Il rifugio dello scrittore

Il tempo degli uomini

Dal Penna contro Penna II

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    "A trattar le persone secondo il merito, chi mai si salverebbe dalle frustate?"

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    Come da titolo, il racconto con cui ho partecipato al secondo duello letterario. Le regole imponevano un numero di battute e vietavano di utilizzare in modo diretto gli alieni misericordiosi nella trama, quindi l'ultima parte è un'aggiunta fatta in seguito, una sorta di epilogo.

    A volte mi domando se tutto questo sia reale.
    Nonostante tutto sono qui, distesa su un prato, col polline che mi solletica il naso e migliaia di petali che sembrano danzare nell’aria solo per me. Mio nonno, con cui abito ad Akihabara, uno dei pochi anziani sopravvissuti, mi ha raccontato che prima della guerra, in questo periodo a Tokyo si celebrava il Festival dei ciliegi in fiore. Io sono troppo giovane per ricordare, ma a quanto pare mamma e papà mi ci portavano ogni anno. Forse è per questo che nonostante il mio nome sia Ai, tutti mi chiamano Sakura.
    Di solito passo quasi tutto il mio tempo qui a Ueno, a occuparmi dello zoo insieme a Ichiro e Mika; è il nostro compito, quello assegnato ai più giovani, e a me piace, forse perché come altri, riesco a percepire i pensieri di ogni essere vivente. Poco prima che se ne andassero, riuscii persino a comunicare con uno di quegli strani esseri venuti dallo spazio. Anche se ero ancora una bambina, percepii distintamente le loro intenzioni e il fatto che non sarebbero tornati. Quella è stata la prima volta che l’ho usato.
    Ho raccontato di questo dono solo al nonno. Quelli col mio stesso potere diventano “cercatori” e lo usano per cacciare, ma io non voglio: preferisco accudirli, gli animali, anche se so perfettamente per quale ragione, in un mondo che si sta lasciando alle spalle ogni tecnologia a vantaggio di uno stile di vita più rurale, qualcuno dovrebbe preoccuparsi di tenerli in vita.
    Dopo la guerra, tutti i sopravvissuti del continente orientale si sono radunati qui a Tokyo; non saprei dire se sia stata una scelta saggia quella di isolarci su un arcipelago -non sono certo un’esperta sul modo migliore per ripopolare il mondo- ma qui stiamo bene per ora. In fondo, le risorse di una metropoli in cui vivevano quasi quindici milioni di persone, messe a disposizione di poche migliaia, saranno sufficienti per diversi anni.
    Gli ingegneri, i pochi rimasti, oggi sono indispensabili, ma presto sarà impossibile anche per loro mantenere attive le fonti di energia di una città di simili dimensioni e col tempo, saremo costretti a spostarci in periferia, magari seguendo il percorso a monte del fiume Sumida, in cerca di spazi coltivabili e acqua potabile. Per fortuna, negli anni il clima si è modificato, dando origine a una sorta di eterna primavera. Grazie a questo particolare, i “coltivatori” potranno essere mandati avanti, per preparare i terreni all’arrivo del resto di noi.
    Domani è il “Giorno del grande ricordo” e come ogni anno, i sopravvissuti si recheranno nei templi per ringraziare gli Dei prima di radunarsi di fronte al Palazzo imperiale dove, al cospetto del Comitato, si celebrerà il consueto rito in memoria dei caduti e verranno narrati gli eventi che ci hanno portato a tutto questo, per non dimenticare. Se l’Imperatore fosse ancora vivo, probabilmente in questa ricorrenza avrebbe tenuto un bellissimo discorso, ricordando come il nostro popolo sia sempre stato in grado di risollevarsi dopo ogni tragedia e, facendo leva sul nostro pragmatismo, ci avrebbe esortato a gettare le basi di quella che sarà per noi una vita diversa, ma pur sempre vita.
    Il nonno mi ha sempre detto che non siamo stati noi a iniziare la guerra, ma che a un certo punto, come tutte le altre nazioni, siamo diventati vittime del conflitto; io gli credo, ma non capisco come si sia potuto arrivare a tanto: possibile che solo noi giapponesi avessimo già da tempo compreso l’inutilità della guerra?
    Ma oggi tutto è cambiato. Alcuni mesi fa abbiamo ricevuto una trasmissione radio; da tempo non avevamo contatti con altri umani, tanto che si faceva sempre più forte la convinzione che fossimo noi gli unici sopravvissuti. Il contenuto di quel messaggio non è mai stato diffuso, ma ieri, con grande stupore di tutti, un gruppo composto da tre donne e un uomo è comparso all’orizzonte. Alti, biondi e dalla pelle chiara, tutti ormai parlano di loro definendoli “i nordici” e a me è bastato un istante per percepire che domani, le nostre vite cambieranno nuovamente.

    Cantiamo.
    Cantiamo a squarciagola e saltiamo, disposti in cerchio sotto al refrigerio che ci regala il Grande Albero. Per i bambini è come un gioco, ma Kimani, una delle donne che si occupano di me, anni fa mi ha spiegato che lo facciamo per ringraziare Akuj, la Divinità suprema, per averci protetti.
    Una volta non era così; la Dea si arrabbiava spesso con gli uomini e la pioggia non cadeva per intere stagioni. Toccava così a Iruva, il Dio del sole, occuparsi del cielo. Ma gli Dei sono spesso capricciosi: il suo passaggio spaccava la terra e prosciugava i fiumi; ogni tanto, prendeva anche con sé qualcuno del villaggio. Poi, un giorno, Iruva sparì e Akuj si riprese il cielo e nei giorni seguenti, portò via quasi tutti, sia nel nostro villaggio sia in quelli vicini. Fu allora, in piena notte, che per la prima volta gli Dei decisero di mostrasi, scendendo sulla Terra a cavallo delle stelle più luminose.
    Dopo quel giorno, non tornarono più, ma Akuj, forse per premiare la devozione degli esseri umani, mandò con maggior generosità l’acqua dal cielo, rendendo il terreno fertile e facendo persino crescere alberi con frutti che non avevano mai visto. Alcuni bambini inoltre, scoprirono di essere diventati più veloci e più forti persino dei grandi leoni, i mangiatori di uomini, ma smisero di crescere. È trascorso tanto tempo e da allora molti altri figli degli Dei -così li chiamiamo- sono nati. Io non sono uno di loro pur essendo il figlio del capo del villaggio, ma il rispetto che mi portano, forse per il mio ruolo o forse perché sono già più grande di quanto diventeranno mai, compensa il mio rammarico di non possedere il dono.
    Oggi diventerò un uomo. Lo sciamano sgozzerà una mucca e dopo essermi bagnato nel fiume, procederà con la circoncisione. Stanotte poi, andrò a caccia nella pianura con i figli degli Dei, per dimostrare il mio valore. Non sarebbe dovuto accadere così presto, ma mio padre ha dovuto prendere questa decisione per il bene della tribù. Nonostante siano valorosi guerrieri e cacciatori, i figli degli Dei restano pur sempre dei bambini, quindi noi giovani siamo costretti a effettuare il rito di passaggio sempre prima.
    Domani, rappresenterò il mio villaggio alla riunione cui parteciperanno tutte le tribù e non avrei potuto farlo come un ragazzo. Tra i villaggi vige la pace, ma anche se siamo rimasti in pochi, gli altri capi non accetterebbero un simile affronto, soprattutto vista la ragione dell’incontro.
    Gli uomini bianchi sono tornati. Non lo facevano da tanto tempo, da prima che nascessi. Perfino mio padre fatica a ricordare, ma è certo che sia avvenuto prima dell’arrivo degli Dei. Dicono di venire da lontano, dal nord, e hanno chiesto di incontrare i capi delle sessanta tribù. L’ultima volta portarono cibo e doni -qualcosa che lo sciamano ha chiamato medicine- affermando di volerci aiutare. Stavolta invece, forse saremo noi a dover aiutare loro.

    Osservo le vie di Stadsholmen e Ostelmalm e la tristezza mi assale. Kungsholmen poi, ormai deserta e priva di vita, non fa che alimentare i miei sensi di colpa. Stoccolma non è più la stessa. E come potrebbe in fondo? Il mondo intero è cambiato e la colpa è anche nostra. Prima della guerra, venivamo considerati all’avanguardia per il nostro sistema scolastico, per il senso civico dei nostri cittadini, per la saggezza della nostra classe politica. Ma quale saggezza abbiamo dimostrato quando abbiamo reagito alle provocazioni di uno Stato belligerante e senza scrupoli? Oh, certo, dopo un secolo trascorso a diffondere la paura dell’atomo, così come i nostri avversari abbiamo optato per armi in grado di non arrecare danno al pianeta: quanta civiltà in tutto questo…
    In quanto prima donna ad assumere la carica di Primo ministro svedese, avevo sulle mie spalle il peso delle aspettative di tutta l’Europa, soprattutto dopo che, sotto la nostra guida, l’Unione europea riscoprì un’insperata coesione. Nacquero gli Stati Uniti d’Europa, una nuova nazione ricca, potente, coesa. L’economia continentale divenne la prima al mondo, cosa che ci procurò nuovi nemici tra quelli che una volta chiamavamo alleati.
    L’escalation fu rapida e il fatto che, forse per la prima volta nella storia, a fronteggiarsi fossero due nazioni con eguale potenziale bellico, convinse il nostro avversario a utilizzare armamenti che noi stessi avevamo contribuito a creare. E fu proprio nel momento del nostro zenit, all’apice della nostra cultura, che prendemmo la peggior decisione possibile: rispondere agli attacchi utilizzando lo stesso arsenale. Visto il poco tempo a disposizione però, non riuscimmo a concepire nulla di meglio del canonico “prima le donne e i bambini” e la carenza di possibili rifugi fece il resto.
    Terminato l’isolamento, ritrovammo il mondo esattamente come lo avevamo lasciato, ma nel nostro tornare alla vita, fummo costretti a camminare sui cadaveri. Poi, una notte, vedemmo le luci nel cielo e la speranza sembrò tornare a riscaldarci l’anima. Ma ci sbagliavamo.
    Durante il suo flemmatico e meticoloso lavoro, quella misericordiosa razza aliena sembrava dedicare ogni attenzione ai morti a scapito dei vivi. Ci ignoravano, come genitori delusi dai propri figli, e una volta terminato lo smaltimento dei corpi, se ne andarono.
    Nonostante tutto, cercammo di mantenere intatta una parvenza di società, basandoci sulle nostre nuove e mutate necessità. Col tempo, ci rendemmo conto che alcune di noi avevano sviluppato la capacità di teletrasportarsi, fenomeno che, non potendo essere studiato, ci limitammo ad accettare come un dono, un’occasione per ritrovare quell’unione che non eravamo riusciti a costruire in precedenza. Con tutti.
    Le comunicazioni, per quanto limitate, ci hanno permesso di individuare i superstiti e la nostra nuova capacità ci aiuta a raggiungerli, ma questo ci ha fatto comprendere che il nostro desiderio di pace non è, neppure ora, universalmente condiviso: il nemico è rimasto tale ed è più potente che mai.
    Oro e denaro non hanno più alcun valore di fronte alla rinnovata fertilità del pianeta e noi non rappresentiamo certo una minaccia, per cui -tralasciando l’umana e masochistica propensione all’autodistruzione- le motivazioni che spingano i nostri avversari a proseguire con questa follia ci sono ignote. Vogliamo andare avanti; vogliamo lasciarci alle spalle quell’incubo nero e cercare di costruire un mondo diverso, forse migliore. Per questo ora cerchiamo alleati tra le popolazioni superstiti: ormai non si tratta più di una guerra per l’egemonia economica, ma di una vera e propria battaglia per la sopravvivenza.

    “Siamo sopravvissuti e questo può essere stato solo il volere di Dio. Quello che è accaduto è tragico, ma si è trattato di una conseguenza della nostra costante lotta contro i nemici della democrazia. Siamo stati poco lungimiranti, rimanendo a guardare la nascita di una nuova potenziale minaccia in seno a quelli che consideravamo alleati. La loro politica economica, ovvero ottenere il monopolio delle materie prime, non era altro che un’arma, un nuovo genere di guerra adatto al terzo millennio, in grado di annichilire nazioni che credono nella libertà di parola, pensiero e azioni.
    La diplomazia non ha ottenuto alcun risultato, quindi siamo dovuti intervenire con una decisa azione preventiva. Non potevamo stare a guardare mentre, una seconda volta, uno Stato si ergeva a tiranno del mondo per prevaricare gli inalienabili valori di ogni essere umano. Ne siamo usciti sconfitti, ma più forti e consci che il nostro compito non sia ancora terminato.
    Recentemente, abbiamo sventato un tentativo d’infiltrazione. Due donne, apparentemente di origine scandinava, sono state arrestate mentre tentavano d’intrufolarsi nel Campidoglio con il presumibile intento di compiere un atto terroristico ai danni dei membri del Congresso. Condannate alla pena capitale, sono riuscite a fuggire svanendo nel nulla. Forte della sua nuova capacità, il nemico si crede imbattibile ed è per questo che noi dobbiamo attaccare e neutralizzarlo, una volta e per sempre. È tuttavia evidente che la nostra egemonia bellica sia ormai un ricordo, ma Dio ci ha voluto donare un nuovo modo per difenderci. In passato l’avrebbero definita magia o, in tempi più recenti, telecinesi, ma comunque lo si voglia chiamare, sarà proprio lo strumento con cui riporteremo la pace in questo mondo sempre più confuso.
    Successivamente, la creazione di una nuova economia, più rurale e meno invasiva, a supporto di un graduale ripopolamento, diverrà la nostra priorità. Ma ciò non significa che, un giorno, non si possa tornare a riconsiderare un percorso basato sull’industria e la possibilità di ricondurre la civiltà fino al punto in cui l’abbiamo persa, riportando le lancette indietro di dieci anni e sperando di non commettere più gli errori del passato.”
    Con questo discorso, il Presidente ieri ha esposto in modo chiaro e diretto, a noi senatori, la strada da seguire e ciò dimostra quanto la linea d’azione tenuta durante il conflitto, ovvero preservare il potere esecutivo ad ogni costo, sia stata la migliore. In tempi bui come questi, solo un gruppo di menti pensanti è in grado di guidare i sopravvissuti, il cui impegno sarà fondamentale per riportare l’occidente ai fasti di un tempo.
    I pochi giovani rimasti, quelli che non hanno subìto gli effetti della guerra, sono confusi, spaventati, in cerca di un faro che gli indichi la strada. Il Presidente, per ora, riesce a personificare l’autorevole leader di cui hanno bisogno, ma dopo aver vinto la guerra, le priorità cambieranno e il nuovo mondo non avrà più bisogno di un soldato, ma di qualcuno con una visione imprenditoriale. Io sono pronto ad assumermi questa responsabilità e presto avrò l’appoggio del Congresso. Se poi non dovessi ottenerlo con la persuasione, ho altri metodi: nessuno, né gli altri senatori né lo stesso Presidente, è al corrente del fatto che anch’io possieda la telecinesi, un potere molto convincente.
    Si dice che Dio, per giudicare gli uomini, li metta alla prova per sette minuti, che per il nostro concetto di tempo equivalgono a settant’anni. Forse, siamo rimasti così in pochi perché anche lui sta morendo e non ha intenzione di sprecare i suoi ultimi anni a osservarci. Siamo soli, ormai; questo è il tempo degli uomini e gli uomini hanno bisogno di una guida. O magari, più semplicemente di un nuovo Dio.

    Alla fine la guerra è scoppiata.
    Nutrivamo un profondo affetto per quella giovane specie basata sul carbonio, evolutasi così lontano da tutte le altre: era la prima a essere comparsa in quello sperduto angolo dell’universo e noi, tra tutti, ci eravamo volontariamente assunti la responsabilità di seguirla per valutarne le potenzialità e al momento giusto, per stabilire un contatto.
    Abbiamo dovuto assistere ai loro sbagli per migliaia di anni, ma quante volte avremmo voluto poggiargli una mano sulla spalla e sussurrargli “Hey, state attenti, non è questo il modo migliore”. Purtroppo, tutta la nostra saggezza non è bastata a farci comprendere che forse, per una volta, saremmo dovuti intervenire per guidarli anziché limitarci a osservare.
    Non interferire, è la regola, ma dopo averli visti sfiorare la catastrofe e aver perso tutta la fiducia che avevamo riposto in loro, abbiamo deciso d’infrangerla per fargli un dono d’addio: la speranza. Molte delle loro tradizioni funebri considerano la morte una sorta di rinascita e noi, per cercare di rammentargli quanto preziosa sia la vita, abbiamo tenuto in considerazione questo concetto, utilizzando le nostre conoscenze per purificare il pianeta tramite i corpi dei defunti, tumulandoli con dignità dopo averli mutati a livello genetico.
    Era la prima volta che utilizzavamo la nostra tecnologia su un pianeta così giovane e quando a causa di un effetto collaterale del tutto imprevisto, i sopravvissuti hanno sviluppato poteri mai riscontrati in nessun altro popolo conosciuto, abbiamo gioito, fiduciosi che li avrebbero utilizzati per unirsi e compiere il cambiamento che li avrebbe salvati, ma ci sbagliavamo.
    Alla fine, la guerra è scoppiata.
    No, non quella che ha decimato il genere umano, ma quella che lo ha portato all’estinzione.

    Edited by KISHUSEIKO - 30/10/2017, 08:20
     
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  2. Obliter
     
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    Ciao Kish!
    Fui un giurato anche nella seconda edizione del concorso e ricordo piacevolmente il tuo racconto, non ti nascondo che fu uno di quelli a cui diedi un punteggio alto. Non ricordo in che posizione finisti; ricordo la stima che provai per l'anonimo scrittore di questo brano.

    L'aggiunta finale cambia totalmente la concezione del racconto. Se prima era un finale aperto, ora è una conclusione catastrofica.
    Posso dire di apprezzare entrambe le versioni, prediligendo forse quest'ultima.
    È stato un piacere rileggere questo piccolo esempio del tuo talento. :)

    - Obliter.
     
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    Grazie per la confermata stima, mi fa piacere due volte :D
    Sì, fin dall'invio ad Axum ho avuto l'impressione che mancasse qualcosa, un finale adeguato. Che poi io tenda spesso a buttarla sul tragico...bhe, questa è una mia piccola fissazione :D
     
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    La poesia non ha bisogno di seguaci, ma ... di amanti

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    Io non l'avevo mai letto, o almeno non sotto questa forma evoluta, direi quasi perfetta! Pur se il tema è ricorrente in molti libri di fantascienza, la descrizione delle varie situazioni post belliche e le giustificazioni per una nuova guerra, sono particolarmente curate ed affascinanti.
    Sotto certi aspetti quel finale c'era quasi da aspettarselo!
    Comunque i miei complimenti è stata veramente una piacevole lettura.
     
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    Grazie al44to! :)
     
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