che avvolgeva le rovine.
    I tre ragazzi e il professore tacquero, improvvisamente raggelati.
    Con un lento e sinistro gemito di cardini, il cancello si aprì verso l'interno, come sospinto da una leggera brezza.
    Peccato non spirasse alcuna brezza e la nebbia fosse di un'immobilità quasi irreale...
    "Dobbiamo proprio?" chiese Pony con un sottile tremolio nella voce.
    Hoppels sbuffò.
    "Per favore, Liza! È un rudere, non una sedia elettrica!"
    London sghignazzò mentre Pony storceva il naso irritata.
    Una sorta di verso impacciato scaturì anche da Nero, ma London continuò a ignorarlo preferendo guardare da tutt'altra parte, verso l'edificio tenebroso che si ergeva di fronte a loro.
    Il professore scansò la catena con un calcio, producendo un fracasso agghiacciante e facendoli sobbalzare tutti e tre.
    "Avanti, dietro di me!" esclamò, puntando il fascio di luce dritto sul viale pietroso e insidiato dalle erbacce.
    I quattro, preso un respiro profondo, oltrepassarono il cancello e si immersero nella nebbia percorrendo la stradina polverosa e grigia che si inerpicava su fino allo spiazzo antistante l'ingresso della scuola.
    Ogni schiocco delle radici calpestate, ogni crepitio della ghiaia sotto i piedi, tutto rimbombava per pochi attimi nel silenzio assoluto, prima di essere inghiottito inesorabilmente da quella spessa e impalpabile nebbia grigiastra.
    Nero, già ingobbito, si strinse nel suo maglione di lana.
    "Comincia a fare freddo..."
    "Già" fece eco Pony "non sarei dovuta venire in maniche corte... Ma del resto che temperatura ti aspetti in un posto del genere?"
    Nero alzò gli occhi verso il grande portone di quercia scrostato sempre più vicino, e scosse la testa brontolando qualche scongiuro dei suoi.
    London nel frattempo aveva raggiunto Hoppels, già in procinto di salire i gradini sbeccati che conducevano all'entrata.
    "Professore..."
    "Dimmi, Fred..."
    "Ehm... È proprio indispensabile questa ricerca? Voglio dire... C'è un motivo se questo posto è abbandonato da secoli..."
    Hoppels si fermò con un piede sul primo gradino, costringendo il ragazzo a fare lo stesso.
    "Fred, lo so benissimo il motivo... E in quanto insegnante posso garantirti che si tratta di una credenza sciocca e irrazionale! Perciò noi entreremo lì dentro, troveremo le informazioni che ci servono e proveremo che non ha senso temere un vecchio rudere malandato..."
    "Maledetto vorrà dire..."
    La voce cupa di Nero proruppe dietro di loro, simile al ronzio di un alveare.
    Gli altri due ragazzi li avevano raggiunti, fermandosi tuttavia a due passi di distanza da loro.
    Pony si stringeva convulsamente nella sua maglietta, gettando di tanto in tanto occhiate di sbieco alla facciata cupa sopra di lei.
    "Prof... Forse dovrei andare a casa a prendere una giacca... Non immaginavo che a inizio settembre avrebbe fatto così freddo..."
    "No Liza, abbiamo già perso troppo tempo" ribatté immediatamente Hoppels, ponendo già il piede sul primo gradino "adesso andiamo!"
    Con quest'ultima nota particolarmente perentoria, salì in fretta la decina di gradini che lo separavano dal portone irto di crepe e graffi, e cominciò a già saggiarne l'apertura.
    London guardò prima gli amici dietro di lui, poi l'insegnante in cima alla scalinata, e sospirò.
    "London, dai... Siamo ancora in tempo..." la voce grave di Nero sembrò quasi implorarlo, come del resto la sua espressione. E l'espressione di Pony.
    Il ragazzo scosse la testa.
    "No. Andiamo con lui."
    E si inerpicò anche lui su per le scale cosparse di terra e foglie morte, senza aspettarli.
    Dopo un attimo di esitazione, anche Nero ricacciò indietro gli scongiuri e scattò in avanti dietro all'amico, i passi mitraglianti nel silenzio di quella nebbia.
    E Pony non poté far altro che seguirli.


    Hoppels provò a scuotere le maniglie, prima con cautela, poi con più forza.
    I battenti gemettero, ma non si mossero che di un centimetro.
    I latrati dei cardini e le proteste del legno marcio echeggiarono violando la calma surreale che avviluppava l'edificio e il parco, facendo rabbrividire impercettibilmente i tre ragazzi.
    London scosse la testa confuso.
    "È entrata altra gente qui dentro... Come diavolo è possibile che la porta sia chiu..."
    Con uno schiocco improvviso, la serratura cedette, quasi sbilanciando il professore che l'aveva spinta.
    Hoppels alzò un sopracciglio.
    "Beh, questo è strano... Tuttavia può darsi che la porta sia stata sbattuta dal vento, chi lo sa..."
    L'uomo spinse i battenti verso l'interno, provocando lo stridio assordante dei cardini arrugginiti che si propagò echeggiando questa volta anche nel ventre tenebroso che li aspettava.
    Pony sospirò.
    'Bene, si entra' pensò 'ma adesso vediamo da dove si potrebbe uscire...'
    Mentre attendeva con London l'arrivo del professore, la ragazza aveva notato delle finestre al pian terreno, cui il tempo sembrava aver già provveduto a sfasciare i vetri.
    Le bastò tuttavia un'occhiata ravvicinata per sentirsi morire: le formelle di vetro spaccato e rotto in più punti erano fissate tra le sbarre di pesanti grate in ferro battuto.
    "Ragazzi... Vi rendete conto che la porta è la nostra unica via d'uscita?"
    Pony si volse verso i suoi compagni, sobbalzando nell'accorgersi che stavano già varcando la soglia.
    La ragazza scacciò con uno sbuffo tutte le ansie che le erano venute in mente dal lunedì prima, quando l'insegnante di storia aveva proposto ai tre ragazzi più "seri" della classe quell'allegra scampagnata nella scuola maledetta di Halsmore Hill.
    Raccolse tutto il coraggio che riuscì a trovare con un respiro profondo, mosse un passo, e oltrepassò anch'ella il portone d'ingresso.
    Si ritrovarono tutti e quattro immersi in un'oscurità fitta e densa, quasi palpabile.
    Una spessa lama di luce proiettava le loro ombre su un pavimento grigio e polveroso, cosparso di pietrisco e calcinacci.
    Nessuno fiatava. Il buio sembrava mangiarsi anche il respiro, premendo sullo sterno e stillandone l'aria per ricambiarla con un pesante tanfo di chiuso, di legno marcio e di... Di... Che cosa era quell'altro odore?
    Un fiotto di luce giallastra scaturì dalle mani di Hoppels, inondando lo spazio davanti a loro e svelando un ampio scalone di marmo ingombro di detriti che conduceva ai piani superiori.
    "Ehm... Bene..." la voce del professore fendé il silenzio, incerta. "State dietro di me..."
     
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  2. .Batou
     
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    In mia opinione il testo è, tutto sommato, ben scritto. Ha un buon ritmo di lettura e non ci sono particolari errori grammaticali e/o di punteggiatura (perlomeno io non ne ho notati). Apprezzo lo sforzo profuso nelle descrizioni degli ambienti e degli stati d'animo, spesso suggestivi ed affascinanti.
    Peccato che la trama sia un pò banale e, sopratutto, poco originale.
    La caratterizzazione dei personaggi è un pò inflazionata, ma si regge in piedi più che decentemente.

    La battuta della sedia elettrica, però, è decisamente fuffosa.
    Per quale motivo la ragazza si chiama "Pony"? :nonso:

    :ci si vede:
     
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    CITAZIONE (.Batou @ 15/11/2017, 20:56) 
    In mia opinione il testo è, tutto sommato, ben scritto. Ha un buon ritmo di lettura e non ci sono particolari errori grammaticali e/o di punteggiatura (perlomeno io non ne ho notati). Apprezzo lo sforzo profuso nelle descrizioni degli ambienti e degli stati d'animo, spesso suggestivi ed affascinanti.
    Peccato che la trama sia un pò banale e, sopratutto, poco originale.
    La caratterizzazione dei personaggi è un pò inflazionata, ma si regge in piedi più che decentemente.

    La battuta della sedia elettrica, però, è decisamente fuffosa.
    Per quale motivo la ragazza si chiama "Pony"? :nonso:

    :ci si vede:

    Grazie mille, questo è un esperimento risalente agli ultimi anni di liceo... Se penso che volevo partecipare al Campiello Giovani con questo mi viene la pelle d'oca, tuttavia in futuro gli darò una possibilità e cercherò di finirlo.
    La trama purtroppo qui non è che agli inizi, in teoria doveva svilupparsi in molte altre pagine successive; va detto però che non era essa il fulcro del racconto, ma i dialoghi finali che qui mancano (non siamo neanche lontanamente vicini al climax) e che dovevano affrontare il tema dell'ossessiva ricerca di perfezione.
    La ragazza si chiama "Pony" perché per vezzo i ragazzi avevo scelto di chiamarli facendo riferimento alle magliette che indossavano: "Nero" indossa una maglia nera, "London" una maglia con quella scritta e "Pony" una maglia con un pony. Se ci fai caso infatti il professore li chiama per nome :P
     
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2 replies since 17/10/2017, 20:12   43 views
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