Il rifugio dello scrittore

Chasing The Wind 0.2

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    Madadayo!

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    “E poi sbuca dalla folla questo ragazzotto che pretende di vendermi una barba finta egiziana a venti shekel. Venti! Senza neppure trattare un po’ sul prezzo! Roba mai vista! Diglielo anche tu, Jabar, ragazzo mio!”

    “Ah, certo signor Aziel. Un vero scandalo.”

    “Mai visto, vi dico! Allora gli propongo di vendermela a cinque, e quello tira su a venticinque. E allora io rilancio a otto e lui risponde con trenta. Alla fine riesco a chiudere la cosa a dodici. Lui è sul punto di pagarmi… quando io gli dico che quella barba gli starebbe proprio bene con un bell’abito di seta. E alla fine cinquanta mi sono beccato!”

    Jabar si stropicciò gli occhi; almeno la stanchezza gli dava un buon modo di nascondere il fatto che li stesse roteando: “Vado a controllare il carico, padrone.”

    “Mh? Sì, sì, buona idea. Vai pure.”

    Jabar si allontanò dal cerchio stretto intorno al fuoco. I mercanti avrebbero continuato a scambiarsi storie fino a che il vino non avrebbe preso il posto dell’esperienza e le risate non avrebbero attirato un branco di iene.

    Scambiò un cenno di saluto con le guardie che disegnavano strisce nella polvere in cerca di possibili minacce.

    “Ehi gente, c’è il piccoletto. Perché non ci porti un po’ di vino?”

    “Potrei pensarci, in cambio della tua lancia.”

    I denti della guardia scintillarono alla luna: “Ah ah ah! Finiresti schiacciato! E poi dovremmo ripagarti per nuovo al samaritano!”

    Che ridessero pure. Un giorno avrebbe sollevato la spada su un campo di battaglia e avrebbe mandato alla carica centinaia di bastardi come loro.

    Sollevò il telo che proteggeva il carico: porpora fenicia rossa come il sangue; lino egiziano candido come le nuvole. E cosa diceva sempre il padrone su tutti quegli altri colori?

    “Il mercante d’arcobaleno…” Lo chiamavano così, a casa. Non c’era nessuno che al villaggio non conoscesse Aziel, il samaritano, e che non avesse lavorato per lui almeno una volta. L’avevano fatto i suoi amici, la mamma, suo fratello. E adesso era toccato a lui. Ancora per poco…



    “Oh, Jabar. Non ti ho visto entrare. E’ a posto, il carico?”

    “Non manca nulla, padrone.”

    “Bene, bene. Non che non mi fidi di quei ragazzi, ma quando passi la vita a cercare di infilzare i ladruncoli possono venirti certi pruriti alle mani.”

    Padron Aziel si distese su un nido di cuscini con la smorfia di chi avesse appena ricevuto una pugnalata: “Oooh. E così imparo a voler fare le ore piccole alla mia età.”

    “Vi serve altro, signore?”

    “No, ti ringrazio. Cercherò di dormire, adesso. E dovresti farlo anche tu. Anche se immagino che sarà difficile, domani saremo finalmente a Gerusalemme.

    “Già…”

    “Sei un bravo ragazzo. E un gran lavoratore. Mi dispiacerà molto perderti.”

    Lo pensava davvero? O era sincero come quando diceva a ogni suo cliente che fosse il migliore?

    “Se non avete più bisogno di me…”

    “No, resta. Domani è il tuo gran giorno e devi essere in forze. E non ti presenteresti certo bene a palazzo con un raffreddore.”
    Dormire nella sua tenda. Non glielo aveva mai consentito prima: “Io… grazie.”

    “Oh, suvvia. Non devi ringraziarmi. Sai come mi chiamano: il buon samaritano. Spero davvero non diventi un vizio di famiglia. E domani perderò un membro della mia grande famiglia.”

    Non doveva piangere. Un guerriero non piangeva. Mai.

    “Ma tutti devono seguire i propri sogni, vero Jabar? Su! Mettiti a dormire ora.”
     
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    Bel racconto, veloce e lineare. Spero in un seguito.
     
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